Sale di tono la guerra stellare bancaria. Dopo l’Offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Banco Bpm, ieri sera è arrivata la risposta del Credit Agricole che da azionista al 9,9% di Piazza Meda ha annunciato di aver acquisito un altro 5,2% tramite strumenti equivalenti ai titoli dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna salendo così al 15,1 per cento. Si tratta di una posizione potenziale, costruita su strumenti derivati come aveva fatto la stessa Unicredit con Commerzbank, ma questa è solamente una formalità: ben difficilmente Bankitalia e la Banca centrale europea si opporranno alla richiesta dell’istituto francese di superare il 10% e arrivare fino al 19,99% del capitale sociale di Banco Bpm.
La mossa di ieri più che aggressiva sembra difensiva, motivata dalla necessità di assumere una posizione negoziale più favorevole possibile nella partita Unicredit-Bpm. Del resto, a dirlo è la stessa banca francese guidata da Philippe Brassac che nel comunicato precisa di «non voler lanciare un’Opa sulle azioni di Banco Bpm» (anche perché a quel punto scatterebbe sicuramente il golden power da parte del governo), ma piuttosto «per rafforzare la solida partnership industriale nella finanza di consumo, nel comparto assicurativo non vita con la protezione personale e dei creditori» e per «l’apprezzamento delle qualità intrinseche di Banco Bpm» e le sue prospettive finanziarie positive. In poche parole, l’intento è salvaguardare le fabbriche prodotto nel perimetro di Piazza Meda che vanno dalle assicurazioni, ad Anima, fino alla finanza al consumo di Agos (in cui Agricole ha una quota del 61% a fronte del 39% di Bpm); dall’altra parte approfittare del rilancio – se non scontato, almeno probabile – che arriverà dalla banca guidata da Andrea Orcel una volta a conoscenza di conti e andamento dell’Opa di Bpm su Anima.
C’è tuttavia una terza ragione, probabilmente quella più vicina al vero, che ha spinto l’Agricole a mettersi di traverso su Bpm: ed è il remunerativo contratto di distribuzione (vale il 13% dei ricavi del gruppo transalpino) in essere tra Amundi (la casa dei fondi controllata dall’Agricole) e Unicredit, che arriverà a naturale scadenza nel 2027. Se infatti Gae Aulenti, attraverso Bpm e Anima, riuscisse a ricostruire la filiera dei prodotti perduta dopo la cessione nel 2017 di Pioneer proprio ad Amundi, allora dovrebbe quanto meno ridimensionare l’accordo con fornitori esterni di fondi per favorire i marchi interni. Poteva, allora, Brassac accettare di perdere un simile partner considerando il peso che aveva sui suoi conti? Certamente no, ed ecco allora la motivazione di una mossa puramente di posizionamento, in vista dei colloqui che in queste settimane si faranno via via più intensi tra Milano e Parigi con l’ad italiano Orcel che è atteso a breve nella capitale francese per un faccia a faccia con Brassac.
Su quel tavolo si deciderà una grossa fetta del futuro di Bpm, con la sensazione che – alla fine – tra i due istituti un accordo si potrà trovare sulla base della salvaguardia (almeno in parte) dell’accordo di distribuzione di Amundi e degli interessi nelle varie fabbriche prodotto in cui la terza banca italiana è coinvolta. E chissà che la mossa di un istituto totalmente straniero come Agricole contribuisca a mutare la prospettiva anche nelle anime del governo che non vedono di buon occhio il tentativo di scalata firmato Unicredit.