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    Anche sulle Ande ha fatto molto caldo, sebbene sia inverno

    Tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto, quando nell’emisfero australe è inverno, un’ondata di calore ha interessato varie parti del Sud America meridionale, facendo registrare temperature particolarmente elevate sia in Cile che in Argentina e causando una notevole fusione della neve sulle Ande.South America is living one of the extreme events the world has ever seenUnbelievable temperatures up to 38.9C in the Chilean Andine areas in mid winter ! Much more than what Southern Europe just had in mid summer at the same elevation: This event is rewriting all climatic books pic.twitter.com/QiiUKllWWP— Extreme Temperatures Around The World (@extremetemps) August 1, 2023Il primo agosto a Buenos Aires sono stati misurati 30 °C, la temperatura più alta mai registrata nei 117 anni di misurazioni del Servicio Meteorológico Nacional: in media ad agosto nella capitale argentina le temperature massime si aggirano intorno ai 17 °C e il precedente record di temperatura per il primo di agosto era di 24,6 °C. Lo stesso giorno a Santiago del Cile sono stati registrati 23 °C, quasi 7 °C al di sopra dei valori medi per questo periodo dell’anno. In altre località dei due paesi si sono raggiunti anche 37 o 39 °C.Raul Cordero, climatologo dell’Università di Santiago, ha detto a Reuters che ci sono state anomalie di temperatura rispetto alle medie anche di 15 °C. Sulle Ande l’effetto delle temperature si è visto in modo particolare nel parco naturale cileno di Yerba Loca, dove a 2.700 metri di altitudine si trova una stazione meteorologica dell’Università di Santiago ed è stata osservata una ingente fusione della neve nel giro di una settimana.En cuestión de días desapareció la Nieve estacional alrededor de nuestra estación de monitoreo “nival” en #LosAndes (2600 m snm, frente a Santiago🇨🇱)👇En pleno invierno austral, intensa #OlaDeCalor🔥eliminó la Nieve andina por debajo de los 3000 m snm en Chile central. pic.twitter.com/OygwvkDGQn— Antarctica.cl (@Antarcticacl) August 2, 2023La fusione della neve è particolarmente preoccupante perché negli ultimi anni anche parte del Cile, dell’Argentina e di altri paesi sudamericani è stata interessata da una siccità; e se si scioglie troppa neve in inverno significa che la prossima estate ci sarà meno acqua. Parlando con il quotidiano cileno La Tercera, Cordero ha detto che in primavera ed estate potrebbero esserci anche dei problemi di approvvigionamento per l’acqua potabile nelle grandi città del Cile centrale.L’ondata di calore è stata causata da un anticiclone, cioè una zona di alta pressione atmosferica associata al bel tempo, particolarmente persistente che è rimasto sul versante orientale delle Ande per vari giorni. È probabile che questo fenomeno meteorologico si possa ricondurre all’influenza del cosiddetto “El Niño”, quell’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e influenza il clima di gran parte del pianeta ma soprattutto quello dei paesi sudamericani e del Sud-Est asiatico. Proprio per via della presenza di El Niño, che secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale è ufficialmente tornato a giugno, si prevede che nell’emisfero australe la prossima estate (quando in Italia sarà inverno) sarà particolarmente calda.2AGO | #Temperaturas máximas de ayer (°C)🌡️🔥Rivadavia 39Las Lomitas 36,8Tartagal 36,8Presidencia Roque Sáenz Peña 36,5Ceres 36Villa María del Río Seco 35,5Reconquista 35,2Resistencia 35,2Sunchales 34,8Rafaela 34,5Orán 34,1Sgo del Estero 33,8 pic.twitter.com/rWpRHO60YG— SMN Argentina (@SMN_Argentina) August 3, 2023Già all’inizio di luglio parte del Sud America era stata interessata da un’ondata di calore che aveva influito parecchio sulle temperature medie dell’emisfero australe: il 4 luglio la temperatura media dell’emisfero aveva superato di 1 °C la media dello stesso giorno per il periodo dal 1979 al 2000; non era mai successo in nessun altro giorno che ci fosse un’anomalia di temperatura superiore a 1 °C rispetto alle medie 1979-2000. Anche questa parte del mondo è interessata dalle conseguenze del riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra umane, tuttavia per via della conformazione geografica dei continenti meridionali finora si sono visti maggiori record di temperature nell’emisfero boreale. LEGGI TUTTO

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    Abbiamo scoperto solo una piccola parte dei dinosauri

    Caricamento playerGli ultimi decenni sono stati più volte definiti una «età dell’oro» per lo studio dei dinosauri perché dall’inizio del secolo è aumentato tantissimo il numero di nuove specie fossili scoperte. «Ogni settimana si scopre in media una nuova specie di dinosauro», raccontava Steve Brusatte, professore dell’Università di Edimburgo e attualmente uno dei paleontologi più conosciuti e autorevoli del mondo, nel suo libro del 2018 Ascesa e caduta dei dinosauri. Oggi conosciamo più di mille specie secondo il Paleobiology Database gestito dalla comunità scientifica paleontologica, eppure si stima che siano ancora moltissime le specie sconosciute: probabilmente «milioni, o forse decine di milioni», ha detto Brusatte di recente allo Smithsonian Magazine.La maggior parte dei dinosauri più noti, quelli di cui molte persone conoscono i nomi grazie a programmi televisivi e ai romanzi e ai film della saga di Jurassic Park, furono scoperti alla fine dell’Ottocento nell’ovest degli Stati Uniti. Quel periodo è stato poi chiamato “guerra delle ossa”, perché gran parte degli scavi di fossili furono condotti da due paleontologi rivali, Edward Drinker Cope dell’Accademia di scienze naturali di Philadelphia e Othniel Charles Marsh dell’Università di Yale, che usarono anche metodi scorretti come la corruzione e il furto per potersi attribuire il maggior numero di ritrovamenti.Le più di cento specie individuate in quegli anni, tra cui alcuni triceratopi e stegosauri, erano soprattutto dinosauri molto grandi, che poi sono i primi a cui si pensa proprio per via della straordinarietà delle loro dimensioni rispetto a quelle degli animali di oggi. Per questa ragione i fossili più grandi erano quelli più ambiti, ma erano anche i più facili da trovare perché nel corso della storia avevano resistito di più alle trasformazioni geologiche e meteorologiche, oltre che alle attività umane. Le specie più piccole erano al contrario più difficili da recuperare e tendenzialmente meno interessanti per i musei: per molto tempo dunque sono state trascurate, ma ne esistevano in grandi numeri.Sono questi dinosauri di dimensioni minori che stiamo scoprendo negli ultimi anni. In gran parte le nuove scoperte si devono agli scavi in parti del mondo, come la Cina, dove a lungo non erano state fatte ricerche paleontologiche, ma anche in regioni già molto studiate avvengono nuovi ritrovamenti. Ad esempio a giugno è stata descritta la specie Iani smithi, un tipo di dinosauro erbivoro bipede lungo tre metri il cui fossile è stato trovato nello Utah, uno degli stati americani al centro della “guerra delle ossa” ottocentesca.In generale, oggi la comunità paleontologica sta cercando di ricostruire il più possibile come fossero fatti gli ecosistemi in cui i dinosauri vivevano, e per questo dà attenzione anche alle specie più piccole, cercandone di nuove anche dove in passato erano state fatte scoperte famose.Grazie a questi studi la nostra conoscenza del mondo dei dinosauri è molto aumentata e oltre alle nuove specie è stato possibile riconoscere nuovi cladi, cioè gruppi di specie che hanno un antenato comune. Il gruppo a cui appartiene la specie Iani smithi ad esempio è stato riconosciuto nel 2016. L’individuazione dei cladi può sembrare una finezza da esperti della materia, ma la ricostruzione di quello che si può descrivere come l’albero genealogico dei dinosauri è importante per comprendere meglio la storia dell’evoluzione tra 235 e 66 milioni di anni fa, un periodo di tempo lungo più del doppio di quello che ci separa dall’estinzione dei dinosauri.Nel 2016 i paleobiologi Jostein Starrfelt e Lee Hsiang Liow hanno fatto uno studio statistico per provare a stimare quante specie di dinosauri si siano estinte nel corso della preistoria e hanno stimato che potrebbero essere state più o meno il doppio di quelle che conosciamo, tra 1.543 e 2.468. Anche stime precedenti erano giunte a conclusioni simili, ma Brusatte è scettico sul fatto che siano accurate perché solo oggi sulla Terra vivono più di 10mila specie di uccelli – gli animali più imparentati con i dinosauri – e quindi è difficile pensare che in più di 150 milioni di anni non ci siano state più specie di dinosauri.Il problema delle stime fatte finora sul numero delle specie è che si basano sul numero di fossili che sono stati trovati e si sa che possono mostrarci solo una parte di quello che era il mondo dei dinosauri. Infatti non tutte le regioni della Terra hanno caratteristiche geomorfologiche che hanno consentito la formazione e la conservazione di fossili. Ad esempio non sappiamo nulla dei dinosauri che vivevano sulle montagne, cioè in zone dove i resti animali sono stati probabilmente distrutti nel corso del tempo per l’erosione. I fossili si formano più facilmente nei deserti, nelle pianure alluvionali e sui fondali marini, dove si accumulano sedimenti.È probabile che in passato come oggi le zone montuose fossero abitate da specie di animali diverse da quelle delle pianure e quindi per questo potremmo anche non conoscere mai molte specie di dinosauri. LEGGI TUTTO

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    La NASA è di nuovo in contatto con la sonda Voyager 2

    La NASA è tornata in pieno contatto con la sonda Voyager 2, che dal 21 luglio non era in grado di ricevere comandi o spedire dati all’agenzia spaziale. Il contatto era stato perso in seguito a un comando errato spedito dall’agenzia spaziale alla sonda, che aveva provocato un malfunzionamento dell’antenna.Inizialmente la NASA aveva detto che contava di ristabilire il contatto con la sonda il 15 ottobre, quando la sonda avrebbe automaticamente resettato i propri sistemi e recuperato il giusto orientamento verso la terra. È riuscita invece a farlo con varie settimane di anticipo, utilizzando un trasmettitore ad alta potenza per inviare un messaggio – detto in gergo “urlo interstellare” – alla sonda. Il 4 agosto l’agenzia ha confermato che i dati sono stati ricevuti dal veicolo, che funziona normalmente ed è rimasto sulla traiettoria pianificata.Attualmente Voyager 2 è lontana 19,9 miliardi di chilometri dalla Terra. È in viaggio dal 1977 e si trova all’esterno dell’eliosfera, la grande bolla magnetica prodotta dal Sole che contiene buona parte del Sistema solare: come Voyager 1 era stata progettata per esplorare Giove e Saturno, inizialmente con missioni della durata massima di 5 anni che però si sono decisamente prolungate. (NASA) LEGGI TUTTO