Un’operazione di sistema, ben orchestrata e condotta nel più stretto riserbo. È lo spettacolare blitz con il quale il ministero dell’Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti, è riuscito in un colpo solo a raggiungere due obiettivi: 1) costituire un nocciolo duro di investitori italiani a presidio di Mps che rischiava di finire in mani francesi, 2) aprire la strada al Banco Bpm per la costruzione di un nuovo polo bancario di dimensioni europee. La nuova rete che si va creando in tal modo aggrega la risanata banca senese a Bpm, che nel frattempo sta per portare nel suo perimetro anche Anima (su questo fronte è probabile che arriverà una richiesta di ritocco al rialzo del prezzo). Da non sottovalutare, in scena entrano anche due investitori importanti e con spalle molto larghe come il Gruppo Caltagirone e la Delfin, la cassaforte degli eredi Del Vecchio guidata da Francesco Milleri. Mercoledì sera, dopo un’operazione che ha portato nelle casse dello Stato 1,1 miliardi con tanto di premio sul prezzo di Borsa, di fatto è nato un polo bancario da oltre venti miliardi di capitalizzazione. E, sebbene per il momento non ci sarà un processo di aggregazione, le sinergie e gli intrecci che ne sono alla base daranno vita a un gruppo unico che vanta un peso borsistico superiore a Commerzbank, la seconda banca tedesca, la quale ha una capitalizzazione che si ferma a 18,7 miliardi.
Ieri è stata la giornata delle reazioni, in primis quella del mercato che ha dimostrato di apprezzare il blitz rovesciando un’ondata di acquisti in particolare su Mps (+11,6% a 6,15 euro per azione) ma anche su Bpm (+3% a 6,96 euro). Insomma, una volta tanto, un’operazione finanziaria con regia pubblica si è trasformata in un successo non solo agli occhi della Borsa ma anche a quelli della critica. Va tra l’altro registrata la soddisfazione espressa dall’istituto guidato da Luigi Lovaglio e presieduto da Nicola Maione, con quest’ultimo che si è complimentato con il Mef per «l’ottima decisione», per poi sottolineare come questo risultato confermi «l’apprezzamento da parte del mercato, per il grande lavoro fatto da tutta la banca in questi anni». A sua volta Lovaglio ha scritto ai dipendenti per condividere un traguardo «che ci deve rendere estremamente orgogliosi e spingerci a fare ancora meglio, con quel sano spirito che ci ha sempre guidato nel mercato». Ma più che un successo politico, è stato un gioco di squadra perfetto tra le componenti del panorama finanziario italiano, peraltro molto ben orchestrato dal ministro Giorgetti. Ma come è partito tutto? Mentre in ambienti finanziari circolavano voci di presunte cordate di imprenditori che alla prova dei fatti non hanno trovato alcuna concretezza, il ministro ha sollevato il telefono per sondare Francesco Gaetano Caltagirone e il vertice di Delfin. Incassata la loro disponibilità, il tutto si è definito velocemente. Decisivo è anche stato il ruolo di Bpm, che una volta mossasi su Anima aveva tutto l’interesse a mettere un robusto presidio in Mps. Il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni, legge «la decisione di Bpm» di rilevare il 5% «per avere il via libera da parte delle autorità di vigilanza all’acquisizione di Anima e per distribuire, così, prodotti finanziari nella rete Montepaschi». Una visione non dissimile da quella dello stesso ceo di Piazza Meda, Giuseppe Castagna, che ieri ha scritto ai suoi dipendenti spiegando che «solo poche ore fa abbiamo acquisito una partecipazione azionaria pari al 5% del capitale sociale di Mps, il più importante distributore di prodotti del gruppo Anima, dopo di noi». Inoltre: «Siamo il terzo polo bancario in Italia e vogliamo crescere ancora, pur restando focalizzati sugli obiettivi del Piano al 2026». Sta di fatto che il convergere degli interessi tra il Mef e l’istituto guidato da Castagna – non a caso la banca d’affari interna Akros ha fatto da advisor al collocamento del Tesoro – è stato il perno necessario a far nascere il tridente perfetto. A Giorgetti, a quel punto, non è rimasto che consultare a fari spenti anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, e la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, i quali gli hanno dato la loro benedizione. Ora, Mps potrà contare su un gruppo di investitori italiani composto da Bpm (5%), Anima (4%), Caltagirone (3,5%) e Delfin (3,5%), un 16% che si aggiunge alla partecipazione dell’11,7% posseduta dal Tesoro che andrà verso un’uscita di scena, ma lo farà consapevole di aver costituito un argine agli appetiti di potenziali investitori stranieri, come potrebbe essere il Credit Agricole, azionista con 9,1% in Bpm, che verosimilmente ci penserà due volte prima di insidiare la banca di Castagna.
Le ripercussioni, tuttavia, non si fermeranno alla sola Mps o Bpm, perché a cambiare sarà tutto il quadro della finanza italiana. Sullo sfondo, infatti, c’è la partita per il rinnovo dei vertici delle Generali, nella primavera del 2025. Stavolta non sarà uno scontro frontale tra Mediobanca e la coppia Caltagirone-Delfin come avvenuto tre anni fa.
E uno dei motivi corre proprio sull’asse tra Siena e Milano, dal quale è nato un contropotere finanziario che non può più essere ignorato e probabilmente porterà la Mediobanca di Alberto Nagel (che con il 13,1% del capitale è il socio di riferimento del Leone di Trieste) a cercare una soluzione di maggiore compromesso con i soci forti, vale a dire Caltagirone (con il 6,2% delle azioni oltre a una quota di derivati non precisati) e Delfin (9,7%) da sempre animati da una volontà di contare di più nel cda di Trieste e spingere la compagnia ad aumentare di dimensioni anche per mettersi al riparo dagli appetiti di altri giganti del settore. Insomma, una sorta di riedizione in salsa finanziaria del detto latino «Si vis pacem, para bellum», se vuoi la pace prepara la guerra.