Secondo una recente sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione lo scorso ottobre (ordinanza 26320), un accordo di riduzione dello stipendio di un dipendente motivato da difficoltà economiche dell’azienda è da ritenere non valido nel caso in cui non sia stato stipulato nelle cosiddette “sedi protette”.
I giudici si sono pronunciati sul caso del dirigente di una società che si era dimesso per giusta causa: costui aveva successivamente deciso di adire le vie legali per ottenre l’annullamento di un accordo fatto coi suoi ex datori di lavoro che prevedeva la decurtazione del 10% dello stipendio, motivata da un momento di difficoltà economica dell’azienda. Il salario percepito dall’uomo dopo questo passaggio era ben al di sotto del minimo stabilito dal Contratto collettivo nazionale Dirigenti aziende industriali.
La società era uscita vincitrice dopo il primo grado di giudizio, ma in appello veniva ribaltato tutto: in quel caso il giudice ritenne di dover dichiarare nullo l’accordo in quanto non siglato in una sede protetta come previsto dall’articolo 2103 del Codice civile. Una sentenza giusta, secondo la Cassazione, dal momento che correttamente la Corte d’Appello aveva riconosciuto la giusta causa delle dimissioni per il mancato pagamento dei salari, annullato l’accordo che prevedeva la decurtazione del 10% dello stipendio con tanto di rinuncia al Trattamento minimo complessivo garantito dal Ccnl e condannao la società a versare quanto dovuto, ovvero le differenze degli stipendi, il Tfr e l’indennità di preavviso.
Gli Ermellini hanno ribadito il principio della irriducibilità del salario sancito dall’art. 2103 c.c., nel quale si sancisce che “la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto”.
Al comma 6 del medesimo articolo è comunque previsto anche che“nelle sedi previste dal comma 4 dell’art. 2113 del c.c. o dinanzi alle commissioni di certificazione” sia possibile redigere degli accordi individuali che prevedano cambiamenti di mansione, categoria legale/livello di inquadramento o retribuzione nell’interesse del dipendente, affinché tale accordo sia finalizzato “alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita“.
Il dipendente, tra i suoi diritti, ha anche quello di farsi assistere da un legale, da un consulente del lavoro o da un rappresentante sindacale, in modo che tale figura tuteli i suoi interessi, Ne consegue pertanto che tutti gli accordi, anche individuali, stabiliti al di fuori di queste “sedi protette” sono da ritenere assolutamente nulli. Ciò stabilito, la Cassazione ha in sostanza ratificato la sentenza d’Appello, annullando la riduzione di stipendio del dirigente.