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Il più importante studio cinese sull’inizio della pandemia

Un gruppo di ricercatori cinesi ha pubblicato un nuovo studio sui dati relativi ad alcuni campioni raccolti all’inizio del 2020 nel mercato di Wuhan, la città cinese dove ormai più di tre anni fa erano stati identificati i primi casi di COVID-19. Lo studio era molto atteso ed è stato molto commentato perché è il primo effettuato sui prelievi fatti nel mercato di Wuhan a essere sottoposto a una revisione esterna: i dati sui prelievi, finora, erano stati trattati dalla Cina con scarsa trasparenza, cosa che aveva contribuito ad aumentare le polemiche.

Lo studio non offre comunque conclusioni definitive: non chiarisce se il coronavirus abbia iniziato a diffondersi proprio dal mercato né se la diffusione dei contagi sia partita dagli animali. Secondo i ricercatori, i campioni raccolti dalle superfici del mercato contenevano sia tracce di materiale genetico degli animali selvatici venduti al mercato sia tracce di coronavirus: sono dati importanti perché lo studio cinese fornisce gli indizi più solidi finora del fatto che nelle primissime fasi della pandemia gli animali venduti al mercato di Wuhan fossero venuti a contatto con il coronavirus, anche se non ci sono ancora prove certe del fatto che gli animali fossero infetti.

Le analisi sono state svolte da alcuni ricercatori del Centro cinese per la prevenzione e il controllo delle malattie e sono state mercoledì sulla rivista scientifica Nature. La sua pubblicazione era attesa anche perché a lungo la Cina non era stata particolarmente collaborativa nelle ricerche internazionali sulle origini del coronavirus.

I dati derivano dalla raccolta di campioni effettuata nei primi giorni del 2020 al mercato del pesce Huanan di Wuhan. Oltre a vendere pesce, alcune bancarelle del mercato vendevano anche varie specie di mammiferi, spesso vivi e tenuti a stretto contatto in gabbie facilmente accessibili ai clienti. I ricercatori avevano effettuato numerosi prelievi di campioni dalle superfici dei banchi del mercato, ma anche da scaffali, gabbie e macchinari all’interno.

L’analisi dei ricercatori era stata all’Organizzazione Mondiale della Sanità e in una versione preliminare nelle scorse settimane, ma senza rendere note le informazioni genetiche relative ai campioni raccolti, che sono invece contenute nello studio completo. Secondo le analisi, alcuni campioni risultati poi positivi al coronavirus erano compatibili con materiale genetico riconducibile ad animali che ormai sappiamo essere particolarmente esposti al contagio, tra cui zibetti e cani procione (che non sono imparentati con i procioni ma sono chiamati così perché gli assomigliano).

Secondo alcuni scienziati, questa potrebbe essere un’ulteriore prova che l’origine della pandemia derivi dalla trasmissione () del virus dagli animali alle persone. Altri invece invitano a usare grande cautela, anche perché non è chiaro come mai i risultati delle analisi siano stati condivisi più di tre anni dopo la raccolta dei campioni, i cui dati peraltro erano stati dalle autorità cinesi da uno dei principali archivi online per la virologia.

Gli stessi ricercatori cinesi chiariscono che i campioni «non confermano» che gli animali fossero effettivamente infetti, e che di conseguenza lo studio non offre «prove definitive» per determinare che l’origine della pandemia sia dovuta a uno spillover, un passaggio tra specie diverse. In uno studio preliminare pubblicato a febbraio, il gruppo di ricerca cinese aveva anzi che il virus fosse stato portato al mercato da qualche persona già contagiata, e che si fosse semplicemente diffuso da lì.

A più di tre anni dall’inizio della pandemia ci sono ancora diverse teorie e ipotesi sull’origine del coronavirus, ma non ci sono prove sufficienti per chiarire dove e come tutto sia cominciato. Scoprirlo potrebbe essere molto utile per ridurre il rischio che in futuro si verifichino nuove pandemie causate da altri virus, con le pesanti conseguenze sperimentate in questi anni sia in termini di morti che di cambiamenti di abitudini di vita.

Sull’origine del coronavirus ci sono ancora ampie polemiche. Alcune agenzie statunitensi (ma non tutte) ritengono che l’origine della pandemia possa essere legata a avvenuto in Cina, un’ipotesi che era già emersa nell’ottobre del 2021, quando erano stati resi pubblici alcuni documenti dell’intelligence americana. Altre agenzie di intelligence statunitensi continuano invece a sostenere ipotesi diverse sull’origine del coronavirus e ritengono che le valutazioni che hanno portato a quelle considerazioni siano deboli. La Cina ha sempre respinto con forza l’ipotesi di un incidente di laboratorio, citando anche le conclusioni dell’, che l’ha definita «molto improbabile».

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Fonte: https://www.ilpost.it/scienza/feed/


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