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    Anche nei mari si raggiungono nuovi record di temperatura

    Ultimamente si stanno registrando nuovi record di temperatura non solo nell’aria vicina al suolo, ma anche negli oceani e nei mari. Il 24 luglio una boa nella Baia dei Lamantini, circa 65 chilometri a sud di Miami, in Florida, ha registrato 38,4 °C, che potrebbe essere la più alta temperatura marina mai rilevata, se la misura sarà confermata. Il record precedente risaliva all’estate del 2020, quando nel Golfo Persico, vicino al Kuwait, erano stati registrati 37,6 °C. E sempre il 24 luglio la temperatura superficiale media del mar Mediterraneo ha raggiunto 28,4 °C: anche in questo caso si tratta di un record, finora la media più alta erano i 28,25 °C dell’agosto del 2003.L’innalzamento delle temperature marine è una parte del riscaldamento globale causato dalle attività umane che si percepisce poco nella vita quotidiana, ma preoccupa da tempo la comunità scientifica che si occupa di clima e quest’anno ha attirato l’attenzione in modo particolare. Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile infatti la media globale della temperatura marina superficiale aveva raggiunto il valore più alto mai registrato (21,05 °C) secondo i dati della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di meteorologia. In particolare si erano registrati valori di temperatura molto alti rispetto alla media nel nord dell’oceano Atlantico. Poi a maggio e a giugno i valori delle temperature medie delle superfici marine sono stati i più alti mai registrati per quei mesi, superando anche di 0,5 °C i record precedenti.Secondo il Climate Change Service di Copernicus, il programma di collaborazione scientifica dell’Unione Europea che si occupa di osservazione della Terra, a causa delle temperature particolarmente alte raggiunte nel nord dell’Atlantico ci troviamo in un «territorio sconosciuto» per quanto riguarda il contesto meteorologico.Secondo le prime valutazioni dei climatologi questi record sono stati dovuti al più generale riscaldamento globale in combinazione con altri fattori che ancora non sono stati definiti con precisione. A giugno Albert Klein Tank, direttore dello Hadley Centre del Met Office, l’ufficio meteorologico nazionale del Regno Unito, aveva ipotizzato che c’entrasse l’indebolimento di alcuni venti che normalmente portano sabbia del deserto del Sahara al di sopra dell’Atlantico settentrionale e ne abbassano le temperature, perché la sabbia riflette la luce solare.Negli ultimi sette anni, ogni anno, le temperature medie degli oceani sono aumentate rispetto al precedente e nel 2022 hanno raggiunto i valori massimi dagli anni Cinquanta, quando si cominciarono a registrare con sistematicità. Il riscaldamento dei mari è un problema per varie ragioni: causa morie di animali e piante marine, contribuisce all’innalzamento del livello del mare (perché maggiore è la temperatura dell’acqua minore è la sua densità, e quindi maggiore il volume che occupa) e favorisce i fenomeni meteorologici estremi come gli uragani negli oceani e i grossi temporali nel bacino del Mediterraneo. Infatti tanto più sono caldi gli strati superficiali dell’acqua, maggiore è l’evaporazione dell’acqua e dunque l’umidità nell’aria che può intensificare le precipitazioni.#ImageOfTheDayThe marine heatwave sweeping across the Mediterranean Sea is hitting record highs, particularly in the central basinAccording to @CMEMS_EU, sea temperature anomalies have spiked to +5.5°C along the coasts of Italy, Greece and North Africa ♨️ pic.twitter.com/NcHpboKP60— 🇪🇺 DG DEFIS #StrongerTogether (@defis_eu) July 27, 2023Finora le temperature marine sono aumentate meno rispetto a quelle atmosferiche: in media di circa 0,9 °C rispetto ai livelli pre-industriali, mentre quella media dell’aria vicina al suolo è aumentata di 1,5 °C rispetto allo stesso periodo, cioè rispetto a prima che i paesi più ricchi cominciassero a diffondere grandi quantità di gas serra nell’atmosfera. Si stima che circa il 90 per cento del calore ceduto all’atmosfera dalle attività umane sia stato assorbito dagli oceani, che però hanno potuto assorbirne molto senza grosse ripercussioni per decenni.L’anomalia di temperatura, cioè la differenza rispetto alla temperatura media della superficie marina nel periodo 1971-2000, per la giornata del 24 luglio 2023 secondo i dati preliminari della NOAA; nell’Atlantico settentrionale e nel Mediterraneo si sono registrate temperature medie di 5 o anche 6 °C superiori alla media storica– Leggi anche: In Italia le grandinate sono aumentate LEGGI TUTTO

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    Che cosa sono i “downburst”

    In seguito ai forti temporali che negli ultimi giorni hanno interessato varie zone del Nord Italia si è parlato molto dei “downburst”, fenomeni meteorologici che portano in pochi minuti venti molto forti accompagnati da una grande quantità di pioggia. Come spesso avviene in questi casi, con grandi attenzioni da parte della popolazione e dei giornali, il termine è diventato ricorrente ed è stato impiegato anche in contesti molto diversi tra loro, generando una certa confusione su cosa sia effettivamente un downburst e da che cosa sia causato.In generale, il processo di formazione di un temporale inizia con la presenza di correnti ascensionali, cioè di masse di aria calda che si spostano dal basso verso l’alto. Questo spostamento è dovuto al calore che il suolo scaldato dal Sole cede all’ambiente circostante e all’evaporazione dell’acqua che si trova nel terreno, nelle piante e nelle masse d’acqua. L’aria calda è meno densa di quella fredda, di conseguenza sale verso gli strati più alti dell’atmosfera portando con sé il vapore acqueo.La fase di accumulo può durare a lungo e porta le nuvole a svilupparsi verticalmente, con la loro sommità che può arrivare fino a 12mila metri di altitudine. Con queste dimensioni la nuvola diventa un sistema via via più complesso, poiché tra il suo punto più alto e quello più basso ci sono svariati chilometri, con condizioni di pressione e di temperatura anche molto diverse.Le tre principali fasi di evoluzione delle perturbazioni temporalesche (Wikimedia)Mentre in basso le correnti ascensionali più calde che arrivano dal suolo continuano ad alimentare la nuvola con altra aria umida e instabile, nella parte più alta le minuscole gocce d’acqua iniziano a unirsi tra loro e a diventare sempre più grandi e in parte a congelare, formando blocchi di ghiaccio che potranno dare origine alla grandine. Se le correnti ascensionali non sono particolarmente intense, l’aria più fredda e densa nella nuvola inizia a cadere verso il basso insieme alle gocce d’acqua e al suolo piove, con intensità relativamente moderata: un comune acquazzone per intenderci. Se invece le correnti di aria calda dal basso sono molto intense, le cose cambiano.Dopo un prolungato periodo di alte temperature – come per esempio durante un’ondata di caldo simile a quella che abbiamo avuto nei giorni scorsi – il suolo dissipa calore per più tempo e questo produce correnti ascensionali più forti e persistenti. Queste riescono a risalire fino agli strati più alti della nuvola e a fare in modo che al suo interno restino sospese le gocce di acqua e i blocchi di ghiaccio, che quando raggiungono gli strati più bassi della nuvola vengono nuovamente spinti verso l’alto. Il processo porta a un grande accumulo di energia, che verrà dissipata dalla nuvola nel momento in cui le correnti ascensionali non saranno più così intense. È come se pioggia e ghiaccio fossero tenute sospese e libere di crescere da un enorme ventilatore messo a terra e puntato verso l’alto, che a un certo punto si spegne lasciando che cadano.(US National Weather Service)L’improvvisa mancanza delle correnti ascensionali fa sì che che le gocce di pioggia e i blocchi di ghiaccio inizino a precipitare velocemente, raggiungendo infine il suolo. Con la loro caduta una grande quantità di aria viene trascinata verso il basso: man mano che questa si raffredda diventa più densa e fluisce verso il suolo velocemente. Il fenomeno è ulteriormente acuito nel caso in cui lo strato d’aria tra la parte inferiore della nuvola e il suolo sia meno umido (relativamente): l’evaporazione dell’acqua in caduta aumenta e si abbassa ulteriormente la temperatura, rendendo l’aria ancora più densa.Il downburst è ormai in corso e sta per avere i propri effetti. La grande colonna d’aria in caduta raggiunge il suolo verticalmente e si diffonde rapidamente in ogni direzione, un po’ come fa l’acqua che esce da un rubinetto quando colpisce il fondo del lavello. Si generano venti che soffiano pressoché orizzontalmente a una velocità che in molti casi può superare abbondantemente i 100 chilometri orari. Il rapido spostamento d’aria fa sì che la pioggia viaggi per lunghi tratti quasi parallelamente al suolo prima di raggiungerlo.(National Oceanic and Atmospheric Administration)Un downburst può durare diversi minuti perché genera effetti che si ripercuotono su buona parte del sistema temporalesco, portando a un rapido abbassamento della temperatura al suolo, alla ulteriore riduzione delle correnti ascensionali e quindi a ulteriori precipitazioni. Se il fenomeno si verifica in un’area relativamente circoscritta, di solito fino a un raggio di 4 chilometri, si parla di “microburst”, mentre per fenomeni più estesi si utilizza il termine “macroburst”.Per quanto altamente energetici e spesso distruttivi, i downburst non devono essere confusi con i tornado meno frequenti in Italia (nel nostro paese vengono spesso chiamati “trombe d’aria”, ma sono concettualmente la stessa cosa). Un tornado produce una corrente d’aria vorticosa con la caratteristica nube a forma di imbuto: è relativamente più localizzato di un downburst e si sposta diventando meno distruttivo man mano che dissipa la propria energia. Un tornado interessa una striscia non molto ampia di territorio, mentre un downburst può riguardare un’area più estesa, come si è visto negli ultimi giorni nel Nord Italia.Danni causati dal tornado che ha interessato l’area di Washington, Illinois (Stati Uniti) il 17 novembre 2013 (Tasos Katopodis/Getty Images)I downburst a volte vengono scambiati per tornado perché a distanza il fenomeno appare con una forma simile a quella di un imbuto/incudine, anche se ha un diametro molto più grande e soprattutto le correnti non sono vorticose, ma come abbiamo visto dirette verso l’esterno rispetto al punto di impatto della colonna di aria fredda e pioggia. La differenza è evidente anche negli effetti: nel caso dei downburst le cose abbattute, come per esempio gli alberi, sono tutte orientate verso la stessa direzione, mentre nel caso dei tornado l’orientamento è più disordinato. In Italia i tornado su terra sono del resto poco comuni e riguardano aree circoscritte e ben conosciute.Alberi abbattuti da un downburst (Wikimedia)Ormai da diversi anni il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite segnala nei propri rapporti come il riscaldamento globale, causato in buona parte dalle attività umane, abbia reso più frequenti gli eventi meteorologici estremi, compresi downburst molto energetici. LEGGI TUTTO

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    In Italia le grandinate sono aumentate

    I nubifragi, le trombe d’aria e le grandinate che negli ultimi giorni hanno colpito il Nord Italia, dal Friuli Venezia Giulia alla Lombardia, sono stati dovuti allo spostamento verso sud dell’anticiclone responsabile della precedente ondata di calore: l’incontro tra correnti d’aria fredda provenienti da nord con l’aria calda e umida sopra la Pianura Padana ha causato una serie di temporali molto intensi. È un fenomeno tipico della stagione estiva e che tuttavia secondo studi recenti è diventato più frequente negli ultimi anni, probabilmente per via del cambiamento climatico.«Dal 1999 al 2021 nel bacino del Mediterraneo le grandinate sono aumentate», spiega Sante Laviola, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (ISAC-CNR) ed esperto dell’uso dei satelliti per la meteorologia: «In particolare nell’ultimo decennio sono aumentate del 30 per cento, lo abbiamo misurato grazie ai satelliti». Laviola è uno degli autori di alcuni studi che hanno permesso di capire delle cose in più sulla grandine, un fenomeno meteorologico ancora relativamente poco compreso a causa della storica difficoltà di raccogliere dati al riguardo.Le grandinate possono verificarsi in qualunque punto del pianeta ma avvengono con frequenza molto maggiore in alcune regioni per via della morfologia del loro territorio: c’è più probabilità che si generino dove ci sono alte montagne che influiscono sulla circolazione delle masse d’aria nell’atmosfera. Ad esempio grandina con particolare frequenza nella grande pianura al centro degli Stati Uniti, tra gli Appalachi e le Montagne Rocciose, che è anche detta “Tornado Alley”, “corridoio delle trombe d’aria” (le trombe d’aria sono spesso associate alla grandine). Anche l’Italia, avendo due estese catene montuose, è molto soggetta a grandinate, specialmente nella Pianura Padana e ancora più in particolare in Friuli Venezia Giulia, le cui aree pianeggianti sono quasi completamente circondate dalle montagne.Non è comunque solo la forma del territorio a influire sulla probabilità che avvenga una grandinata, ma anche le condizioni atmosferiche, e per questo ci sono stagioni dell’anno in cui grandina più di frequente. In Italia la stagione delle grandinate è storicamente compresa tra aprile e ottobre, anche se in anni recenti sembra essersi estesa fino a novembre.È più probabile che grandini d’estate perché questo fenomeno si crea all’interno delle cosiddette nubi convettive, che sono dovute alla presenza di masse d’aria calda e umida nell’atmosfera e si possono riconoscere perché si sviluppano molto in verticale. Quando la superficie terrestre è particolarmente calda e lo è per molte ore al giorno, l’aria più vicina a terra sale verso l’alto portandosi dietro l’acqua evaporata dal suolo e dagli specchi d’acqua. Se salendo in quota le masse d’aria calda e umida incontrano aria più fredda, il vapore acqueo condensa, formando una nube: è detta convettiva perché in fisica si definisce “moto convettivo” quel fenomeno per cui un fluido riscaldato si muove verso l’alto, mentre quello più freddo e denso va verso il basso.«All’interno delle nubi convettive», spiega Laviola, «le correnti ascendenti e discendenti sollevano ingenti quantità di masse d’acqua sotto forma di goccioline. Nel percorso verso l’alto si accrescono, si raffreddano fino a superare un livello di temperatura che si chiama “zero termico”, cioè dove c’è il passaggio di stato dal liquido al solido: quindi l’acqua ghiaccia. Ai cristalli d’acqua ghiacciata si avvicinano altre goccioline che ghiacciano attorno al nucleo principale, che è l’embrione del chicco di grandine, e lo rendono più grande: immaginiamo nuclei di ghiaccio che si muovono in un mare di piccole goccioline, salendo e scendendo». A volte succede anche che chicchi diversi si uniscano, creando grandine di grosse dimensioni.Legnano poco fa … pic.twitter.com/m6beddy2DG— Roberto Luraghi (@LuraghiRoberto) July 24, 2023A un certo punto le masse di ghiaccio diventano così grandi che la forza di gravità vince la spinta verso l’alto delle correnti ascensionali e quindi inizia a grandinare.È ciò che è successo negli ultimi giorni nel Nord Italia: l’aria vicina al suolo era molto calda per l’ondata di calore causata dall’anticiclone, una zona di alta pressione in cui l’aria tende a spostarsi dall’alto verso il basso. Quando l’anticiclone si è spostato verso sud, l’aria vicina alla superficie ha cominciato a salire, arrivando poi a formare nubi convettive.Fino a qualche decennio fa la grandine poteva essere studiata con molti limiti perché essendo un fenomeno fugace e molto localizzato, cioè che si verifica per poco tempo, di solito mezz’ora al massimo, su aree circoscritte, c’è poco tempo per rilevarla e non è detto che si abbiano gli strumenti adeguati per studiarla: le dimensioni dei chicchi di grandine infatti si misurano a terra coi grelimetri, pannelli orizzontali con una superficie di circa 20 centimetri per 40 che si deforma all’impatto con i chicchi di grandine. In Italia sono sufficientemente diffusi solo in Friuli Venezia Giulia, una regione storicamente molto interessata dalla grandine.Nell’ultima ventina d’anni però le osservazioni dirette coi grelimetri e coi radar meteorologici hanno potuto essere ampliate grazie ai satelliti dotati di strumenti di radiometria a microonde, che permettono di rilevare la presenza di chicchi di grandine all’interno delle nubi, e di farlo per un ampio territorio contemporaneamente. Dato che non misurano i chicchi caduti a terra, restituiscono la probabilità di una grandinata e delle dimensioni dei suoi chicchi, ma grazie a dei modelli matematici possono comunque fornire dati utili agli scienziati per capire quanto spesso grandina in una regione. Permettono inoltre di studiare anche le grandinate che avvengono in mare.Laviola e i suoi colleghi hanno appunto sviluppato un modo per sfruttare i dati dei satelliti a questo scopo e così hanno scoperto che dal 1999 al 2021 la frequenza delle grandinate nel bacino del Mediterraneo è aumentata. Vale sia per le grandinate con chicchi con diametro compreso tra i 2 e i 10 centimetri, che danneggiano sempre le coltivazioni e anche altre cose progressivamente al crescere delle dimensioni, sia per le cosiddette supergrandinate o grandinate estreme, quelle con chicchi dal diametro superiore ai 10 centimetri, che sono distruttive per qualunque cosa.In una delle recenti grandinate in Friuli è stato peraltro battuto il record europeo per chicco di grandine col diametro maggiore: 19 centimetri.Can confirm 19 cm based on the cloth pic.twitter.com/7OGda2s932— Federico Pavan (@PavanFederico00) July 25, 2023Il gruppo di ricerca di cui fa parte Laviola ha anche cercato di capire se il recente aumento delle grandinate possa essere legato al cambiamento climatico. Il problema è che 22 anni di dati non sarebbero sufficienti per dirlo, dato che «tutto quello che accade a una scala inferiore a cinquant’anni non è climatologia». Per questo i ricercatori hanno indagato sui cinquant’anni precedenti utilizzando altri tipi di dati: non sulla grandine, dato che non ce ne sono, ma su altre variabili atmosferiche che però hanno una forte influenza sulla probabilità di grandinate e su cui invece sono disponibili dati storici europei per il bacino del Mediterraneo a partire dal 1949.Una di queste variabili è la temperatura superficiale del Mediterraneo, che influenza la probabilità di grandinate perché più è alta più evaporazione genera: e questa è in aumento da decenni a causa del cambiamento climatico. Le altre sono un indice che dice quanta energia potenziale c’è nell’atmosfera che può generare moti convettivi, la temperatura media alla quota in cui si genera la convezione e l’altezza dello zero termico, cioè la quota in cui l’acqua liquida diventa ghiaccio: tutte queste variabili sono aumentate dal 1949 a oggi, anche per via del cambiamento climatico. E indirettamente hanno permesso di ricostruire che in questi decenni le condizioni favorevoli alle grandinate sono state sempre più frequenti.«Se gli ultimi settant’anni hanno dimostrato un trend in crescita, è abbastanza inverosimile che la tendenza cambi in futuro», conclude Laviola, «ma per il futuro abbiamo degli scenari, non previsioni. Aumenteranno le grandinate? Probabilmente sì, ma non sicuramente sì». LEGGI TUTTO

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    La tecnica per far piovere di più

    Il cloud seeding, in italiano qualcosa come “inseminazione delle nuvole”, è una tecnica di stimolazione artificiale delle piogge basata sulla diffusione di getti di ioduro d’argento o di ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido) all’interno di determinate nuvole, da aerei appositi o tramite cannoni da terra. È nota in meteorologia fin dagli anni Cinquanta, ma esistono da tempo dubbi e perplessità sulla sua efficacia e sulla sua concreta utilità. Per questo motivo, nel corso dei decenni, il suo utilizzo è sostanzialmente rimasto un fenomeno di nicchia.Da qualche tempo, anche a causa dell’intensificazione dei fenomeni associati al cambiamento climatico, il cloud seeding è tuttavia considerato da un crescente numero di agenzie governative, agricoltori e imprenditori un modo relativamente abbordabile di mitigare alcuni effetti a breve termine dei prolungati periodi di siccità. Ad aziende che offrono servizi di questo tipo ricorre da tempo il governo degli Emirati Arabi Uniti, un paese molto poco piovoso. Ma ultimamente la richiesta è aumentata anche negli Stati Uniti occidentali e in Messico, dove il cloud seeding è visto come un’alternativa più economica a tecnologie più impegnative come la desalinizzazione dell’acqua pompata nell’entroterra dall’Oceano Pacifico o dal Golfo del Messico.In Italia, dove esperimenti di stimolazione artificiale della pioggia furono condotti per alcuni anni in Puglia, Sicilia, Sardegna e Basilicata, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, il cloud seeding è generalmente tradotto come “inseminazione delle nuvole”. La sperimentazione diede buoni risultati soltanto nel primo anno, in Puglia: una media del 30 per cento in più di precipitazioni rispetto alla media cinquantennale nell’area di intervento. Dopo il primo anno una prolungata siccità condizionò i risultati dell’esperimento, riducendo drasticamente la presenza di sistemi nuvolosi adatti a stimolare le precipitazioni e mostrando uno dei principali limiti di questa tecnica.In sostanza ogni attività di cloud seeding richiede prima di tutto l’individuazione di nuvole sufficientemente cariche di umidità e adatte anche per altre caratteristiche, in cui iniettare le sostanze in grado di favorire la condensazione del vapore e aumentare le precipitazioni. «È come prendere una spugna gocciolante e strizzarla», ha spiegato al Wall Street Journal Jonathan Jennings, meteorologo della West Texas Weather Modification Association, un’associazione che su autorizzazione dello stato del Texas si occupa fin dagli anni Novanta di un progetto di induzione delle piogge in sei contee occidentali.Secondo dati condivisi dall’associazione il cloud seeding è in grado di aumentare del 15 per cento le piogge annuali in una determinata area, rispetto ai livelli normali. E questo aumento si traduce in circa 50 mm di precipitazioni in più all’anno: acqua che può essere utilizzata per irrigare le coltivazioni durante i periodi di siccità e in generale per ricaricare le falde acquifere sotterranee, a cui attingono agricoltori, allevatori e residenti nelle zone rurali del Texas occidentale. Altri utilizzi del cloud seeding – meno comuni ma in alcuni casi di lunghissima durata, come in Colorado – riguardano l’induzione di nevicate più abbondanti nelle stazioni sciistiche.(DooFi/Wikimedia)L’idea del cloud seeding risale alla fine della Seconda guerra mondiale: nel novembre 1946 il chimico e meteorologo statunitense Vincent Schaefer, dopo aver condotto diversi studi ed esperimenti sulla formazione del ghiaccio in alta quota, riuscì a stimolare la formazione di cristalli di ghiaccio tramite la dispersione di ghiaccio secco all’interno di una nube nelle montagne del Berkshire, in Massachusets. Schaefer lavorava da anni nell’impianto di ricerca industriale della General Electric, a Schenectady, nello stato di New York, e lì aveva avuto l’opportunità di collaborare stabilmente con il fisico e chimico statunitense Irving Langmuir, che nel 1932 aveva vinto il premio Nobel per le sue ricerche nell’ambito della chimica delle superfici.– Leggi anche: Le inusuali piogge artificiali negli Emirati Arabi UnitiOgni nube è formata da miliardi di goccioline d’acqua, che evapora da oceani, mari, corsi d’acqua, suolo e vegetazione. Perché si formi la pioggia è necessario che il vapore acqueo portato verso l’alto dalle correnti ascensionali e contenuto nell’atmosfera terrestre si condensi intorno ai nuclei di condensazione: minuscole particelle igroscopiche – cioè in grado di assorbire molecole d’acqua – che permettono alle goccioline di cui è composta la nube di aumentare di volume. Questo fa sì che la forza di gravità esercitata sulle goccioline diventi a un certo punto maggiore delle forze ascensionali che agiscono all’interno della nube, determinando l’effettiva caduta della pioggia (o della neve, a seconda della temperatura in quota).In pratica Schaefer scoprì, un po’ per caso e dopo vari tentativi, che il ghiaccio secco poteva fungere da nucleo di condensazione e favorire la formazione di cristalli di ghiaccio all’interno della nube. Anche un altro suo collega alla General Electric, lo statunitense Bernard Vonnegut, peraltro fratello maggiore dello scrittore Kurt, lavorò alla ricerca sul cloud seeding. E scoprì che lo ioduro d’argento, un composto dalla struttura simile a quella dei cristalli di ghiaccio, poteva essere utilizzato al posto del ghiaccio secco e ancora più efficacemente per produrre pioggia e neve.Il direttore delle operazioni di volo della Weather Modification Inc., una società di cloud seeding del North Dakota, sistema su un aereo i contenitori di sostanze da disperdere in volo prima di un intervento, fuori dalla sede della compagnia a Fargo, il 20 settembre 2017 (Foto AP/Dave Kolpack)Nonostante la scoperta fosse stata accolta con entusiasmo da Schaefer, Langmuir e Vonnegut, e nonostante la tecnica fosse anche relativamente economica, il cloud seeding non attirò un esteso interesse da parte di governi e agenzie. O perlomeno non quello che ci si aspetterebbe che si sviluppi intorno a una scoperta potenzialmente in grado di modificare il clima. Negli Stati Uniti, come raccontato nel 2010 dallo Smithsonian, un fatto avvenuto nel 1947 in Florida condizionò in parte la percezione pubblica della scoperta.In uno dei suoi numerosi esperimenti con il ghiaccio secco e le nubi, Langmuir volle verificare l’ipotesi che il cloud seeding possa servire a disperdere l’energia degli uragani prima che si abbattano a terra, “prosciugando” le nuvole prima che si spostino verso i centri abitati. La mattina del 13 ottobre 1947, due giorni dopo che un uragano aveva colpito Miami per poi perdere potenza e spostarsi verso Jacksonville, Langmuir fece spargere un’ottantina di chilogrammi di ghiaccio secco da un Boeing B-17 dell’aeronautica statunitense mentre l’aereo, decollato da una base militare a Tampa, volava circa 150 metri sopra la tempesta. Una volta conclusa l’operazione il B-17 tornò alla base.La tempesta, che fino a quel momento si era spostata verso nord-est e aveva perso potenza, riprese slancio e si diresse verso la costa atlantica per poi abbattersi a terra vicino a Savannah, in Georgia. L’uragano causò danni per decine di milioni di dollari e provocò la morte di alcune persone. Nel giro di qualche giorno cominciarono a circolare sui giornali locali informazioni e racconti sull’operazione del B-17. I militari non condivisero dettagli sul volo, ma negarono che l’esperimento avesse potuto in alcun modo deviare la tempesta. Pur in mancanza di dati su cui basare una correlazione tra la forza e la direzione dell’uragano e il volo del B-17, l’esperimento di Langmuir influenzò l’opinione pubblica riguardo a quei primi tentativi di modificare artificialmente il clima.Un’altra ragione dello scetticismo che da sempre circola intorno al cloud seeding riguarda il fatto che non sia possibile avere alcuna prova definitiva della sua efficacia: come ha detto a The Hustle una persona che lavora nel settore, «non è che stai creando fiocchi di neve di colore diverso». In altre parole, dal momento che il tempo è imprevedibile, non è possibile avere alcuna certezza che nell’area in cui ghiaccio secco o ioduro d’argento sono stati diffusi nelle nuvole non avrebbe piovuto o nevicato comunque, anche senza cloud seeding.Lo scetticismo non ha tuttavia impedito che nel corso degli anni nascessero diverse società che si occupano di cloud seeding, tra cui la Seeding Operations and Atmospheric Research (SOAR), che lavora da oltre un decennio nel programma di induzione delle piogge nelle contee aderenti del Texas occidentale, con contratti da 300mila dollari all’anno.Secondo un dipendente della SOAR sentito da The Hustle l’intera industria statunitense del cloud seeding non supera i 10 milioni di dollari all’anno, il che lo rende in ogni caso un settore ancora abbastanza di nicchia. Altre società lavorano sia negli Stati Uniti che all’estero. La Weather Modification Inc., con sede nel North Dakota, è considerata la più grossa nel settore e ha contratti multimilionari in tutto il mondo, incluso un accordo a lungo termine con l’Arabia Saudita.Società come la SOAR e la Weather Modification Inc. utilizzano principalmente ioduro d’argento (ma anche ioduro di potassio o ghiaccio secco), che viene disperso in volo da aeroplani di piccole e medie dimensioni. Sono guidati da piloti abili a muoversi tra nuvole cariche di umidità e che di solito nei voli normali, sia per comodità che per sicurezza, si cerca perlopiù di evitare.Un’altra tecnica di cloud seeding è quella che utilizza le stesse sostanze ma erogandole da terra, in alcuni casi tramite mezzi di artiglieria. Nel 2008, in occasione dei Giochi olimpici a Pechino, circolarono a lungo le immagini di dipendenti pubblici impegnati a utilizzare cannoni antiaerei e lanciarazzi caricati a ioduro d’argento per indurre le piogge nelle periferie e disperdere nuvole che avrebbero potuto raggiungere il centro e disturbare la cerimonia di apertura. La Cina è uno dei paesi che investe di più nel cloud seeding: in totale circa 40mila persone per 500mila operazioni meteorologiche condotte tra il 2002 e il 2012.Un funzionario del programma di modifica del tempo nella contea cinese dello Xiangshan mostra un cannone utilizzato in operazioni di cloud seeding a Pechino, in Cina, il 19 luglio 2007 (China Photos/Getty Images)In uno studio del 2017 tre ricercatori del dipartimento di Scienze dell’atmosfera e geografia dell’Università Nazionale di Taiwan (NTU) associarono i regimi autoritari a un maggiore utilizzo del cloud seeding. Notarono in generale nei paesi non democratici una maggiore ambizione dei governi a modificare il clima, un minore dissenso nell’opinione pubblica riguardo a queste tecniche e una minore capacità di verificare e controllare i risultati delle operazioni meteorologiche.– Leggi anche: Come la Cina vuole controllare il meteoL’efficacia del cloud seeding nel produrre un aumento statisticamente significativo delle precipitazioni continua a essere oggetto di dibattito accademico, con risultati di volta in volta contrastanti a seconda dello studio e degli esperti presi in considerazione. Nel 2018, dopo aver esaminato i diversi programmi di cloud seeding attivi nel mondo, l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) definì il cloud seeding una tecnologia promettente ma affermò che la variabilità naturale in ogni sistema di nubi rende difficile quantificare quanto sia efficace.Uno studio molto citato del 2014, condotto da diversi enti di ricerca per lo stato del Wyoming, stimò che le operazioni di cloud seeding erano riuscite a incrementare il livello delle precipitazioni del 5-15 per cento, ma il valore più alto riguardava soltanto i casi in cui erano comunque presenti condizioni ideali di partenza. E in ogni caso, come sintetizzato da The Hustle, «alcuni centimetri in più in una stagione non mettono fine a una siccità, né trasformano Phoenix in una palude».Rispetto ad altri interventi molto costosi e impegnativi, come per esempio la costruzione di impianti di desalinizzazione o la deviazione del corso dei fiumi, il cloud seeding rimane una tecnica sicuramente più economica: che è anche una delle ragioni principali per cui la ricerca in materia continua in molti stati e paesi a essere finanziata. Ma anche i sostenitori più autorevoli concordano nel considerarla, nella migliore delle ipotesi, una tecnica con un impatto molto limitato sulle precipitazioni e praticamente nullo sugli effetti a lungo termine del cambiamento climatico. «Non facciamo piovere. Possiamo soltanto ottenere più pioggia dalle nuvole che Dio ci manda», ha detto un dipendente della SOAR. LEGGI TUTTO

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    L’ameba mangia-cervello, parliamone

    Caricamento playerA inizio luglio nello stato indiano del Kerala un quindicenne è morto a causa di una meningoencefalite amebica primaria (PAM), una infezione causata da Naegleria fowleri soprannominata spesso “ameba mangia-cervello”. Il quindicenne era stato ricoverato per una sospetta encefalite a fine giugno e in seguito i medici avevano scoperto la causa del malessere, non riuscendo però a trattarlo. La PAM è una condizione estremamente rara, ma con un tasso molto alto di letalità, superiore al 95 per cento. È nota da circa 60 anni ed è studiata da tempo non solo per il particolare comportamento dell’ameba e del nostro sistema immunitario per provare a distruggerla, ma anche per il modo in cui si contrae l’infezione: di solito inizia tutto con un banale spruzzo d’acqua.Anche se viene chiamata ameba mangia-cervello, N. fowleri non è tecnicamente un’ameba vera e propria, ma alterna forme flagellate ad ameboidi: in sostanza ci assomiglia molto in alcuni stadi del suo ciclo vitale. Come altri suoi simili, N. fowleri è ghiotta di batteri dei quali va a caccia per spezzarli e nutrirsene. In natura vive solamente in acqua dolce e prolifera negli stagni, nei laghi, nelle fonti termali e talvolta in tratti di fiumi e torrenti dove la corrente è tranquilla. Può però essere trovata anche nelle tubature degli acquedotti, nelle fontane e nelle piscine, in particolare se l’acqua non è trattata adeguatamente per essere resa potabile attraverso l’aggiunta di cloro.N. fowleri prolifera soprattutto al caldo e per questo tende a essere più presente nell’acqua tra la fine della primavera e l’estate. Il periodo coincide con quello in cui si frequentano le piscine o si va a nuotare al lago, di conseguenza le infezioni avvengono con maggiore frequenza nella stagione calda. Si stima infatti che ogni anno milioni di persone vengano in contatto con l’ameba senza particolari problemi: se si beve accidentalmente un po’ d’acqua contaminata gli acidi dello stomaco provvedono a distruggere l’ospite indesiderata e non ci sono problemi. Se invece si inala qualche goccia d’acqua la storia cambia.In piscina o al lago ci si tuffa e si nuota, ma soprattutto si producono molti spruzzi d’acqua all’interno dei quali ci sono milioni di virus, batteri e in qualche raro caso N. fowleri. Basta inalare un po’ d’acqua perché l’ameba si ritrovi nel naso e inizi a esplorarne l’interno alla ricerca di batteri di cui nutrirsi. La mucosa nasale, che contiene sostanze che favoriscono la neutralizzazione di molti agenti esterni, non interagisce in modo significativo con N. fowleri e così nemmeno le prime difese del sistema immunitario. L’ameba passa inosservata e nella maggior parte dei casi dopo qualche tempo muore, salvo non riesca a intercettare qualcosa che l’attira moltissimo più in profondità nella cavità nasale: le cellule nervose dell’olfatto.(Wikimedia)Le cellule olfattive utilizzano diversi segnali chimici per trasmettere le informazioni che poi il nostro cervello provvederà a trasformare in sensazioni, come riconoscere il profumo di una brioche appena sfornata o quello di un gelsomino fiorito. Una delle sostanze impiegate per queste comunicazioni è l’acetilcolina, una molecola molto importante per la trasmissione nervosa e che N. fowleri è attrezzata per riconoscere. Non è ancora oggi molto chiaro come mai l’ameba abbia sviluppato questa capacità, che è poi alla base del modo in cui riesce a infettare il nostro organismo.Lo scambio di acetilcolina tra le cellule olfattive e il cervello è molto frequente e viene seguito da N. fowleri, che in questo modo riesce ad aprirsi la strada verso il cervello. Le amebe non dovrebbero esserci tra le terminazioni delle cellule olfattive e per questo la loro presenza viene notata dal sistema immunitario, che tenta un primo attacco con i granulociti neutrofili, cellule poco specializzate che mettono in atto sistemi alquanto rudimentali per distruggere gli agenti esterni. Utilizzano sostanze chimiche per provare a fare a pezzi e dissolvere le amebe, ma è una lotta impari che raramente termina con la distruzione di tutti gli invasori.N. fowleri prosegue il proprio viaggio lungo le terminazioni delle cellule olfattive e, di solito entro una decina di giorni da quando era stata inalata, riesce infine a raggiungere il cervello dove la sua attività viene ulteriormente stimolata dalla grande disponibilità di acetilcolina. Qui l’ameba produce particolari molecole che fanno a pezzi i neuroni, in modo che se ne possa nutrire. Inizia a moltiplicarsi e a trasformarsi, sviluppando minuscole ventose che si attaccano e distruggono le membrane delle cellule, nutrendosi di parte del loro contenuto.Stadi del ciclo vitale di N. fowleri, da sinistra: cisti, trofozoide e forma flagellata (Wikimedia)In questa fase il sistema immunitario tenta un nuovo attacco, sempre attraverso i granulociti neutrofili cui si aggiungono altre cellule immunitarie come quelle della microglia, responsabili della difesa immunitaria nel sistema nervoso centrale. Anche in questo caso è un attacco di prima difesa non specializzato, una sorta di bombardamento a tappeto che provoca ulteriori danni alla materia cerebrale e che ha però scarso effetto sulle amebe, che riescono a difendersi e a neutralizzare le cellule immunitarie. Il sistema immunitario non riesce nemmeno a organizzare una difesa più specifica attraverso gli anticorpi, che dovrebbero segnalare alle cellule immunitarie specializzate gli obiettivi da colpire. La risposta immunitaria porta a un’infiammazione e alla febbre, che di solito è utile per rallentare virus e batteri, ma che in questo caso può poco contro un’ameba che prolifera soprattutto al caldo.Nell’area dell’infezione iniziano ad accumularsi liquidi che comportano un aumento della pressione intracranica. È di solito in questa fase che compaiono i primi sintomi come febbre, mal di testa e nausea: sono quasi sempre lievi e tali da non suscitare grandi preoccupazioni o da spingere a cercare l’aiuto di un medico. In pochi giorni i sintomi peggiorano con la comparsa di allucinazioni, stati confusionali e una grande stanchezza. L’infiammazione prosegue con il cervello sempre più gonfio e compresso nella scatola cranica.È di solito in questa fase che un paziente arriva in ospedale, in condizioni precarie e con una diagnosi difficile da fare. L’infezione da N. fowleri è molto rara e non sempre conosciuta, di conseguenza le prime analisi sono dirette verso malattie e condizioni più comuni, come forme di meningite e di encefalite. Il tempo è un fattore importante, ma anche nel caso di una diagnosi precoce le possibilità di sopravvivenza sono molto basse. Non c’è una cura e i trattamenti sperimentati in questi anni si sono rivelati nella maggior parte dei casi inefficaci.I casi di PAM da N. fowleri vengono solitamente trattati con l’amfotericina B, un antimicotico che porta alla rottura della membrana cellulare dell’ameba e alla sua morte. Il trattamento non è però particolarmente efficace e la quasi totalità dei pazienti muore ugualmente. Negli ultimi tempi è stato anche sperimentato l’impiego della miltefosina, un antiparassitario che interviene sui processi di comunicazione cellulari, ma anche in questo caso i risultati non sono stati molto promettenti.Per quanto possa apparire spaventosa, un’infezione da N. fowleri è estremamente rara, e questo è bene ricordarlo sempre. Da quando fu scoperta negli anni Sessanta ne sono stati identificati circa 450 casi in tutto il mondo e solo sette persone sono sopravvissute. In generale, è molto più probabile morire per annegamento in acque contaminate dall’ameba che per via della sua inalazione. Anche se ogni anno qualcuno deve fare i conti con un’infezione probabilmente mortale, l’ameba non costituisce un’emergenza sanitaria.Dagli studi condotti finora sembra che N. fowleri proliferi soprattutto quando non deve competere con altri organismi che si nutrono delle sue stesse cose a cominciare dai batteri. In assenza di competizione, la concentrazione dell’ameba aumenta sensibilmente e sembra che anche in questo abbiano un ruolo le attività umane. Lo sversamento di acqua calda a valle dei processi industriali, per esempio, causa la morte di numerosi microrganismi e favorisce invece quelli che prosperano soprattutto a temperature più alte.L’interesse intorno a N. fowleri è comunque grande non solo per la ricerca di una cura davvero efficace, ma per le caratteristiche stesse dell’”ameba mangia-cervello”. Molti aspetti della sua storia evolutiva non sono ancora chiari, né sappiamo quali eventi l’abbiano resa così agguerrita e avida di cellule del nostro cervello. LEGGI TUTTO

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    Il luogo più caldo della Terra

    Caricamento playerDa diversi giorni negli Stati Uniti come in altri paesi del mondo si stanno registrando temperature massime molto al di sopra della media per questo periodo dell’anno. Nel weekend nella Death Valley, un parco nazionale che si trova in California ed è generalmente considerato il posto più caldo della Terra, il Servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti ha registrato temperature intorno ai 53 °C.Queste temperature, eccezionali anche per la Death Valley, hanno attirato decine di turisti nella zona. Molti di loro sono andati a Furnace Creek, un’area del parco dove si trova il centro visitatori con un grande termometro digitale esposto, nella speranza di documentare le temperature straordinariamente elevate di questi giorni con foto e selfie. Secondo alcune previsioni la temperatura potrebbe aumentare ulteriormente nei prossimi giorni, superando il record di 56,7 °C che viene fatto risalire a più di un secolo fa.Finora la temperatura più alta sulla superficie della Terra ufficialmente registrata risale al 10 luglio del 1913, quando nella Death Valley furono raggiunti i 56,7 °C. Non tutti i meteorologi ritengono affidabile quella misurazione, ma il record del 1913 fu ufficializzato dopo uno studio del 2013 dell’Organizzazione meteorologica mondiale, che giudicò non affidabile la temperatura di 58 °C registrata erroneamente nel settembre del 1922 in Libia, a cui apparteneva il record fino a quel momento.Temperature simili sono state rilevate poche altre volte negli anni e quasi sempre nella Death Valley. Daniel Swain, climatologo dell’Università della California, ha spiegato al New York Times che potrebbero esserci luoghi più caldi della Death Valley, come alcune parti del Sahara, che però sono troppo remoti per un monitoraggio affidabile. Secondo gli standard stabiliti dall’Organizzazione meteorologica mondiale infatti i termometri devono essere schermati dal sole e sollevati dal suolo, come quelli ufficiali utilizzati nella Death Valley. Tenendo conto di queste valutazioni la valle è attualmente considerata il posto più caldo della Terra.Death Valley broke a high temp record today!🤔 A world record? NO.That’s 134° (July 10th, 1913).🤔 A daily record? YES!127° WAS the hottest July 16th (2005, 1972).Furnace Creek observed 128° today (so far!) @ 2:20p PDT, breaking the daily record.🥵#DeathValleyWxRecords pic.twitter.com/0JfwHdF6Df— NWS Las Vegas (@NWSVegas) July 16, 2023La Death Valley è una depressione desertica nella parte est della California, al confine con il Nevada. Le alte temperature dipendono dalla profondità e dalla forma della valle, che è lunga e stretta, si trova a circa 86 metri sotto il livello del mare ed è circondata da alte catene montuose. Il nome, che in italiano significa Valle della Morte, era stato dato a questa zona da un gruppo di colonizzatori che vi si persero attorno alla metà del 1800: uno solo di loro morì ma gli altri temettero di non sopravvivere proprio per le dure condizioni climatiche.La particolare conformazione della Death Valley favorisce l’accumulo di calore al suolo, rallentando gli scambi con l’aria circostante, spesso stagnante. Le regioni desertiche che confinano con la Death Valley, specialmente a est e a sud, portano aria già calda verso la valle, pressoché priva di vegetazione e rocciosa. Nelle giornate d’estate le temperature raggiungono spesso i 49 °C, anche all’ombra, e di notte scendono intorno ai 30 °C. D’inverno invece sono più miti e si avvicinano ai 20 °C durante il giorno.La valle si può visitare tutto l’anno ma d’estate può essere particolarmente pericoloso fare escursioni per via del caldo troppo intenso, che può causare forti insolazioni o altri malori, e in casi più rari anche la morte. Ogni anno più di un milione di turisti visita il parco, molti di loro tra luglio e agosto, e per prevenire possibili situazioni di pericolo sul sito ufficiale della Death Valley vengono pubblicati quotidianamente aggiornamenti sulle condizioni meteo, eventuali restrizioni e avvisi, e tutte le informazioni necessarie per organizzare in sicurezza i viaggi nella valle. Tra queste per esempio è consigliato pianificare qualsiasi tipo di escursione prima delle dieci di mattina oppure dopo le quattro del pomeriggio, così come è scritto anche sui cartelli segnaletici che si trovano lungo il percorso, e se le condizioni sono troppo pericolose alcuni sentieri possono essere chiusi. LEGGI TUTTO

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    “Caronte”, “Cerbero”, “Minosse”

    Molti giornali italiani e stranieri si riferiscono all’ondata di calore che in questi giorni sta interessando l’Italia con un nome proprio, “Caronte”. Si fa qualcosa del genere anche per uragani e tempeste, i cui nomi però sono scelti da servizi meteorologici pubblici o dal coordinamento tra vari paesi, rispettando precisi criteri condivisi. I nomi delle ondate di calore che riguardano l’Italia invece sono un’iniziativa indipendente del popolare sito di previsioni ilMeteo: da anni sono usati dai media sebbene l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) delle Nazioni Unite sia contraria ad attribuire nomi alle ondate di calore.Antonio Sanò, presidente di ilMeteo e inventore dei nomi italiani delle ondate di calore, racconta: «Nel giugno 2012 ci fu un’ondata di caldo e siccome in altri paesi c’era già la tendenza a dare nomi, decisi di farlo anche io e diedi il nome “Scipione l’Africano” all’ondata di calore arrivata a giugno a causa dell’anticiclone africano». Il nome venne poi adottato anche da alcuni giornali e quindi pochi giorni dopo, all’inizio di luglio, Sanò replicò l’iniziativa, chiamando “Caronte” la successiva ondata di calore: «Mandai un comunicato all’Ansa con il nuovo nome e dopo cinque minuti era sulla prima pagina del Corriere della Sera».Anche l’attuale ondata di calore è stata chiamata “Caronte” da ilMeteo perché è a sua volta arrivata a luglio. I nomi degli uragani assegnati dalla WMO vengono scelti a partire da una lista di nomi femminili e maschili decisa all’inizio di ogni anno: un nome può essere ripetuto se sono passati almeno sei anni dall’ultima volta in cui era stato usato, e sono esclusi solo i nomi usati per uragani così distruttivi che risulterebbe inappropriato e disorientante riutilizzare. Sanò invece ripropone sempre lo stesso nome per ogni ondata di calore che secondo i criteri di ilMeteo ha caratteristiche simili, e spesso sono ispirati alla Commedia di Dante Alighieri.Parlando della prima “Caronte”, Sanò spiega: «Feci questa associazione mentale: nel linguaggio popolare si dice fa un caldo “infernale”, l’inferno per antonomasia è quello della Divina Commedia in cui Caronte è il traghettatore delle anime. C’era questa analogia col mese di luglio e quindi scrissi “Arriva Caronte che ci traghetterà nel cuore dell’estate”». Anche “Minosse”, un altro nome usato da ilMeteo per le ondate di calore, è un personaggio dell’Inferno, e così “Cerbero”: le associazioni tra le ondate di calore e i nomi di ilMeteo sono prima di tutto metaforiche e quindi qualitative, e poi sono legate al periodo in cui si verificano, mentre non rispondono a definiti intervalli di temperature.«Caronte causa caldo opprimente su tutta l’Italia e sul Mediterraneo e si verifica nella prima parte del mese di luglio», continua Sanò: «“Cerbero” è un nome che abbiamo usato per la prima volta quest’anno: sapevamo che l’ondata di calore non sarebbe stata la prima, cioè “Scipione”, e nemmeno la più forte, quella che traghetta nel cuore dell’estate, cioè “Caronte”, quindi è stato scelto un nome nuovo».La WMO definisce come ondata di calore un periodo di vari giorni e notti in cui si registrano temperature inusualmente più alte rispetto alla media di quello stesso luogo per un trentennio di riferimento. Ogni paese poi può adottare definizioni più precise in base alle valutazioni dei propri servizi meteorologici nazionali (in Italia di solito si parla di ondata di calore quando si verifica un periodo di almeno 3 giorni consecutivi in cui la temperatura media giornaliera è significativamente superiore alla media del periodo 1981-2010 o 1991-2020). In generale non c’è comunque un’unica temperatura di soglia oltre la quale si parla di ondata di calore: è diversa da località a località, sulla base della relativa storia climatica. Questa è una delle ragioni per cui sarebbe difficile dare nomi condivisi alle ondate di calore.Un’altra è che mentre tempeste e uragani sono fenomeni che si possono identificare con precisione e per cui è molto facile fare previsioni precise, le ondate di calore sono meno definite e possono avere conseguenze molto diverse in territori diversi: c’è il rischio che quindi un’indicazione associata a un nome preciso sia corretta per una zona e meno per un’altra.Per Sanò il vantaggio dell’uso dei nomi è comunicativo: «La scienza può diffondersi solo se diventa per tutti e i nomi sono un modo per avvicinare la gente a questo argomento: negli ultimi anni c’è stato un aumento dell’interesse per la meteorologia anche grazie a un modo di comunicare che abbiamo introdotto anche noi, più popolare, complice il cambiamento climatico».Anche altre persone che si occupano di clima avevano ipotizzato che attribuire dei nomi propri alle ondate di calore potesse essere utile per motivi di comunicazione, e in particolare per far prendere coscienza a più persone possibili dei rischi legati a questi fenomeni. Per questo nell’ottobre del 2022 la WMO Services Commission, una delle commissioni dell’organizzazione, si era riunita per valutare questa possibilità, ma aveva concluso all’unanimità che non convenisse farlo per varie ragioni.In aggiunta a quelle già citate, una ragione è che non è mai stato provato con degli studi appositi che nominare le ondate di calore aiuti a ricordare i rischi corsi in passato in occasione di ondate precedenti e che aiuti a capire bene i rischi attuali. Per la WMO c’è inoltre il rischio che l’uso di nomi non ufficiali riduca l’autorevolezza degli enti pubblici che sono deputati a dare indicazioni e allerte sul meteo.«Dare dei nomi alle ondate di calore mette l’attenzione su aspetti sbagliati», ha ribadito la WMO in un comunicato del 18 luglio: «Dare un nome proprio a una singola ondata di calore è fuorviante per l’attenzione del pubblico e dei media, li distoglie dai messaggi più importanti, quelli che riguardano chi è a rischio e come bisogna occuparsene». In pratica per la WMO la pratica di assegnare nomi non ufficiali può creare confusione nella comunicazione e conseguenze negative, oltre a far perdere tempo ai servizi meteorologici pubblici.IlMeteo esiste dal 2000 ed è diventato particolarmente popolare dal 2010, cioè da quando ha iniziato a diffondersi l’uso delle app sugli smartphone. Stando ai dati della società di rilevazione Audiweb aggiornati allo scorso maggio ha poco più di 6 milioni di utenti unici al giorno. La sua pratica di assegnare nomi propri alle ondate di calore è stata criticata dal Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, l’unico ente pubblico che produce previsioni del tempo in Italia. L’editoriale di un numero della Rivista di meteorologica aeronautica dello scorso anno diceva che l’attribuzione di questi nomi avrebbe «poco a che fare con un’analisi seria di ciò che accade da un punto di vista meteorologico».Dal 2021 il Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, che peraltro contribuisce alle previsioni della WMO, assegna i nomi alle perturbazioni cicloniche più intense che interessano il Mediterraneo centrale, che poi sono usati in tutta Europa per identificarle. LEGGI TUTTO

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    Il grande caldo nell’emisfero boreale

    Caricamento playerDa alcuni giorni in parte dell’Europa, del Nord Africa, dell’Asia e del Nord America si registrano temperature massime molto al di sopra della media per questo periodo dell’anno. Secondo le previsioni in Europa si potrebbero raggiungere nuovi record, specialmente in Italia dove per Sicilia e Sardegna sono previste massime fino a 48 °C martedì. Negli Stati Uniti la grande ondata di calore sta interessando in particolare il sud e gli stati occidentali, con una massima di 53,9 °C registrata nella Death Valley in California, spesso uno dei posti più caldi del pianeta. In Cina sono stati raggiunti i 52,2 °C secondo le prime rilevazioni provvisorie: se confermate, sarebbe un nuovo record per la temperatura più alta mai registrata nel paese.L’Europa sta affrontando una seconda ondata di calore in appena una settimana, con temperature alte soprattutto in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Il caldo interessa inoltre buona parte del bacino del Mediterraneo ed è causato da un sistema di alta pressione proveniente dal Nord Africa, che ha ridotto la probabilità di precipitazioni e portato a condizioni in parte comparabili con quelle dell’agosto del 2021, quando in alcune zone della Sicilia si erano registrate massime intorno ai 48,8 °C.Nei giorni scorsi il ministero della Salute aveva segnalato un alto livello di rischio a causa del caldo in 16 città. Secondo le previsioni martedì 18 luglio ci sarà un aumento marcato delle temperature massime e minime, probabilmente con nuovi record. A Roma si prevedono massime intorno ai 42-43 °C, al di sopra del record dei 40,5 °C registrato nell’agosto del 2007. Il fronte di aria calda in arrivo da sud-ovest sull’Italia è mostrato in buona parte delle elaborazioni effettuate utilizzando dati satellitari, che rilevano gli spostamenti di masse d’aria a diverse temperature nell’atmosfera.⚠️🔴♨️🇮🇹The arrival of the severe #heatwave over #Italy is visible in the RGB Airmass product by #eumetview.Look at the red area of very warm air slowly extending on the peninsula and the islands in the latest 12hrs(until 14.30UTC) #Caronte #Weather @Giulio_Firenze @climatemon pic.twitter.com/ar00cqHj1R— antonio vecoli 🛰️🇪🇺#️⃣ (@tonyveco) July 16, 2023In Spagna sono previste temperature massime ben al di sopra dei 40 °C in buona parte del centro-sud del paese, zone in cui fa già solitamente molto caldo d’estate, ma anche in questo caso con probabili nuovi record rispetto alle rilevazioni degli anni scorsi.#Predicción de #temperaturas máximas y mínimas para #hoy y sus variaciones (2/2). https://t.co/nkt7p7WaxU pic.twitter.com/0lsHkfuS1Q— AEMET (@AEMET_Esp) July 17, 2023L’ondata di caldo sul Mediterraneo e il Sud Europa è dovuta a un anticiclone, cioè un sistema di alta pressione, che si presenta spesso in estate e che comporta periodi con poche piogge, scarsa nuvolosità e poco vento. A differenza dei fronti di bassa pressione, gli anticicloni si muovono più lentamente e possono interessare per giorni, talvolta settimane, estese porzioni di territorio. La loro permanenza in aree dove solitamente fa già molto caldo, come la zona desertica del Sahara, li rende ancora più stabili e caldi. L’anticiclone attuale secondo le previsioni impiegherà almeno un paio di settimane per dissipare parte della propria energia, sotto forma di calore, prima di lasciare spazio alle piogge.Negli ultimi anni è stata osservata una maggiore permanenza degli anticicloni sull’Europa, così come la loro capacità di spingersi più verso nord rispetto a quanto avveniva alcuni decenni fa. Il cambiamento è ormai evidente, ma ricondurre singoli fenomeni agli effetti del riscaldamento globale è difficile e richiede molte analisi. In generale si è comunque osservato un cambiamento delle correnti atmosferiche, con andamenti compatibili con le ondate di caldo rilevate negli ultimi anni e con i prolungati periodi di siccità.Una analisi sull’ultima ventina di anni in Europa ha segnalato come le ondate di calore siano diventate più intense e frequenti. Lo scorso anno vari paesi europei come Spagna, Francia e Italia avevano superato in più occasioni i 40 °C di temperatura massima giornaliera. Il fenomeno era stato ricondotto da alcuni studi al cambiamento climatico, con avvisi sull’aumentato rischio di avere estati più calde con maggiore frequenza.Nel Nord America un altro sistema di alta pressione sta causando un marcato aumento delle temperature massime, con avvisi e allerte da parte delle autorità negli Stati Uniti e che nel complesso riguardano un’area in cui vivono oltre 100 milioni di persone. A Las Vegas, nel Nevada, le previsioni segnalano che si potrebbero raggiungere i 47,2 °C, segnando un nuovo record per la città. Non molto distante, a Phoenix in Arizona, la temperatura media giornaliera non è scesa sotto i 43 °C per più di due settimane, mentre a El Paso in Texas si è attestata intorno ai 38 °C.Una misurazione con un termometro non ufficiale della temperatura a Furnace Creek nella Death Valley, California, Stati Uniti (David McNew/Getty Images)In Asia la situazione non è migliore, con molti paesi che hanno dovuto affrontare più ondate di calore già a partire dallo scorso aprile. In Cina domenica 16 luglio è stato registrato un nuovo record con una temperatura massima di 52,2 °C nella città di Sanbao, nella regione autonoma dello Xinjiang. Il record precedente era di 50,3 °C ed era stato registrato nel 2015 nella depressione in cui si trova il lago di Ayding, sempre nello Xinjiang. Il territorio cinese è molto ampio e comprende aree climatiche diverse tra loro, di conseguenza sono frequenti forti sbalzi di temperatura in alcune aree. Negli ultimi anni, però, i fenomeni estremi sono diventati più frequenti e con maggiori effetti rispetto a un tempo.China just experienced its highest temperature in recorded history, topping out at an unbelievable 52.2°C (126°F).This crushes the country’s previous all-time high by 1.7°C (3°F). pic.twitter.com/CrmdgGgm7g— Colin McCarthy (@US_Stormwatch) July 16, 2023Parte della Cina sud-orientale si sta intanto preparando all’arrivo del tifone Talim, che porterà forti venti e piogge sulla costa. Alcune zone sono state evacuate e ci si attende che le precipitazioni diventino più intense entro martedì. Anche il Vietnam si sta preparando al passaggio del tifone e ha disposto l’evacuazione di circa 30mila persone nelle aree che si prevede saranno maggiormente interessate. Secondo le autorità locali, il tifone potrebbe essere uno dei più intensi degli ultimi anni per il golfo del Tonchino, nel Mar Cinese Meridionale.Il passaggio del tifone Talim a Hong Kong lunedì 17 luglio 2023 (AP Photo/Louise Delmotte)In Giappone sono stati diffusi avvisi alla popolazione per i rischi dovuti alle alte temperature, con massime intorno ai 40 °C. In Corea del Sud il presidente Yoon Suk-yeol ha detto di voler ripensare le strategie adottate per affrontare le ondate di calore e più in generale gli eventi atmosferici estremi, in particolare dopo le forti alluvioni che hanno interessato il paese negli ultimi giorni. Le piogge intense hanno causato inondazioni e allagamenti nei quali sono morte almeno 40 persone, mentre oltre 100mila hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Nel paese ci sono stati estesi blackout e la risposta delle autorità all’emergenza è stata giudicata carente.È probabile che nel corso di questa estate ci saranno altre ondate di calore, così come è possibile che l’anno in corso si riveli il più caldo mai registrato. Sull’andamento delle temperature potrebbe incidere anche “El Niño”, l’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e che influenza buona parte del clima del pianeta, contribuendo a un aumento della temperatura media globale.Domenica intanto la temperatura media globale della superficie marina (SST) ha raggiunto i 20,98 °C, con una nuova anomalia record rispetto al periodo di riferimento 1991-2020: 0,64 °C in più.La prima settimana di luglio è stata definita dall’Organizzazione meteorologica mondiale come la più calda mai registrata, sulla base dei dati preliminari finora raccolti, che saranno poi ulteriormente studiati e analizzati. Secondo gli esperti è probabile che da qui a fine agosto si registreranno nuovi record, dovuti sia agli effetti del riscaldamento globale dovuto alle attività umane sia all’influenza di El Niño. LEGGI TUTTO