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Più Europa e Asia nei nuovi portafogli dell’era Trump


È partita la caccia al rendimento nella nuova era dei dazi. O, meglio, del rendimento meno insicuro e più stabile. La catena degli eventi scatenata dalla Trumpeconomics – con la politica dei dazi e dei tagli fiscali – ha generato in pochi mesi due grandi cambiamenti: il rialzo dei rendimenti Usa e il calo del dollaro. Mentre, all’orizzonte, si intravvedono due rischi: il rialzo dell’inflazione e il rallentamento dell’economia verso una recessione. Quindi ce n’è abbastanza per spingere i grandi investitori e gestori a ripensare i propri portafogli che, da anni, sono sovrappesati in asset nordamericani. Almeno nel breve e medio periodo.

A questo proposito, dall’Investors Forum che il 20 maggio ha riunito a Milano molti importanti hedge fund internazionali, sono emerse indicazioni verso un alleggerimento di asset denominati in dollari Usa a favore di investimenti in Europa e Asia. Il Vecchio Continente, in particolare, offre (per la prima volta da tempo immemore) un combinato disposto di condizioni favorevoli e concorrenziali rispetto all’America: la politica monetaria, con i tagli dei tassi della Bce, è espansiva mentre quella della Fed resta prudente e ferma; anche la politica fiscale, attraverso i temi della difesa e dell’energia, diventa espansiva, con la partecipazione straordinaria del principale Paese europeo, la Germania, che per la prima volta dal dopoguerra sta rivedendo la sua politica sul debito pubblico; c’è infine il rapporto dollaro/euro, impostato a favore della valuta unica: gli effetti sono sempre difficili da quantificare perché una valuta forte è una medaglia a due facce.

Ma se l’euro forte è percepito come il sottostante di un’economia (o di una somma di economie) in espansione, l’effetto tenderà a essere positivo. Di sicuro, parlando di dollaro/euro, l’indebolimento del biglietto verde rende più rischioso l’investimento oltreoceano. Per quanto riguarda l’equity, al rischio azionario si somma il rischio valutario, per cui investire a Wall Street significa assumersi anche il rischio della svalutazione del dollaro. Mentre per quanto riguarda l’obbligazionario, gli elevati rendimenti offerti dai titoli Usa (quelli a 30 anni rendono ormai il 5%) possono essere indeboliti dalle perdite in conto capitale calcolate in euro. (Mentre la copertura dei rischi di cambio è un costo che può annullare il differenziale di rendimento). Tanto vale accontentarsi dei rendimenti nella valuta unica o, in alternativa, andare a cercare alte remunerazioni su mercati alternativi.

Naturalmente stiamo scrivendo di variabili in rapido movimento e in presenza di un protagonista, , da cui ci si può aspettare un po’ di tutto. Ma chi ha un portafoglio la cui gestione è stata pensata prima dell’era dei dazi, passata la buriana di aprile potrebbe ora valere la pena di valutarne una revisione.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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