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Abbiamo scoperto solo una piccola parte dei dinosauri

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Gli ultimi decenni sono stati più volte definiti una «età dell’oro» per lo studio dei dinosauri perché dall’inizio del secolo è aumentato tantissimo il numero di nuove specie fossili scoperte. «Ogni settimana si scopre in media una nuova specie di dinosauro», raccontava Steve Brusatte, professore dell’Università di Edimburgo e attualmente uno dei paleontologi più conosciuti e autorevoli del mondo, nel suo libro del 2018 . Oggi conosciamo più di mille specie secondo il gestito dalla comunità scientifica paleontologica, eppure si stima che siano ancora moltissime le specie sconosciute: probabilmente «milioni, o forse decine di milioni», Brusatte di recente allo Smithsonian Magazine.

La maggior parte dei dinosauri più noti, quelli di cui molte persone conoscono i nomi grazie a programmi televisivi e ai romanzi e ai film della saga di Jurassic Park, furono scoperti alla fine dell’Ottocento nell’ovest degli Stati Uniti. Quel periodo è stato poi chiamato “guerra delle ossa”, perché gran parte degli scavi di fossili furono condotti da due paleontologi rivali, Edward Drinker Cope dell’Accademia di scienze naturali di Philadelphia e Othniel Charles Marsh dell’Università di Yale, che usarono anche metodi scorretti come la corruzione e il furto per potersi attribuire il maggior numero di ritrovamenti.

Le più di cento specie individuate in quegli anni, tra cui alcuni triceratopi e stegosauri, erano soprattutto dinosauri molto grandi, che poi sono i primi a cui si pensa proprio per via della straordinarietà delle loro dimensioni rispetto a quelle degli animali di oggi. Per questa ragione i fossili più grandi erano quelli più ambiti, ma erano anche i più facili da trovare perché nel corso della storia avevano resistito di più alle trasformazioni geologiche e meteorologiche, oltre che alle attività umane. Le specie più piccole erano al contrario più difficili da recuperare e tendenzialmente meno interessanti per i musei: per molto tempo dunque sono state trascurate, ma ne esistevano in grandi numeri.

Sono questi dinosauri di dimensioni minori che stiamo scoprendo negli ultimi anni. In gran parte le nuove scoperte si devono agli scavi in parti del mondo, come la Cina, dove a lungo non erano state fatte ricerche paleontologiche, ma anche in regioni già molto studiate avvengono nuovi ritrovamenti. Ad esempio a giugno la specie Iani smithi, un tipo di dinosauro erbivoro bipede lungo tre metri il cui fossile è stato trovato nello Utah, uno degli stati americani al centro della “guerra delle ossa” ottocentesca.

In generale, oggi la comunità paleontologica sta cercando di ricostruire il più possibile come fossero fatti gli ecosistemi in cui i dinosauri vivevano, e per questo dà attenzione anche alle specie più piccole, cercandone di nuove anche dove in passato erano state fatte scoperte famose.

Grazie a questi studi la nostra conoscenza del mondo dei dinosauri è molto aumentata e oltre alle nuove specie è stato possibile riconoscere nuovi cladi, cioè gruppi di specie che hanno un antenato comune. Il gruppo a cui appartiene la specie Iani smithi ad esempio è stato riconosciuto nel 2016. L’individuazione dei cladi può sembrare una finezza da esperti della materia, ma la ricostruzione di quello che si può descrivere come l’albero genealogico dei dinosauri è importante per comprendere meglio la storia dell’evoluzione tra 235 e 66 milioni di anni fa, un periodo di tempo lungo più del doppio di quello che ci separa dall’estinzione dei dinosauri.

Nel 2016 i paleobiologi Jostein Starrfelt e Lee Hsiang Liow per provare a stimare quante specie di dinosauri si siano estinte nel corso della preistoria e hanno stimato che potrebbero essere state più o meno il doppio di quelle che conosciamo, tra 1.543 e 2.468. Anche stime precedenti erano giunte a conclusioni simili, ma Brusatte sul fatto che siano accurate perché solo oggi sulla Terra vivono più di 10mila specie di uccelli – gli animali più imparentati con i dinosauri – e quindi è difficile pensare che in più di 150 milioni di anni non ci siano state più specie di dinosauri.

Il problema delle stime fatte finora sul numero delle specie è che si basano sul numero di fossili che sono stati trovati e si sa che possono mostrarci solo una parte di quello che era il mondo dei dinosauri. Infatti non tutte le regioni della Terra hanno caratteristiche geomorfologiche che hanno consentito la formazione e la conservazione di fossili. Ad esempio non sappiamo nulla dei dinosauri che vivevano sulle montagne, cioè in zone dove i resti animali sono stati probabilmente distrutti nel corso del tempo per l’erosione. I fossili si formano più facilmente nei deserti, nelle pianure alluvionali e sui fondali marini, dove si accumulano sedimenti.

È probabile che in passato come oggi le zone montuose fossero abitate da specie di animali diverse da quelle delle pianure e quindi per questo potremmo anche non conoscere mai molte specie di dinosauri.


Fonte: https://www.ilpost.it/scienza/feed/


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