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Occupazione, i record del governo e i danni di Bruxelles


Nel gennaio 2025 il numero di occupati in Italia è salito a 24 milioni e 222mila, pari a un tasso di occupazione su base mensile del 62,8%: è il livello più alto dal gennaio del 2004, quando sono iniziate le serie storiche. Il tasso di disoccupazione è anch’esso ai minimi, al 6,3% (-0,1% in gennaio). Nella media del 2024 si registra un aumento degli occupati di 352mila unità rispetto al 2023 (+1,5%) mentre si sono ridotti i disoccupati (-283 mila, -14,6%). In aumento, invece, sono gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+56 mila, +0,5%).

I dati comunicati dall’Istat il 13 marzo confermano il trend positivo dell’occupazione in Italia, addirittura da record, che da mesi presenta una dinamica tra le più brillanti di tutta Europa. Ma allo stesso tempo stiamo assistendo, ormai da quasi due anni, a una contrazione costante della produzione industriale, arrivata ormai a 23 mesi consecutivi di calo tendenziale. Come si spiega questo paradosso? Non è controintuitivo vedere la crescita dell’occupazione proprio quando la produzione ristagna?

La risposta a questa apparente contraddizione arriva dall’analisi più approfondita dei dati sull’occupazione e sulla distribuzione della forza lavoro nel nostro Paese. Prima di tutto a livello geografico: nel 2024 l’occupazione cresce al Sud più che al Nord e al Centro: nell’anno si è registrato un aumento di 142mila occupati (+2,2%) a fronte dei 117mila al Nord (+1%) e 94mila al Centro (+1,9%). Il Sud registra inoltre la riduzione più marcata del tasso di disoccupazione (-2,1 punti rispetto a -0,9 nel Centro e -0,6 nel Nord). Questo andamento rispecchia quello dei settori dove la domanda di lavoro è aumentata. Si tratta di macroaree quali il turismo, l’agroalimentare, ma anche la nautica e altri comparti legati all’export e largamente diffusi in tutto il Paese. Ma mentre il Sud ha potuto massimizzare il traino di questi, nel Nord i numeri sono stati compensati negativamente dalla crisi della manifattura, che ha pesato sul risultato finale.

Alla luce di un’analisi pur parziale e sintetica come questa, si possono comunque trarre un paio di solide conclusioni di carattere politico. La prima è che le politiche fiscali e del lavoro attuate dal governo con le sue prime due leggi di Bilancio hanno dato i loro frutti. Il buon andamento del Mezzogiorno è stato accompagnato dagli incentivi quali la decontribuzione e i vari crediti d’imposta, oltre che dall’attuazione di molti progetti del Pnrr. Mentre un ruolo va anche riconosciuto, come dicono anche alcuni sindacati, all’attenzione posta dal governo su un settore come l’agroalimentare.

La seconda è che – al contrario – i problemi che hanno frenato l’occupazione, soprattutto nel Nord, sono di natura esterna, per lo più legati al costo dell’energia e alle politiche industriali decise a Bruxelles. Il Green Deal della prima Commissione von der Leyen hanno avuto un peso enorme su tutta la manifattura, a cominciare dall’auto e dalla componentistica, pesantemente colpita – per lo stesso motivo – dalla crisi economica in Germania.

Il tema sarà ora capire se un altro elemento esterno, quale l’introduzione dei dazi, potrà avere di nuovo effetti negativi.

A rischio infatti c’è proprio il settore dell’export che in questi ultimi anni ha trainato più della domanda interna. Ma purtroppo è così: per quanto le politiche economiche nazionali possano essere virtuose, non si può non fare i conti – ora più che mai – con gli effetti della geopolitica che si gioca intorno a noi.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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