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Dollaro in caduta libera: vale meno di 0,9 euro. La Borsa resta ottimista ma è allarme recessione


Più debito equivale, nei manuali di macroeconomia, a una moneta meno forte. in campagna elettorale ha ripetuto che per abbattere il debito americano vuole riportare industria e manifattura in patria, costi quel che costi, anche deprezzando il cambio. Il presidente americano voleva un dollaro più debole e ora può dire di averlo ottenuto. Nelle sale operative, però, riecheggiano le parole di John Connally, segretario al Tesoro con Nixon alla Casa Bianca. Era il 1971, dopo la svalutazione del dollaro, l’abbandono della convertibilità con l’oro e la fine del sistema di Bretton Woods. E Connally ammonì gli europei: «Il dollaro è la nostra moneta, ma un vostro problema».

Ebbene, ieri il dollaro è sceso ai minimi degli ultimi sei mesi dopo le ennesime dichiarazioni di Trump sui dazi sui chip e con il timore che la confusione sulla politica tariffaria possa allontanare gli operatori dagli asset Usa. Il Bloomberg Dollar Spot Index ha perso lo 0,3% dopo aver toccato il livello più basso da ottobre. Quest’anno l’indicatore è sceso di quasi il 6% a causa delle crescenti tensioni commerciali con la Cina, dell’incertezza sulla politica americana e con i dubbi sulla crescita economica degli Stati Uniti. D’altra parte, l’euro sta vivendo il rally più rapido dal 2009, con gli operatori che scommettono su una salita fino a 1,20 dollari. La moneta unica europea ha raggiunto il suo livello più alto in tre anni alla fine della scorsa settimana, avvicinandosi a 1,15 dollari e ieri ha viaggiato a ridosso di 1,14 per poi chiudere a 1,13.

Attenzione anche all’oro nero: in seguito ai dazi di Trump, l’Opec ha tagliato le stime per la domanda globale di petrolio per il 2025 e il 2026. La domanda è stata abbassata di circa 100.000 barili al giorno sia per quest’anno sia per il prossimo. I dati di marzo hanno mostrato che le importazioni di greggio dalla Cina sono aumentate di quasi il 5% su base annua, sostenute da un aumento dei barili iraniani e russi. Tuttavia, il greggio rimane sotto pressione poiché le tensioni commerciali tra Washington e Pechino gettano un’ombra sulla crescita globale e sulla domanda di carburante. Goldman Sachs ha rivisto al ribasso le previsioni sul prezzo del petrolio per il 2025 e il 2026, citando un rallentamento della domanda, soprattutto per le materie prime petrolchimiche.

Nel frattempo, la settimana sui mercati è iniziata all’insegna dei rialzi. A Milano l’indice Ftse Mib ha concluso in crescita del 2,88% a 35.007 punti, la Borsa migliore però è stata quella di Francoforte, che ha chiuso con un aumento del 2,7%, seguita da Parigi in crescita del 2,6 per cento. Molto bene anche Amsterdam e Madrid, salite entrambe del 2,4%, mentre Londra ha concluso con un rialzo del 2,1 per cento.

A Wall Street, dopo un avvio di seduta con rialzi superiori al punto percentuale, Dow Jones e Nasdaq hanno invertito la tendenza. Christopher Waller, componente repubblciano del consiglio della Federal Reserve, ha sottolineato che i dazi potrebbero aprire la strada alla recessione, pur senza nominarla. È «uno dei maggiori shock a colpire l’economia americana in molti decenni e i suoi possibili effetti, restano molto incerti», ha detto riferendosi anche alle attese di una recrudescenza dell’inflazione. Immediata la replica di Trump. «I mercati saranno molto forti una volta che si saranno abituati ai dazi», ha dichiarato.

I riflettori delle Borse europee sono accesi su Washington ma anche su Francoforte perché giovedì si riunirà il direttivo della Bce per annunciare un possibile taglio di 25 punti base, portando il tasso di deposito al 2,25%, una soglia in cui la politica monetaria europea non potrebbe più essere considerata restrittiva.

Secondo gli analisti, sarà davvero fondamentale la riunione di giugno perché entro quella data la presidente Christine Lagarde avrà accumulato una buona dose di evidenze scientifiche su come i dazi influenzino la determinazione dei prezzi.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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