Da una parte ci sono Alfredo Mantovano, autorevole sottosegretario della presidenza del Consiglio, che definisce il golden power «imprescindibile» e Adolfo Urso, ministro delle Imprese, per il quale il suo utilizzo «è uno strumento di politica industriale». Dall’altra ci sono il giurista Sabino Cassese, che lo descrive come un’arma a doppio taglio, e il ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, il quale si sofferma sulla necessità di trovare «un equilibrio tra tutela della sicurezza nazionale e crescita economica»: in poche parole, serve una riforma. Queste le posizioni emerse dal convegno organizzato ieri da Mediobanca «Golden power tra diritto, mercato e politica industriale» in memoria dell’avvocato Ariberto Mignoli. La più blasonata banca d’affari italiana vede logicamente con interesse un aumento degli affari e degli investimenti diretti esteri; dall’altra il governo è invece nella condizione di dover attrarre investitori senza perdere di vista la sicurezza in un’epoca di conflitti e spionaggi. «Il golden power è uno strumento imprescindibile, può essere ulteriormente affinato: ma funziona soltanto nella misura in cui è inserito in una strategia di sicurezza economica nazionale di più ampia portata», ha detto Mantovano, tenendo aperta la porta dell’esecutivo a valutare eventuali proposte di modifica della normativa. Sul tema è intervenuto anche il presidente della Consob, Paolo Savona, il quale ha osservato che «lo Stato deve provvedere alla sua sicurezza», ma se «il concetto si amplia per accogliere la sicurezza delle imprese, nascono sovrapposizioni istituzionali con le funzioni di altri organi». Nell’Unione europea si stima, ha sottolineato Nagel nel suo intervento, che «le operazioni oggetto di controllo rappresentino circa il 20% degli investimenti esteri diretti». I «settori dell’Ict e del manifatturiero sono quelli più soggetti a valutazione». Secondo il ceo di Mediobanca è «immaginabile che le misure di scrutinio preventivo limitino i volumi degli investimenti esteri diretti cui sono indiscutibilmente associati molteplici effetti positivi per l’economia che li riceve». Su questo punto si è soffermato anche Cassese, rilevando come il golden power rischi di «scoraggiare operazioni che potrebbero creare sviluppo» e innescare «un principio di reciprocità, per cui i Paesi oggetto di controllo degli investimenti possono fare altrettanto con le nostre imprese che investono da loro». Il giurista si interroga quindi sulla necessità di una riforma e cita le proposte di Assonime, l’associazione delle società per azioni italiane, tra «delimitazione delle attività strategiche», «limitazione delle operazioni infragruppo soggette a controllo», definizione dei «presupposti obblighi di notifica», limitazione delle prescrizioni e procedure snelle. Sia Urso che Mantovano, tuttavia, sottolineano che il governo ha centellinato l’uso del golden power: nel 2024, su 661 operazioni esaminate, sono stati esercitati i poteri in 27 occasioni e due procedimenti si sono conclusi con un veto. Di recente, il governo sta indagando su un’ipotesi di violazione delle prescrizioni in Pirelli: «L’elemento sensibile in questa procedura è costituito dal famoso sensore che è sui pneumatici e che fornisce informazioni», ha detto a margine Mantovano.
Le «prescrizioni di quel provvedimento richiedevano una presenza non straniera nella gestione di queste informazioni». Al momento si è in una fase di verifica, se fossero riscontrate violazioni allora scatterebbero le sanzioni al socio cinese Cnrc.