More stories

  • in

    Giornalismo in crisi: retribuzioni basse, pensioni al minimo e istituzioni assenti

    Il giornalismo italiano è in sofferenza. I dati presentati dall’Inps e dalla Covip fotografano un settore sempre più fragile, segnato da redditi in calo, pensioni ridotte al minimo e un numero crescente di lavoratori autonomi senza adeguate tutele. La crisi dell’editoria, aggravata dalla transizione digitale e dal crollo delle vendite dei quotidiani cartacei, ha ridotto drasticamente gli occupati e reso insostenibili molte posizioni lavorative. Eppure, nonostante il ruolo centrale dell’informazione nella vita democratica del Paese, le istituzioni sembrano limitarsi alla sola osservazione dei dati, senza varare misure efficaci per sostenere editori e giornalisti. Il tema dei prepensionamenti, che potrebbe alleggerire il sistema e garantire un ricambio generazionale, resta ancora un nodo irrisolto.Il report dell’Inps sullo stato del giornalismo italianoSecondo i dati presentati dall’Inps nel report “Lo stato del giornalismo italiano”, su 103.581 giornalisti iscritti all’Ordine, nel 2023 solo 17.179 hanno versato contributi all’Inps, mentre 25.791 all’Inpgi. La retribuzione media dei giornalisti è di circa 59.000 euro, con un divario di genere significativo: gli uomini guadagnano in media il 16% in più rispetto alle donne. Le pensioni mostrano una disparità ancora maggiore, con una media di 71.000 euro per gli uomini e 48.000 euro per le donne. Inoltre, il 70% dei lavoratori autonomi guadagna meno di 25.000 euro all’anno, evidenziando una precarietà diffusa nel settore.Il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, ha sottolineato: “La presentazione del Report sullo stato del giornalismo in Italia rappresenta un primo momento di bilancio del passaggio di consegne tra Inpgi e Inps e ci consente di fare il punto della situazione sulla professione giornalistica nel nostro Paese ed anche, per la prima volta, di quella contributiva”.Lo stato dell’arteNonostante queste criticità, le risorse destinate al prepensionamento nel settore editoriale sono limitate. I fondi stanziati dalle leggi di Bilancio risultano insufficienti per affrontare le profonde trasformazioni del settore. L’Inps, che nel 2023 ha registrato un risultato economico positivo di 2,063 miliardi di euro, potrebbe svolgere un ruolo più attivo nel sostenere l’editoria, in quanto fino al 2027 è previsto un totale di 92,4 milioni di euro. Un intervento mirato dell’istituto, in collaborazione con le istituzioni politiche, potrebbe facilitare l’accesso al prepensionamento per i giornalisti, favorendo un ricambio generazionale e alleggerendo i bilanci. Questo richiederebbe una volontà politica decisa e una strategia condivisa per garantire la sostenibilità e la qualità dell’informazione, pilastro fondamentale della democrazia.La situazione dell’InpsNel 2023, l’Inps ha registrato un risultato economico positivo di 2 miliardi di euro, migliorando il patrimonio netto da 23,2 milioni a circa 29,8 miliardi. Le uscite complessive dell’Inps nel 2023 sono state di 524 miliardi di euro, di cui 398 miliardi destinati alle prestazioni istituzionali, con un incremento del 4,6% rispetto all’anno precedente. I trasferimenti dallo Stato all’Inps per coprire le gestioni in perdita, inclusi i dipendenti pubblici, ammontano a 23,4 miliardi, con 18,6 miliardi destinati alla copertura delle prestazioni erogate dalla gestione invalidi civili.Secondo le previsioni del Civ dell’Inps per il 2024, il risultato di esercizio dovrebbe essere negativo per 9,2 miliardi di euro, nonostante una importante crescita di 12, 7 miliardi dei trasferimenti dallo Stato a fronte dei maggiori sgravi contributivi, che in totale ammontano a 31 miliardi di euro, facendo passare i trasferimenti complessivi da 169 a 182 miliardi di euro. Cala la previsione relativa al patrimonio netto, che rispetto al valore di inizio anno, che ammontava a 29,8 miliardi, passa ad una previsione assestata di 25 miliardi.L’audizione Covip sul Fondo Casella e la situazione dei poligraficiNell’audizione alla Commissione Bicamerale sulle gestioni previdenziali, la presidente facente funzioni della Covip, Francesca Balzani, ha illustrato la situazione del Fondo nazionale di previdenza integrativa per i lavoratori dei giornali quotidiani “Fiorenzo Casella”. Al termine del 2024, gli iscritti attivi al fondo erano appena 1.700, mentre i pensionati ammontavano a 11.500, a cui si aggiungono 3.500 posizioni silenti e 3.000 differite. Questo squilibrio riflette l’emorragia occupazionale che ha colpito il comparto poligrafico, storicamente fondamentale per la produzione e la distribuzione dei quotidiani. La crisi del settore editoriale, il calo della stampa su carta e la progressiva digitalizzazione dei processi produttivi hanno ridotto drasticamente il numero di addetti impiegati con contratti tipografici tradizionali. Un altro fattore di criticità è rappresentato dalla fuoriuscita di diverse aziende dal perimetro del contratto poligrafico, spesso senza una reale interruzione dell’attività editoriale, ma con un riassetto societario volto a contenere i costi e ridurre i diritti dei lavoratori.Dal punto di vista previdenziale, la situazione del Fondo Casella appare fragile: le risorse gestite ammontano a circa 83 milioni di euro, mentre l’importo medio della pensione integrativa netta è di appena 320 euro all’anno, salendo a 380 euro per le pensioni dirette. Numeri che testimoniano le difficoltà di un comparto che ha visto ridursi progressivamente il proprio peso specifico nell’industria editoriale. Per garantire continuità previdenziale ai lavoratori ancora attivi, è stato deciso il trasferimento del Fondo Casella al Fondo Byblos, un piano pensionistico complementare di natura negoziale che già raccoglie 33.500 iscritti per un patrimonio complessivo di un miliardo di euro. Questa transizione, ancora in fase di attuazione, rappresenta un tentativo di assicurare maggiore stabilità a una categoria professionale che ha subito trasformazioni radicali nel giro di pochi anni.Le difficoltà del settore editoriale, in particolare dei quotidianiIl settore editoriale italiano, soprattutto quello dei quotidiani, sta affrontando una crisi profonda. Secondo l’Osservatorio Agcom, nel primo trimestre del 2024 sono state vendute in media 1,32 milioni di copie giornaliere, con una flessione del 9,1% su base annua e del 31,8% rispetto al 2020. Le vendite delle copie cartacee sono scese a 1,13 milioni al giorno, registrando una diminuzione del 9,3% rispetto all’anno precedente e del 35,4% rispetto al 2020. Le copie digitali, pur rappresentando una speranza per il settore, non hanno registrato una crescita significativa, con una media di circa 190.000 copie giornaliere nel 2024, segnando un incremento dell’1,7% rispetto all’anno precedente.Il presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, ha espresso forte preoccupazione per la situazione, sottolineando che “nei primi mesi del 2024 il fatturato pubblicitario della stampa ha subito un calo del 13,7% e, dopo la decisione di eliminare l’obbligo della pubblicazione dei bandi degli appalti dei giornali, la pubblicità legale dei quotidiani è diminuita del 53,6%”. Ha inoltre lanciato un appello al governo e alle forze politiche affinché siano coese nella volontà di contrastare la cattiva informazione, garantendo un’informazione di qualità, fondamentale soprattutto in un periodo di confronto elettorale. LEGGI TUTTO

  • in

    La catena di profumerie Douglas rivede le stime e crolla in Borsa (-17%)

    Ascolta ora

    Si prospetta un venerdì nero per la catena tedesca di profumerie Douglas. A poche ora dall’apertura delle contrattazioni odierne, il titolo della società sta cedendo il 17%, con le azioni che scambiano in area 11,90 euro. Il motivo? La decisione della società di rivedere nuovamente al ribasso le previsioni per l’anno finanziario 2024/2025 in scia a un “crescente impatto delle incertezze macroeconomiche e politiche globali sul settore della bellezza premium e di uno sviluppo del mercato sempre più lento, soprattutto in Germania e Francia, caratterizzato da un minor frequentazione dei negozi e del traffico online”, spiega la stessa Douglas in una nota ufficiale.Il crollo di Douglas e le nuove prospettiveIeri, a mercati chiusi, Douglas ha rivelato “di aspettarsi per il 2025 un utile netto di circa 175 milioni di euro”, in netta discesa rispetto alla precedente previsione che era compresa tra i 225 e i 265 milioni. Un calo evidente che, secondo l’azienda, intaccherà anche il fatturato, previsto intorno ai 4,5 miliardi di euro, in discesa rispetto ai 4,7-4,8 miliardi indicati in precedenza. E non è finita qui. In quanto sta anche “valutando le sue previsioni a medio termine, incluso il leverage ratio previsto” e “ne darà comunicazione in occasione della relazione del secondo trimestre del 15 maggio”.Chiare le parole di Sander van der Laan, ceo di Douglas. “’L’aumento delle tensioni economiche e politiche globali ha raggiunto ora anche il settore del premium beauty in Europa. Nelle ultime settimane abbiamo visto un peggioramento del rallentamento della domanda, che sta pesando anche sul gruppo Douglas. Pertanto, l’evoluzione recente delle nostre vendite e del nostro utile lordo non ha raggiunto i nostri obiettivi iniziali. Dobbiamo affrontare questa nuova situazione e stiamo quindi adattando le nostre linee guida per l’anno finanziario in corso. Abbiamo già messo in atto una serie di misure per stabilizzare le nostre prestazioni”, ha aggiunto il numero uno della società controllata a maggioranza dal private equity Cvc Capital Partners. LEGGI TUTTO

  • in

    Tra il 2012 e il 2024 persi 118mila negozi nelle città italiane

    Ascolta ora

    Il commercio al dettaglio in Italia continua a perdere terreno. Secondo l’analisi “Demografia d’impresa nelle città italiane” realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne, tra il 2012 e il 2024 sono spariti quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività di commercio ambulante. Parallelamente, il settore dell’alloggio e della ristorazione ha visto un incremento di 18.500 unità, trainato in particolare dal boom degli affitti brevi (+170%).La desertificazione commerciale colpisce in particolare le città del Nord, con Ancona (-34,7%), Gorizia (-34,2%) e Pesaro (-32,4%) tra i comuni con le maggiori perdite di esercizi commerciali. Al contrario, al Sud la riduzione risulta più contenuta, con Crotone (-6,9%) e Frascati (-8,3%) tra i centri con la migliore tenuta.A rendere ancora più critica la situazione è la chiusura degli sportelli bancari, passati da 8.026 nel 2015 a 5.173 nel 2023 (-35,5%), fenomeno che contribuisce ulteriormente alla perdita di servizi essenziali nei centri urbani.Il ruolo delle imprese straniere e la trasformazione del commercioUn dato significativo emerso dall’analisi è la forte crescita delle imprese a titolarità straniera nel settore del commercio, degli alberghi e dei pubblici esercizi (+41,4% dal 2012), mentre quelle italiane segnano un incremento molto più contenuto (+3,1%). Inoltre, quasi il 39% della nuova occupazione straniera generata negli ultimi 12 anni si concentra proprio in questi settori (+155mila posti di lavoro).Nei centri storici, il commercio tradizionale registra pesanti contrazioni: carburanti (-42,1%), libri e giocattoli (-36,5%), mobili e ferramenta (-34,8%), abbigliamento (-26%). Crescono invece i servizi come farmacie (+12,3%) e negozi di telefonia e informatica (+10,5%). In parallelo, gli alberghi tradizionali calano del 9,7%, mentre gli affitti brevi registrano un vero e proprio boom (+170%), complice anche l’accelerazione nell’ultimo anno.Il progetto Cities di Confcommercio per contrastare il declino urbanoPer contrastare la desertificazione commerciale, Confcommercio ha lanciato il progetto Cities, che punta alla rigenerazione delle città attraverso politiche mirate di riqualificazione urbana, mobilità sostenibile e sostegno alle economie di prossimità. Tra le proposte principali: LEGGI TUTTO

  • in

    Il Golden Power al passo coi tempi

    Ascolta ora

    Giovedì scorso 13 marzo, parlando dei conti delle Generali, il ceo della compagnia Philippe Donnet ha detto due cose. La prima: «La nostra esposizione in Btp a fine 2024 ammonta a 35,6 miliardi di euro. Ma stiamo valutando di aumentare i nostri acquisti». La seconda: «Ritengo la procedura di Golden Power un’opportunità di fare chiarezza per rispondere a tutte le perplessità e le domande che ci sono in giro». Il riferimento è all’accordo con la francese Natixis per trasferire a una newco paritetica circa 650 miliardi di attivi degli assicurati. Se si uniscono i puntini si può leggere un messaggio al governo: se il Golden Power non porrà problemi all’operazione Natixis-Generali (il governo teme un trasferimento di asset italiani sotto gestione francese), Generali si propone per acquistare nuovo debito pubblico. Nello stesso tempo c’è un altro Ceo, Andrea Orcel di Unicredit, che ha comprato titoli della stessa Generali, qualcuno dice fino al 10% del capitale. Anche qui, unendo i puntini, prende forma un messaggio simile: se il Golden Power non crea problemi sull’offerta che Unicredit ha lanciato in Italia su Bpm, la quota nella compagina – decisiva negli equilibri delle Generali – terrà in dovuta considerazione l’interesse del governo quando ci sarà da votare nell’assemblea che il 24 aprile prossimo nominerà il prossimo cda. A cercare un dialogo con l’esecutivo si aggiungono anche il Ceo del Banco Bpm, Giuseppe Castagna e il presidente di Credit Agricole Italia, Giampiero Maioli: tutti hanno chiesto udienza e sono stati ricevuti di recente a Palazzo Chigi e al Mef.È l’effetto del Golden Power, che l’esecutivo di centro destra interpreta come uno strumento strategico nel valutare le operazioni finanziarie, mettendo per la prima volta al centro l’interesse nazionale. Può piacere o no, ma di certo si tratta di un’arma che abbiamo visto usare spesso in tanti altri sistemi di capitalismo liberale. Sovente gli stessi (come la Germania e soprattutto la Francia) che da un lato si appellano al mercato e dall’altro non garantiscono la reciprocità. La linea l’ha spiegata bene Giancarlo Giorgetti alla Camera: «Nel settore finanziario – ha detto il ministro dell’Economia – la normativa impone l’obbligo di notifica, indipendentemente dalla nazionalità italiana o straniera del soggetto acquirente, nel caso in cui l’operazione di acquisizione abbia ad oggetto attivi di rilevanza strategica». Di conseguenza, ha sottolineato, «non è una mia discrezione, ma era mio dovere ricordare che esiste il Golden Power».L’idea originale – nata 30 anni fa – era quella di lasciare al governo poteri speciali nelle società privatizzate. Si chiamava Golden Share. Diventa Golden Power nel 2012, con il governo Monti, per la necessità, di estendere tali poteri anche a tutte le società, pubbliche o private, che svolgano attività di interesse strategico ai fini della difesa della sicurezza nazionale. Nel tempo lo strumento si è evoluto. Ma solo con il governo Draghi e soprattutto Meloni si sta consolidando nella sua attuale interpretazione. Che poi, di fatto, rende più trasparente quella moral suasion che la politica ha sempre esercitato sul mercato, stando però dietro le quinte. LEGGI TUTTO

  • in

    Unicredit-Commerzbank, l’ambiguità di Francoforte

    Ascolta ora

    Un colpo al cerchio e uno alla botte. La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ieri si è esercitata in un equilibrismo dialettico notevole, indice di elevata tensione politica intorno al tentativo di scalata di Unicredit su Commerzbank. La banchiera centrale, infatti, in audizione davanti all’Europarlamento da un lato ha ribadito l’apertura alle ambizioni dell’istituto guidato da Andrea Orcel: «È un dato di fatto che il 13 marzo la Bce ha pubblicato la sua decisione di non opporsi al piano di Unicredit di convertire i derivati in una posizione che le garantirebbe una partecipazione significativa nel capitale di Commerzbank». Dall’altro lato, però, sembra dare corda a tutti quelli che da Berlino si appigliano a qualsiasi argomento pur di giustificare il riflesso pavloviano del sovranismo: «Non aggiungerò altri commenti», ha infatti proseguito Lagarde, «ma rilevo che abbiamo attraversato il periodo in cui c’erano aziende troppo grandi per fallire». Una frase che sembra adombrare un qualche timore riguardo alla nascita di un gigante europeo, un salto carpiato all’indietro rispetto alla retorica della necessità di rivaleggiare con le big d’Oltreoceano come Jp Morgan.Del resto, al momento il più forte argomento tedesco per opporsi alle nozze Unicredit-Commerz è che in presenza di una crisi finanziaria tale da mettere in ginocchio il nuovo colosso non ci sarebbe uno strumento abbastanza grande per gestire la crisi (una posizione simile a quella esternata di recente dal professore universitario Tobias Tröger, molto ascoltato dalle parti della Cdu). E c’è già chi chiede la ratifica del Mes (che prevede un backstop bancario) prima di procedere a operazioni di tale portata. Un modo come un altro per frenare, dal momento che il governo guidato da Giorgia Meloni per il momento non intende ratificare il trattato. LEGGI TUTTO

  • in

    Acea, patto per l’acqua con la Commissione Ue

    Ascolta ora

    Dopo Davos il tema dell’acqua approda a Roma con un obiettivo preciso: mettere a terra una strategia concreta per affrontare le sfide idriche in Europa. La commissaria Ue per l’Ambiente, Jessika Roswall, ieri ha incontrato l’amministratore delegato di Acea, Fabrizio Palermo, che ha illustrato le proposte dell’azienda per contribuire alla nuova strategia europea. Il punto chiave? Le quattro leve per vincere la sfida idrica, le “Quattro R”: Regia unica, Regole aggiornate, Rimedi chiari e Risorse sufficienti.«In questo momento la questione idrica è importante, urgente, è una priorità politica per la Commissione», ha dichiarato Roswall, sottolineando che «la sicurezza non riguarda solo le armi, ma anche le infrastrutture critiche come quelle idriche». La commissaria ha annunciato che la «strategia per la resilienza idrica sarà presentata già prima dell’estate». Palermo, da parte sua, ha evidenziato le quattro direttrici su cui deve basarsi l’azione strategica. Innanzitutto, occorre una «regia unica», per coordinare gli interventi a livello nazionale e locale. In seconda istanza, occorrono «regole aggiornate», che riflettano le sfide attuali e future legate all’acqua. Non meno importanti la definizione di «rimedi chiari» per rispondere tempestivamente alle emergenze idriche e lo stanziamento di «risorse sufficienti» perché gli investimenti devono essere adeguati e tempestivi. LEGGI TUTTO

  • in

    Sbloccato il rinnovo del contratto del trasporto pubblico locale

    Ascolta ora

    Dopo mesi di trattative, si sblocca l’impasse sul rinnovo del contratto collettivo nazionale del trasporto pubblico locale, scaduto alla fine del 2023. L’accordo per il periodo 2024-2026, che riguarda circa 110mila lavoratori del settore, è stato firmato presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) tra il dicastero stesso, i sindacati di categoria Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Faisa Cisal e Ugl Fna, e le associazioni datoriali Agens, Asstra e Anav. La copertura economica è stata garantita grazie alle risorse stanziate dal recente decreto accise.L’intesa prevede un’immediata erogazione di una somma una tantum di 500 euro e un aumento economico medio mensile in busta paga compreso tra i 220 e i 240 euro a regime. Come conseguenza dell’accordo, le cinque sigle sindacali hanno revocato lo sciopero di bus, tram e metro precedentemente proclamato per il 1° aprile. Tuttavia, resta confermata la mobilitazione di 24 ore indetta per domani da Cub Trasporti, Sgb, Cobas Lavoro Privato e Adl Cobas, che non hanno partecipato al tavolo e criticano l’intesa definendola “a perdere” e giudicando l’aumento “ridicolo”.Per la Commissione di garanzia sugli scioperi, l’accordo “ridurrà sensibilmente gli episodi di conflittualità nel settore, con un indubbio vantaggio per lavoratori ed utenti”, favorendo “una riflessione più serena sul futuro del settore”.Le reazioniSoddisfazione da parte del viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Edoardo Rixi, che ha coordinato il tavolo: “È un momento storico”, ha dichiarato, sottolineando di aver lavorato “senza sosta, coi ministri Salvini e Giorgetti, affinché venissero reperite le risorse necessarie”.Anche i sindacati firmatari accolgono positivamente il risultato ottenuto, ma sottolineano la necessità di ulteriori interventi: “Bisogna continuare a lavorare agli altri obiettivi della categoria”, affermano Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Faisa Cisal e Ugl Fna. Per loro, è “indispensabile l’adeguamento del Fondo nazionale trasporti attraverso risorse congrue e un riassetto del sistema che preveda la riforma normativa di settore e una riorganizzazione industriale”.A giugno 2025 è previsto un tavolo di confronto sulla riforma del settore, mentre nei prossimi giorni il Mit convocherà una riunione tecnica con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Conferenza Stato-Regioni e le associazioni di categoria per definire le modalità operative di distribuzione delle risorse alle oltre 900 aziende del comparto. Il costo annuo del rinnovo del contratto è stimato in 270 milioni per il 2025, 370 milioni per il 2026 e 510 milioni per il 2027 e gli anni seguenti.Fit-Cisl: “Un risultato atteso, ora riforma del settore”Il segretario generale della Fit-Cisl, Salvatore Pellecchia, commenta: “La ratifica del Ccnl Mobilità Trasporto pubblico locale, firmato l’11 dicembre 2024, è un passaggio storico che chiude positivamente la vertenza in atto. Il Viceministro Rixi ha confermato che con il provvedimento del 13 marzo scorso del Consiglio dei ministri, è assicurata la copertura delle risorse economiche di competenza dello Stato”. Inoltre, ha evidenziato come “lo sciopero precedentemente proclamato è stato revocato”.Per il segretario nazionale Fit-Cisl, Gaetano Riccio, l’accordo rappresenta “una tappa intermedia di un percorso ambizioso finalizzato a riformare l’intero sistema del trasporto pubblico locale”, con l’obiettivo di “assicurare un sistema di mobilità efficiente ed efficace, dotato di mezzi adeguati per soddisfare le necessità di chi si sposta per motivi di studio, lavoro, turismo e altre esigenze”.Eliseo Grasso, coordinatore nazionale, ha specificato che “il nuovo contratto, che copre il periodo 2024-2026, prevede l’erogazione immediata di una somma una tantum di 500 euro e un aumento complessivo di 240 euro così suddiviso: 100 euro di incremento sulla retribuzione base da corrispondere già da questo mese, 100 euro da erogare ad agosto 2026 e il trattamento integrativo pari a 40 euro mensili da assegnare in base agli accordi aziendali per il miglioramento delle condizioni vita/lavoro”. LEGGI TUTTO

  • in

    “Un piccolo reattore nucleare in ogni provincia”

    “Puntiamo in prospettiva ad almeno uno small reactor per ogni provincia: ogni territorio deve dare il suo contributo, nessuno escluso”. Parla così Claudio Fazzone, senatore di Fi e presidente della commissione Ambiente di Palazzo Madama. Prima del varo del ddl delega sul nucleare del ministro Pichetto, Fazzone era stato l’unico parlamentare a proporre un ddl in materia. Adesso l’auspicio è che il testo del governo inizi la “navetta” proprio dal Senato per accorpare così il suo testo. «Solo così le famiglie italiane cancelleranno l’incubo delle bollette alla fine del mese», racconta al Giornale.Senatore Fazzone, quali sono le differenze principali tra il modello di sviluppo nucleare proposto nel ddl e quelli adottati in passato dall’Italia?“I tempi sono cambiati, oggi dobbiamo impegnarci nella attuazione della Strategia Europea dei Cambiamenti Climatici attraverso l’attuazione del mix energetico, in cui la Ue include il nucleare. Nel mio ddl punto sulla tecnologia di nuova generazione da fusione nucleare e anche da fissione, puntando sugli small reactors. Prevediamo un grande impegno del governo sul fronte della ricerca e della partecipazione ai programmi internazionali ed europei, anche promuovendo da subito la costruzione di impianti sperimentali”.Il disegno di legge prevede la creazione di un’Autorità indipendente per l’energia nucleare. Come funzionerà?“Il ddl governativo ne ipotizza la istituzione ma ne rinvia la decisione. Il mio ddl ne propone la istituzione immediata per affidargli la regia del processo, dalla regolamentazione tecnica del settore alle istruttorie per le autorizzazioni ed il rilascio delle certificazioni per gli impianti da costruire, ivi compresi l’esercizio del ruolo di controllo, ispezione sugli impianti e vigilanza”.Come si svilupperà l’Agenzia nazionale per l’Energia nucleare?“Propongo che nasca sulle ceneri dell’Isin, assorbendone il personale, con il compito di valutare lo stato delle infrastrutture di base necessarie per avviare un Programma Nucleare Nazionale e fornire al governo le indicazioni necessarie per il loro completo sviluppo ed operatività. Vedo in merito una sua stretta cooperazione con l’Enea”.Come verranno selezionati i siti per le nuove centrali nucleari e quali criteri saranno utilizzati per minimizzare i rischi ambientali e di sicurezza?“Attraverso una prima fase di confronto con Regioni, Province e Comuni coinvolgendo sui territori associazioni di categoria, ordini professionali ed associazionismo; nella seconda fase ogni regione dovrà indicare i siti candidati sul proprio territorio. I siti candidati riceveranno benefici sulle forniture energetiche per le popolazioni ed imprese locali. Sarà il Governo poi a fare sintesi, anche sulla base delle manifestazioni di interesse delle imprese che si candideranno alla realizzazione con i loro capitali”.Perché ha scelto di non riproporre i quattro siti di Caorso, Trino, Garigliano e Latina in fase di decommissioning, opzione cui anche Confindustria è favorevole per l’insediamento degli Small Modular Reactor?“Perché dobbiamo dare un segno di discontinuità rispetto al passato: nell’immaginario collettivo i siti delle vecchie centrali, all’epoca contestati dalle popolazioni locali, sono legati ad un concetto superato di produzione di energia nucleare che si collega facilmente a gravi incidenti e disastri accaduti in altri paesi. Il nucleare pulito di nuova generazione, articolato in una rete di minireattori, deve svilupparsi in tutte le regioni al servizio dello sviluppo locale e con la partecipazione auspicata della imprenditoria locale, a partire dal sistema delle nostre multiutility a partecipazione pubblica. D’altronde, i vecchi siti non sarebbero pronti, devono essere prima bonificati”.Il ddl prevede incentivi economici per i Comuni situati entro 100 chilometri dai siti nucleari. Ritiene che questa misura possa essere sufficiente a ottenere il consenso delle comunità locali?“Certamente, il nucleare pulito di nuova generazione è sicuro, e i 100 chilometri vanno bene perché puntiamo in prospettiva ad almeno uno small reactor per ogni provincia. Ogni territorio deve dare il suo contributo, nessuno escluso. Solo così le famiglie italiane cancelleranno l’incubo delle bollette alla fine del mese che incidono pesantemente sui bilanci familiari.Il ddl prevede l’individuazione del Deposito nazionale entro un anno dall’entrata in vigore. Secondo lei, sarà più facile, una volta approvata la legge, avviarne la realizzazione?“È una priorità assoluta, oltre che una questione di sicurezza nazionale. Il governo dovrà assumersene la responsabilità decisionale, previo parere dell’Agenzia”.Sono anche previsti investimenti privati e fondi europei per la costruzione delle centrali?“No, ad oggi è previsto solo l’impiego di capitali privati per la costruzione, mentre i fondi pubblici dovranno essere impiegati da subito per ricerca e sviluppo”.Il ddl affronta un tema che ha sempre generato una forte opposizione politica e sociale. Nonostante i sondaggi rivelino che una maggioranza di italiani è favorevole a valutare i benefici di questa tecnologia, non teme la solita battaglia ideologica dei “professionisti del no”? LEGGI TUTTO