«Se Unicredit volesse scalare Generali, farei una telefonata a Orcel e gli direi di fermarsi», aveva detto lunedì l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, al Consiglio della Fabi in corso a Milano. Questa telefonata ci sarà? Ieri, dallo stesso palco, è arrivata la risposta di Andrea Orcel: «La possiamo escludere». Il ceo di Unicredit, al centro del risiko per l’Ops sul Banco Bpm e per la scalata a Commerzbank di cui ha già il 30%, ha dunque escluso di voler muovere le sue pedine sulla compagnia triestina di cui il gruppo da lui guidato detiene il 6,7 per cento. Escluse anche manovre su Banca Generali (sotto Ops di Mediobanca) perché, ha detto Orcel, «non verrà chiesto agli azionisti questo passaggio, passa direttamente in consiglio». Per il Leone «credo che Banca Generali sia un ottimo canale di distribuzione. Ridurre la distribuzione, io come banca non lo farei mai», ha aggiunto.
Il focus dell’intervento del banchiere romano resta per ora sul Banco Bpm. Con la battaglia dei tribunali, i tempi rischiano infatti di scavalcare il 23 luglio, ovvero il termine posticipato da Consob con la sospensiva dell’offerta. Il 4 giugno si terrà la prima udienza al Tar del Lazio in seguito all’appello di Unicredit contro le condizioni imposte dal governo per permettere l’acquisizione dell’istituto di Piazza Meda. «Il percorso Tar-Consiglio di Stato non arriverà in tempo per darci certezza della chiusura dell’operazione» ha detto ieri Orcel, ammettendo che quindi l’offerta «potrebbe» decadere. Poi «può essere sempre riproposta. Il nostro ricorso al Tar è una questione di chiarezza, non di combattimento». L’aggregazione è «un’operazione valida industrialmente e strategicamente, però si scontra su visioni diverse che rendono l’operazione de facto non economica», ha proseguito il ceo di Unicredit riferendosi ai paletti fissati dal governo con il golden power.
Strumento, che ha sottolineato Messina lunedì dando un consiglio di realpolitik al collega, deve essere considerato nel nuovo contesto geopolitico di sicurezza nazionale. Su questo punto l’ad Unicredit ieri è stato diplomatico: «L’influenza degli Stati sulle operazioni di mercato è diventata molto significativa e bisogna tenerne conto. Da un altro punto di vista, se guardiamo alle istituzioni europee, queste hanno una visione diversa perché vogliono un sistema monetario più forte».
Di certo, come ha ricordato il segretario della Fabi, Lando Sileoni, la geografia del credito italiano sta cambiando in fretta. «Le grandi operazioni straordinarie non sono soltanto operazioni finanziarie, sono scelte politiche che ridisegnano il potere, la competizione, gli equilibri sociali». Ma se le operazioni Banco Bpm e Commerzbank non andassero a buon fine cosa farà Unicredit? Escluse Generali e Banca Generali, Sileoni, ha tirato in ballo il Monte dei Paschi incalzando l’ad di Unicredit su un possibile ritorno di interesse. Prima Orcel ha ribadito che la sua banca «ha fatto bene nel 2021 a non procedere su Mps» perché «se ci fossimo imbarcati in questa integrazione probabilmente non saremmo riusciti a trasformarci come ci siamo trasformati». Poi, però ha aggiunto: «Io non credo che niente sia chiuso.
Il sistema bancario italiano non è concentrato, c’è un player al 20% e poi tutti gli altri sono sotto il 9%. I giochi sono aperti per tutti» perché «nessuno è arrivato al capolinea, con l’eccezione di Intesa». Tradotto: io posso muovermi sullo scacchiere, Messina no.