Sorprende la pochezza con la quale martedì sera «fonti di Mediobanca» hanno replicato alla richiesta di Francesco Gaetano Caltagirone di rinviare l’assemblea del 16 giugno per «assoluta incompletezza dell’informazione». Da quel pergamo, retto da un gruppo di banchieri first class e da luminari del diritto societario, ci aspetteremmo argomenti più solidi che le risibili osservazioni, propalate in via anonima e prive di qualunque contenuto giuridico, il cui punto più alto è l’accusa a Caltagirone di essere in conflitto d’interesse (senza ovviamente spiegare il perché), mentre appare ogni giorno più evidente il conflitto entro il quale opera il management dell’istituto.
Una postura peraltro in linea con le affermazioni del ceo Alberto Nagel, che il giorno dell’annuncio dell’Ops su Banca Generali definì l’operazione «offensiva e non difensiva», per allontanare il sospetto che vi fosse una qualche relazione con la scalata lanciata da Banca Mps. Un’affermazione che ha suscitato l’ilarità dell’intero mondo finanziario milanese, peraltro pronunciata da un banchiere sul cui valore professionale nessuno nutre dubbi e quindi doppiamente sorprendente.
Quanto al fatto che secondo le fonti di Piazzetta Cuccia sarebbe irrazionale «negoziare degli accordi distributivi (con Generali e Banca Generali, ndr) senza alcuna certezza in ordine al sostegno degli azionisti all’offerta di Mediobanca», non si vede dove sia l’irrazionalità nel delineare accordi sotto condizione dell’approvazione dell’Ops. Sarebbe il modo più corretto affinché tutti gli azionisti siano informati dei progetti presenti e futuri dell’istituto.
Qui non è in gioco un’operazioncina di ordinaria amministrazione, in gioco ci sono equilibri permanenti nel settore del risparmio italiano: chiedere, come fa il management di Mediobanca, una delega in bianco agli azionisti è il modo più opaco di presentarsi all’assemblea dei soci. Altro che trasparenza e tutela di tutti gli azionisti. Insistiamo: il presidente della Consob, Paolo Savona, non ha proprio nulla da dire?