Il dado è tratto, ieri Unicredit ha depositato il prospetto della sua offerta pubblica di scambio su Banco Bpm presso la Banca centrale europea e la Consob. Si tratta di un passaggio atteso, formale, ma reso più interessante da alcune dichiarazioni dell’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel: «Riteniamo che la nostra offerta agli azionisti di Bpm sia congrua, in quanto portante un premio pari a circa il 15-20% rispetto al prezzo dell’azione Bpm, prima che fosse influenzata positivamente dall’offerta in corso su Anima e da ulteriori speculazioni riguardo a possibili operazioni». Orcel poi affonda il colpo, affermando che Piazza Meda è sopravvalutata: il manager sottolinea, infatti, che attualmente le azioni di Bpm vengono scambiate con un premio del 31% rispetto al consensus del rapporto tra prezzo e utili di Unicredit nel 2025 e del 44% sulle previsioni per il 2026. Poi arriva il richiamo agli azionisti della banca target che nel 2025 potrebbero beneficiare di «un distribution yield (rendimento da dividendi e riacquisto di azioni proprie, ndr) due volte superiore, con la possibilità di incrementare tale differenziale». Unicredit tira dritto sul prezzo, mantenendo però aperta la porta al rilancio: «Allo stesso tempo, siamo in continua discussione con tutti gli stakeholder».
Nel frattempo, Banco Bpm sta costruendo la muraglia per resistere all’assalto. Castagna si muove all’interno di un sentiero stretto per le limitazioni della passivity rule, che impedisce a chi è sotto Opa di mettere in atto azioni difensive. Qualcosa però si può fare: spalleggiato dal Credit Agricole, che nel frattempo si è attrezzato per salire al 15,1% della banca e punta al 19,99% in attesa dell’ok della Bce, dovrebbe convocare l’assemblea straordinaria degli azionisti per strappare il via libera ad alzare l’offerta per Anima (società dei fondi sulla quale aveva alzato a sua volta l’Opa). Chiuso l’affare, e incorporata la casa dei fondi, allora Orcel dovrà per forza di cose fare un’offerta tale da valorizzare il combinato di Bpm e Anima. Unicredit, dal canto suo, non può più tornare indietro: le stime parlano di un possibile rilancio cash da 3,7 miliardi di euro, ma potrebbe essere costretta a spingersi fino a 15-16 miliardi (la prima proposta vale circa 10,5 miliardi), per non parlare della quota del 5% in Montepaschi in capo proprio a Bpm che non è stata per niente considerata nell’Offerta pubblica di scambio. C’è poi un’altra mossa che in Piazza Meda stanno architettando per alzare ancor più il prezzo ed è di puntare su target finanziari molto ambiziosi, in termini di utili e dividendi, al fine di convincere gli azionisti che sia più conveniente rimanere indipendenti piuttosto che gettarsi nelle braccia di Orcel. Un’altra ipotesi circola sui mercati, ma è certamente molto più complessa da mettere a terra ed è di coinvolgere Mps, persuadendo l’ad Luigi Lovaglio ad accettare un’aggregazione. Il tema, qui, sarebbe quello di convincere tutti gli investitori chiave: a partire da Credit Agricole (lato Bpm), per arrivare a Francesco Caltagirone, Mef e Delfin (lato Mps). E, cosa non meno complessa, accompagnare il 70% e più di altri azionisti a sposare la causa. Operazione che potrebbe avvenire attraverso uno scambio di azioni, con una delle due che incorpora l’altra. Riuscirà Castagna ad allineare così tanti interessi? In finanza tutto è possibile, ma al momento è l’ipotesi più complessa e forse meno percorribile. Anche perché non si sa fino a che punto potrebbe convenire all’Agricole, interessata com’è a rinnovare un accordo di distribuzione tra la sua Amundi e Unicredit in scadenza nel 2027. Ipotesi, sulle quali però il mercato rimane alquanto guardingo con Banca Mps che ieri è salita dell’1,3% a 6,67 euro mentre Bpm è risultata in calo frazionale dello 0,18% a 7,84 euro. La strategia difensiva di Bpm, in ogni caso, non sarà svelata prima del 7 febbraio (alla pubblicazione dei conti).
Intanto, fra i vertici di Bpm e i sindacati è previsto un incontro lunedì sulle assunzioni a fronte di 1.600 esuberi. Il tavolo, con una base di partenza di 800 assunzioni era stato abbandonato dai sindacati confederali mentre Fabi e Unisin avevano proseguito i colloqui. Lunedì si potrebbe stringere su un’intesa da nuovi 1.100 ingressi.
«Dobbiamo raggiungere un accordo in tempi rapidi anche per il premio aziendale», ha detto il segretario generale di Fabi, Lando Maria Sileoni, «che le lavoratrici e i lavoratori del gruppo stanno aspettando e meritano per i risultati ottenuti».