in

Tim, nuovo crollo su notizie positive


C’è un male oscuro che zavorra il titolo di Tim. Anche ieri, in una giornata seguita all’ennesima buona notizia come l’offerta vincolante da 700 milioni di euro per Sparkle, le azioni dell’ex monopolista sono state trascinate sul fondo del listino in Piazza Affari (-7,8% a 0,251 euro). Sgravata della parte più significativa del suo debito, con i ricavi stabilizzati nel settore della telefonia mobile e in crescita nei servizi alle imprese e nelle attività in Brasile, la prospettiva di un ritorno al dividendo è ormai pressochè certa. Eppure il titolo della società guidata dall’ad Pietro Labriola fatica a imboccare stabilmente la strada verso un giusto riconoscimento. Anche quando ha un guizzo come dopo le voci sulla trattativa tra il fondo britannico Cvc e Vivendi per rilevare il 23,7% delle quote in mano ai francesi, il corso azionario corregge nei giorni successivi anche se i colloqui non sono stati smentiti, il che vale come una conferma.

A che si devono dunque le ondate di vendite che ogni volta vengono rovesciate sul titolo? Una prima risposta è che Tim rimane uno dei titoli italiani più venduti allo scoperto, un’attività di per sé legittima, ma quando questa forma di speculazione porta il titolo azionario a divergere così tanto dai fondamentali e dalle mosse vincenti dell’attuale management, vale domandarsi perchè mai la Consob non abbia ancora acceso i suoi fari per cercare di capire che cosa sta accadendo sul titolo. Resta peraltro sullo sfondo l’indiscrezione che vede Cvc Capital Partners in manovra con l’obiettivo di acquistare la partecipazione di Vivendi, per poi proseguire nella strategia che prevede il lancio di un’Offerta pubblica d’acquisto per ottenere il controllo totale di Tim e procedere probabilmente al delisting dalla Borsa Italiana. Una mossa che avrebbe ben più di una ragione, dal momento che mantenere il titolo quotato significa assistere quotidianamente allo stillicidio di vendite fuori da ogni logica economica, se non quella essenzialmente speculativa, che schiaccia il titolo su valori lontani dal suo potenziale reale. Prova ne è che una banca d’affari autorevole come Barclays appena dieci giorni fa aggiornava il suo rating su Tim da «neutral» a «buy», con un prezzo obiettivo rivisto al rialzo a 0,38 euro per azione. Allargando lo sguardo al prezzo obiettivo medio, come indicato dal sito Market Screener, si scopre che gli analisti convergano tutti su un minimo di 0,32 euro (c’è chi si spinge fino a 0,42 euro), vale a dire quasi il 30% più alto del valore di chiusura di ieri. Possibile che si sbaglino tutti? Certo Cvc ha capito che il valore degli asset di Tim è ben diverso, da qui l’idea di cassare dal listino il titolo Tim e magari procedere a uno spezzatino per valorizzare le varie componenti singolarmente, un’attività che dovrebbe offrire ritorni interessanti. È chiaro, tuttavia, che essendo le telco un settore strategico e soggetto al golden power, un’operazione di questo tenore potrebbe avvenire solo con il benestare del governo, al quale dovrebbero essere garantiti quanto meno i livelli occupazionali e il presidio sulle attività d’interesse nazionale. Ammesso e non concesso che ciò avvenga, solo in seguito sarebbe possibile pensare più in grande e dare concretezza ad alcune voci circolate nei mesi scorsi negli ambienti finanziari: vale a dire la riduzione del numero degli operatori infrastrutturati sul mercato italiano da 4 a 3, procedendo con una fusione delle attività di Iliad e Tim.

Intanto ieri il ceo di Cdp, Dario Scannapieco, in quanto

azionista di Tim con il 9,8% ha affermato di non avere «progetti di uscire e liquidare la quota». No comment, invece, sui rumor della possibilità di un ingresso di Cvc. Un altro indizio di quanto la notizia sia verosimile.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


Tagcloud:

Calcoli, requisti e novità: così si può andare in pensione a 64 anni

In arrivo il nuovo decreto Cultura: dal “piano Olivetti” a quello “Mattei”, cosa prevede