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    Troppi italiani truffati, basta chiamate moleste

    Basta telefonate moleste che distruggono la privacy, fanno violenza psicologica sulle persone più fragili e devastano la serenità degli italiani. Dal 19 agosto entrano in vigore le misure adottate dal Garante delle Comunicazioni e saranno bloccate in automatico le false chiamate nazionali da prefissi internazionali. Il prossimo 19 novembre tocca alle numerazioni mobili «truccate» dallo spoofing, un algoritmo che modifica illegalmente il numero del chiamante. Gli operatori telefonici saranno obbligati a installare filtri antispam per rilevare e bloccare contatti inaffidabili.Il «registro delle opposizioni» istituito nel 2018 contro le chiamate indesiderate non ha funzionato. Oggi è possibile, sul dark web o da società specializzate, comprare e vendere (all’infinito, in modo legale e no) codici Pon e Pdr per le bollette energetiche e numeri di cellulari, anche a un centesimo l’uno. Qualche anno fa c’è stata una esfiltrazione di dati dal Sistema informativo integrato, la piattaforma in cui si fa lo switch delle società energetiche, troppo spesso i nostri numeri vengono rimessi sul mercato quando cambiamo gestore telefonico. «Il telemarketing illegale resiste anche all’effetto deterrenza di sanzioni comunque elevate e irrogate», ha detto il Garante Pasquale Stanzione, che al Parlamento ha chiesto «efficaci strumenti d’indagine che ci consentano di risalire al responsabile della chiamata e al relativo committente».Le chiamate indesiderate non danneggiano soltanto gli utenti, ma anche le società di call center che seguono le rigidissime regole grazie a un codice di condotta condiviso e che impiegano circa 20mila addetti. «C’è una netta distinzione tra operatori legali e illegali nel campo del telemarketing. La trasparenza sull’identità del chiamante è il primo passo per contrastare le truffe e un elemento cruciale per ricostruire la fiducia dei consumatori», dice al Giornale Lelio Borgherese, presidente di Assocontact, l’Associazione nazionale dei Business process outsourcer (Bpo), secondo cui la misura «è arrivata un po’ tardi. Il numero deve essere visibile e richiamabile. Chi chiama deve identificarsi chiaramente, spiegare il motivo del contatto e indicare la fonte dei dati utilizzati». Le società di call center che Assocontact rappresenta «non sono affatto contrarie alla certificazione delle imprese come prerequisito per svolgere telemarketing e teleselling», ribadisce Borgherese. LEGGI TUTTO

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    Fs, fatturato a 8,2 miliardi con record di investimenti

    Ferrovie dello Stato Italiane ha archiviato il primo semestre 2025 con ricavi operativi pari a 8,2 miliardi di euro, in crescita del 2% rispetto allo stesso periodo del 2024, e un volume record di investimenti tecnici a quota 8,5 miliardi di euro (+15%). Il risultato netto è stato negativo per 89 milioni di euro, ma è sensibilmente migliorato rispetto alla perdita di 199 milioni registrata nello stesso periodo del 2024. I costi operativi sono ammontati a 7,2 miliardi di euro, in crescita del 3% annuo a causa dei maggiori costi del personale per effetto dell’incremento dell’organico medio e dell’aumento del costo unitario del lavoro. Sono inoltre aumentati di 230 milioni i costi di gestione dell’infrastruttura stradale. L’Ebitda si è attestato a 991 milioni di euro, in lieve calo (-2%), ma risulterebbe in aumento del 14% (+122 milioni di euro) se depurato dalle partite non ricorrenti. Sul fronte patrimoniale, la posizione finanziaria netta è migliorata del 3,5% su fine 2024 a 13 miliardi di euro. «I risultati economici del semestre, in crescita al netto di partite non ricorrenti, confermano l’efficacia della strategia industriale intrapresa dal gruppo Fs e la solidità del nostro modello operativo», ha commentato l’amministratore delegato Stefano Antonio Donnarumma. «Con circa 8,5 miliardi di euro di investimenti tecnici, stiamo portando avanti un programma infrastrutturale senza precedenti per lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale del Paese, per lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale del Paese, migliorando l’esperienza di viaggio e garantendo al contempo la continuità del servizio, allo scopo di assicurare la piena mobilità del Paese», ha aggiunto.I ricavi da trasporto hanno raggiunto i 4,5 miliardi di euro, sostenuti dalla crescita del segmento Alta Velocità (+35 milioni), Intercity (+7 milioni), Regionale (+26 milioni), trasporto passeggeri su gomma (+81 milioni) e merci (+10 milioni). I ricavi da servizi di infrastruttura sono aumentati del 9%, arrivando a 2,4 miliardi di euro, grazie soprattutto all’aumento dei corrispettivi legati alla circolazione stradale (+225 milioni). Gli altri ricavi, pari a 1,3 miliardi, hanno segnato una flessione per l’assenza della plusvalenza straordinaria derivante dalla vendita dello scalo Farini, avvenuta nel primo semestre 2024. «Grazie all’impegno delle nostre persone e a una capacità esecutiva riconosciuta a livello europeo, stiamo dando piena attuazione al Pnrr: abbiamo raggiunto tutte le milestone europee previste per il periodo di riferimento e già consuntivato oltre 14 miliardi di euro, pari a circa il 56% delle risorse assegnate», ha sottolineato Donnarumma evidenziando che «questo percorso di trasformazione industriale prosegue in linea con il Piano Strategico 20252029, che ci guiderà nei prossimi anni verso una mobilità sempre più moderna, sostenibile e integrata, a beneficio del sistema Paese». LEGGI TUTTO

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    Il Ponte sullo Stretto alla curva finale

    Il Ponte sullo Stretto si farà. «Mercoledì mattina alle 12.30 ci sarà l’approvazione del progetto definitivo per l’avvio dei lavori», promette di buon mattino il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. «Se ne parla dagli antichi romani, si segna una pagina di storia», afferma il vicepremier e leader della Lega. L’ok del Cipess è l’ultimo atto «politico» per l’avvio dei lavori del Ponte tra Calabria e Sicilia, un’infrastruttura fondamentale per lo sviluppo delle due Regioni su cui anche l’Europa ha detto sì, includendo il progetto nel programma della Rete transeuropea di trasporto Tent. Costerà poco meno di 15 miliardi, per la sua realizzazione sono previsti oltre 100mila posti di lavoro e un impatto sul Pil di oltre 23 miliardi.Sarà il Ponte sospeso più lungo al mondo, con una lunghezza complessiva di 3.666 metri e una campata sospesa di 3.300 metri, capace di resistere anche a venti di 270 km l’ora. L’impalcato avrà una larghezza totale di circa 60 metri e le due torri poste a terra saranno alte 399 metri. Il sistema di sospensione sarà formato da 44.323 fili di acciaio del diametro di 1,26 metri. Una volta realizzato, il Ponte sarà aperto 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno al traffico di auto e treni (anche a 292 km l’ora), collegati sia alla linea tirrenica storica che alla futura linea ad Alta velocità, garantendo un più efficiente, sicuro e moderno sistema di collegamento tra la Sicilia, la Calabria e il resto del Continente grazie a oltre 40 chilometri di strade e ferrovie, una decina di viadotti e tre nuove stazioni ferroviarie, con una riduzione dei tempi di attraversamento fino ad un’ora per gli autoveicoli e due ore in meno per chi va in treno in Sicilia. L’altezza sul livello del mare è di 72 metri che si riduce a 70 metri in condizioni di pieno carico, in linea o superiori a quelli dei ponti esistenti sulle grandi vie di navigazione internazionali.È dal 1969 che si ragiona su come collegare le due sponde dello Stretto, con un bando indetto dall’allora ministero dei Lavori Pubblici. La soluzione definitiva è stata individuata dalla società concessionaria Stretto di Messina nel 1992, ma per l’approvazione del progetto preliminare ci sono voluti più di dieci anni. È stato con il governo guidato da Silvio Berlusconi, tra il 2003 e il 2004, che è stata indetta una gara europea, affidata nel 2006 al consorzio Eurolink di cui è leader e socio di maggioranza il Gruppo Webuild, con know how che arriva da Usa, Spagna, Germania e Giappone, con la presenza del colosso giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries), celebre per la costruzione di ponti sospesi come l’Osman Ghazi in Turchia e gli spagnoli di Sacyr, che con Webuild ha realizzato l’ampliamento del Canale di Panama. Il progetto definitivo del 2011 è stato accantonato dal governo Monti e ripreso – con piccole modifiche – il 26 maggio 2023 dal governo di Giorgia Meloni, che l’ha approvato anche sotto il profilo dell’impatto ambientale. LEGGI TUTTO

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    Ilva, ultimatum di Urso a Taranto: pronta l’alternativa Gioia Tauro

    Prove generali al porto di Gioia Tauro candidatosi per il polo del preridotto dell’ex Ilva in alternativa a Taranto. Nella mattinata di ieri il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha incontrato il governatore della Calabria Occhiuto e i sindaci di Gioia Tauro e San Ferdinando lanciando di fatto un messaggio chiaro che è suonato come un legittimo ultimatum: “Siamo qui per capire insieme come possa finalmente partire alla grande questo polo logistico-portuale significativo, consistente, ma anche di sviluppo produttivo, economico e sociale utilizzando al meglio l’area della Zes”, ha detto il ministro annunciando che “da domani si insedierà al nostro ministero, che coordinerà i lavori insieme ai ministeri delle Infrastrutture, dell’Ambiente e dell’Economia, un tavolo per capire cosa si possa fare a partire dall’ipotesi di realizzare qui il polo nazionale del Dri”. Il Dri, ovvero il preridotto di ferro, è il materiale che dovrà essere caricato nei nuovi forni elettrici dell’ex Ilva. Produzione sulla quale, al momento, manca il sì del consiglio comunale. A Taranto, però, ha ribadito Urso, “spetta la prima scelta per motivi morali, storici, ma anche economici e sociali. E la scelta dovranno farla nei prossimi giorni nel consiglio comunale che è stato già convocato”.È attesa per l’11 agosto la seduta monotematica per discutere delle questioni legate all’accordo di programma per la decarbonizzazione dell’ex Ilva. L’assise era stata fissata inizialmente per il 30 luglio, ma era stata rinviata per le dimissioni del sindaco Piero Bitetti, poi ritirate. Il consiglio comunale dovrà esprimersi definitivamente su quale produzione vuole a Taranto. Il primo cittadino aveva già espresso il no all’ipotesi di una nave rigassificatrice, proponendo una terza via rispetto ai due scenari che erano stati prospettati dal governo: tre forni elettrici e un impianto Dri, per la produzione di preridotto da impiegare nei forni. Ora, inoltre, chiede al governo di far fronte ai futuri esuberi. LEGGI TUTTO

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    Un tavolo tra banche e industrie

    Di domani non c’è certezza, assicura il poeta. Piuttosto vero in generale e di certo lo è, in modo particolare, quando ci si confronta nel tempo ordinario con il mondo ondivago della finanza. E, probabilmente, nel caso di questo fondamentale settore, l’incertezza è dovuta sia alla sua natura e sia alle dinamiche che la contraddistinguono così dipendenti da scenari complessi inerenti alla politica, l’economia, la società civile. Tuttavia, quando emergono certezze che, in un modo o nell’altro toccano tutti, conviene evidenziarle. Ecco allora la buona notizia arrivata a noi proprio in questi giorni: il soddisfacente esito degli stress test per le banche italiane. Che, alla prova dei fatti, hanno mostrato di essere fra le più solide pur in un quadro di grave recessione del Vecchio continente. Per un Sistema Paese sostanzialmente a vocazione bancocentrica, rappresenta un risultato apprezzabile.Solo soggetti scriteriati possono augurarsi e augurare uno stato di cattiva salute per gli istituti di credito o addirittura fare il tifo per la scomparsa degli sportelli. D’altronde, c’è sempre qualcuno che tiene in vita il pensiero di Bertold Brecht quando scrive che chi fonda una banca è più pericoloso di chi quella banca rapina. Ma mantenersi saggiamente alla larga da tali voli pindarici e pensieri distruttivi, non vuol dire assolvere in qualunque caso, l’operato delle banche. LEGGI TUTTO

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    L’Opec spinge sulle trivelle: cancellati i tagli produttivi

    Gli otto ministri dell’Energia dei maggiori produttori di petrolio dell’Opec+ hanno deciso di aumentare nuovamente la produzione giornaliera. Al termine della riunione di ieri hanno stabilito un «adeguamento della produzione di 547mila barili al giorno a settembre 2025 rispetto al livello di produzione richiesto ad agosto», si legge nella dichiarazione diffusa dall’Opec+. Aggiungendo che ciò equivale a quattro incrementi mensili. E che l’eliminazione graduale degli ulteriori aggiustamenti volontari della produzione può essere sospesa o invertita in base all’evoluzione delle condizioni di mercato. Questa flessibilità «consentirà al gruppo di continuare a sostenere la stabilità del mercato petrolifero». Riad, Mosca e altri sei produttori di petrolio hanno quindi proseguito la strategia di riconquista delle quote di mercato lanciata ad aprile.La mossa di ieri è stata decisa, si legge nel comunicato, in considerazione della stabilità delle prospettive economiche globali e dell’attuale salute dei fondamentali del mercato, come testimoniato dal basso livello delle scorte petrolifere, e in conformità con la decisione concordata il 5 dicembre 2024 di avviare un rientro graduale e flessibile degli aggiustamenti volontari di 2,2 milioni di barili al giorno a partire dall’1 aprile 2025.Il Cartello, che produce circa la metà del petrolio mondiale, aveva ridotto la produzione per diversi anni per sostenere i prezzi del petrolio. Quest’anno ha cambiato rotta nel tentativo di riconquistare quote di mercato, spinto anche dalle richieste di Donald Trump all’Opec di aumentare la produzione.Gli otto membri dell’Opec+ hanno iniziato ad aumentare la produzione ad aprile con un modesto incremento di 138mila barili al giorno, seguito da aumenti superiori al previsto di 411mila barili al giorno a maggio, giugno e luglio e di 548mila barili al giorno ad agosto. Nonostante questo, i prezzi del petrolio sono rimasti elevati, con il greggio Brent che venerdì ha chiuso attorno a 70 dollari al barile, in rialzo rispetto al minimo del 2025 di quasi 58 dollari registrato ad aprile. L’Opec+ ha citato i solidi fondamentali del mercato come motivazione per i più rapidi aumenti della produzione. Accettando l’aumento di 548mila barili al giorno a settembre, viene completamente annullato il precedente taglio alla produzione di 2,2 milioni di barili al giorno, consentendo al contempo agli Emirati Arabi di aumentare la produzione di 300.000 barili al giorno.L’Opec+ ha ancora in vigore un taglio volontario separato di circa 1,65 milioni di barili al giorno e un taglio di 2 milioni di barili al giorno per tutti i membri, che scadranno alla fine del 2026. Gli otto Paesi ieri hanno dunque confermato la loro intenzione di compensare completamente qualsiasi volume prodotto in eccesso dal gennaio 2024 e terranno riunioni mensili per esaminare le condizioni di mercato, la conformità e la compensazione. Il prossimo appuntamento in agenda è fissato per il 7 settembre. LEGGI TUTTO

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    Liberi professionisti, c’è la mina dazi

    Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea, acuite dalla possibile introduzione di nuovi dazi, rischiano di avere ricadute non solo sull’industria manifatturiera e sulle imprese esportatrici, ma anche su un settore spesso trascurato nel dibattito pubblico: quello delle libere professioni. A lanciare l’allarme è l’ultimo studio Le libere professioni alla prova dei dazi, curato da Tommaso Nannicini, Ludovica Zichichi e Camilla Lombardi per l’Osservatorio delle libere professioni, realizzato in collaborazione con Confprofessioni, Gestione Professionisti e Beprof.«Alla luce dei dati, noi professionisti ha dichiarato Marco Natali, presidente nazionale di Confprofessioni siamo pronti a fare la nostra parte. Abbiamo colleghi strutturati, con competenze internazionali e anche negli Stati Uniti, che possono supportare le micro, piccole e medie imprese, che costituiscono il 99,9% del nostro tessuto produttivo, nell’affrontare questa nuova sfida. Ma servono strumenti di sostegno, aiuti per limitare i danni e, soprattutto, una strategia condivisa».Natali ha ribadito la necessità di un impegno diretto del governo italiano e delle istituzioni europee:«La priorità ora è garantire certezze agli operatori economici. Per questo occorrono visione strategica e sostegno operativo e sistemico. Si tratta di una sfida complessa per il Paese».Lo studio introduce per la prima volta un Indice di vulnerabilità delle libere professioni ai dazi Usa, che misura l’esposizione indiretta dei professionisti italiani a un possibile choc commerciale. L’analisi si basa sulla quota di fatturato dei liberi professionisti generata da imprese operanti nei settori coinvolti nell’export verso gli Stati Uniti.I risultati mettono in evidenza forti differenze settoriali, territoriali e demografiche. A essere maggiormente esposte sono le professioni legate alla consulenza economico-finanziaria, con un indice di 201,5, seguite dai consulenti del lavoro (197,5), dagli ingegneri (193,8) e dalle professioni tecnico-specialistiche (162,1). Si tratta di figure strettamente collegate alle filiere produttive orientate all’export e, quindi, particolarmente sensibili alle tensioni commerciali internazionali.Dal punto di vista territoriale, l’area del Nord Est si conferma la più vulnerabile, con un indice pari a 138,4, seguita dal Nord Ovest (114,6). Centro e Mezzogiorno presentano invece livelli di esposizione più contenuti, pari rispettivamente a 58,3 e 73,0.La variabile anagrafica offre un altro spunto interessante: i professionisti tra i 55 e i 64 anni risultano più esposti (indice 119,4), mentre gli under 44 registrano un valore sensibilmenteinferiore (56,0). Il divario di genere, infine, riflette la forte concentrazione maschile nelle professioni tecnico-scientifiche, strettamente legate alle imprese manifatturiere esportatrici verso il mercato statunitense.La fotografia tracciata dallo studio mostra come la minaccia dei dazi non sia un problema circoscritto alle imprese industriali, ma riguardi l’intero ecosistema produttivo, inclusi i professionisti che ne supportano la crescita. LEGGI TUTTO

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    Il giorno dei dazi di Trump. “Aspettiamo i ritardatari”

    “I dazi stanno rendendo l’America di nuovo grande e ricca”, ora “è il Paese più hot del mondo”, ha scritto ieri Donald Trump a mezzo social, ovvero su Truth. Secondo i dati del Tesoro americano, gli Stati Uniti hanno incassato più gettito dai dazi nei primi sei mesi del 2025 che in tutto il 2024. In totale, le entrate nel primo semestre superano gli 87 miliardi di dollari, rispetto ai quasi 79 miliardi di dollari del 2024, secondo i dati aggiornati a ieri, che mostrano un aumento significativo a partire dal Liberation Day di aprile.L’offensiva commerciale non si ferma con la solita strategia portata avanti sin qui dal re dei “deal” a colpi di lettere spedite, scadenze, proroghe delle scadenze, strette di mano e accordi quadro. Di certo, oggi una serie di nuove tariffe saranno imposte alla maggior parte dei partner commerciali di Washington, alcune delle quali pesanti e altre specifiche per settore, come il dazio del 50% sui prodotti realizzati con il rame. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, non ha escluso che si possano raggiungere altri accordi all’ultimo minuto. “So che i leader stranieri stanno telefonando a Trump perché hanno capito che questa scadenza è reale”. La Corea del Sud ha alla fine evitato le aliquote più elevate: l’intesa prevede dazi al 15% per Seul e zero per gli Usa, apertura del mercato sudcoreano a prodotti americani come “automobili, camion, prodotti agricoli etc”, 350 miliardi di investimenti sudcoreani “controllati” dagli Usa e “selezionati” dal tycoon, oltre a 100 miliardi “di prodotti energetici”. Al Brasile sono stati imposti dazi del 50% e per l’India, oltre alle tariffe del 25% sulle importazioni, Trump ha anche annunciato una “penale” non specificata per gli acquisti di armi russe da parte di Nuova Delhi. Il presidente americano ha poi minacciato conseguenze commerciali per il Canada dopo che il primo ministro Mark Carney ha annunciato l’intenzione di riconoscere lo Stato palestinese all’assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre. Trump aveva già dichiarato che avrebbe aumentato i dazi al 35% sui prodotti canadesi se non fosse stato raggiunto un accordo entro il 1 agosto. Con il Messico è stata, invece, concordata una proroga di novanta giorni e il Paese continuerà a pagare una tariffa del 25% sul fentanyl, una tariffa del 25% sulle automobili e una tariffa del 50% su acciaio, alluminio e rame. Assai diverso l’approccio negoziale portato avanti dagli Usa con la Cina: il terzo round di trattative ha portato a un’altra possibile proroga dell’accordo commerciale annunciato a maggio, senza dettagli sulla tempistica. Pechino e Washington dovevano affrontare la scadenza del 12 agosto per l’entrata in vigore dei dazi del 30% sui prodotti cinesi e del 10% sui prodotti statunitensi. Queste aliquote sono notevolmente inferiori rispetto all’inizio dell’anno, quando Trump aveva imposto dazi del 145% e la Cina aveva reagito con dazi del 125%. LEGGI TUTTO