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Fondazioni, il Tesoro accelera sulle partecipazioni bancarie


L’accelerazione è delle ultime settimane e si punta ad arrivare a un accordo a stretto giro per l’aggiornamento del protocollo tra Acri e ministero dell’Economia. Nel mondo delle Fondazioni bancarie, che trova rappresentanza appunto nell’Acri presieduta da Giovanni Azzone, c’è un certo fermento a seguito della grande corsa dei titoli bancari italiani. L’aspetto che più è al centro delle discussioni, è quel vincolo che le Fondazioni hanno di non concentrare più del 33% del loro patrimonio nella banca conferitaria. Una soglia ritenuta fin troppo «inflessibile» dallo stesso Azzone. Meglio ancora sarebbe, chiedono da banche e fondazioni, se nello stabilire questa linea rossa non si contassero gli sforamenti collegati al solo andamento dei listini.

Il protocollo Acri-Mef datato 2015 prevedeva questa accortezza per evitare che gli enti, in prima linea per molte opere di filantropia, potessero essere troppo esposti a un’unica partecipazione. Allora i titoli delle banche viaggiavano su quotazioni ben inferiori a quelle odierne, ed erano in alcuni casi investimenti più rischiosi di quanto non lo siano attualmente.

Oggi, però, l’esplosione di questi titoli avvenuta negli ultimi anni (basti pensare che Intesa Sanpaolo è nel frattempo diventata la prima banca europea per capitalizzazione di mercato) ha fatto sì che il peso delle partecipazioni delle Fondazioni aumentassero il loro peso specifico. A una prima vista può sembrare una pura tecnicalità, ma in realtà rischia di avere ricadute molto concrete sulla stabilità degli azionariati di società strategiche. Un caso emblematico – e che ha portato il sistema a fare pressing sul Mef per rivedere il protocollo – è quello della Fondazione CarisBo. La scorsa estate, infatti, il Mef – che vigila sulle Fondazioni bancarie – ha contattato la presidente Patrizia Pasini per segnalare che la quota dell’1,334% che la sua fondazione vantava in Intesa Sanpaolo aveva superato la fatidica soglia del 33% del patrimonio. Ciò ha comportato, in ossequio alle regole del protocollo, che CarisBo vendesse sul mercato qualche decimale della sua quota. Può sembrare un aggiustamento minore, ma se tutte le Fondazioni – titolari insieme del 16% dell’azionariato della prima banca italiana – iniziassero a fare lo stesso potrebbe finire sul mercato circa l’8% di Ca de’ Sass (che rispetto a gennaio di un anno fa si è apprezzata di quasi il 50% in Borsa), aspetto che aumenterebbe la contendibilità dell’istituto aprendo la porta a speculatori o a giganti esteri magari interessati a esercitare un controllo su quello che sempre più rappresenta un architrave dell’economia italiana. Nei casi più nefasti scatterebbe il golden power, ma certo è che nel mondo bancario si preferirebbe prevenire piuttosto che curare, anche in ragione del fatto che l’attuale profittabilità delle banche permette loro entrate sicure e generose. Insomma, il meglio per chi si occupa di filantropia e serve alla cauasa quando si tratta di mettere insieme operazioni di sistema come accaduto per Montepaschi o Tim.

Altri aspetti al centro dei dialoghi col Tesoro vertono sull’estensione a tre (dagli attuali due) del numero di

mandati degli organi di governo. L’alternativa sarebbe allungarli (quindi andando oltre gli attuali 4 anni a mandato) impedendo il ritorno con una carica differente oppure senza considerare nel conteggio i mandati parziali.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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