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    Cosa succede al corpo di una persona che fa lo sciopero della fame

    Lo sciopero della fame è una forma di protesta non violenta spesso adottata da chi non ha altri strumenti e possibilità per protestare, come nel caso delle persone detenute. È una pratica che comporta gravi conseguenze per la salute, come dimostra il caso dell’anarchico Alfredo Cospito, che ha iniziato il proprio sciopero della fame il 19 ottobre 2022 nel carcere di Sassari. In oltre tre mesi Cospito, che protesta contro le modalità della propria detenzione con il regime del 41-bis (il cosiddetto “carcere duro”) e per il rischio che la sua condanna a 20 anni di reclusione sia trasformata in ergastolo ostativo, ha perso più di 40 chilogrammi e negli ultimi giorni ha avuto un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni.Angelica Milia, la medica di fiducia di Cospito, nella sua ultima visita ha trovato il proprio assistito indebolito e incapace di rimanere in piedi, con la necessità di ricorrere a una sedia a rotelle. «L’ho trovato con una debolezza muscolare estrema dovuta alla sindrome da assenza di nutrizione, che lo porta a mantenere male la posizione eretta», spiega Milia. Nella sera di mercoledì 25 gennaio, Cospito ha perso conoscenza mentre stava facendo una doccia per provare a scaldarsi, è caduto a terra e ha battuto il viso contro il piatto della doccia rompendosi il naso. Milia ha detto che l’episodio potrebbe portare a ulteriori complicazioni, in una persona con uno stato di salute compromesso.Come per tutte le cose che interessano le condizioni fisiche, gli effetti dello sciopero della fame sono altamente soggettivi e riguardano le caratteristiche dei singoli e il contesto in cui mantengono questa forma di protesta. Per quanto possa essere organizzato e dotato di un’infermeria, il carcere non è tra i luoghi più sicuri per condurre uno sciopero della fame: a causa del lungo periodo di astinenza dal cibo, le condizioni di salute della persona interessata possono cambiare in brevissimo tempo, e potrebbero non essere presenti risorse e personale idonei a gestire un’emergenza sanitaria. Anche per questo motivo Flavio Rossi Albertini, l’avvocato di Cospito, ha chiesto che il proprio assistito sia spostato in un carcere che abbia una struttura ospedaliera adeguata, in modo da intervenire nel caso di peggioramenti repentini.Concretamente lo sciopero della fame consiste in un rifiuto totale dell’assunzione di cibo, che duri più giorni. Solo in alcuni e rari casi – e non è quello di Cospito – avviene contemporaneamente anche il rifiuto dell’acqua, astinenza che rende le prospettive di sopravvivenza assai più brevi. Talvolta le persone che fanno lo sciopero della fame assumono almeno per certi periodi degli integratori di vitamine e sali minerali, da sciogliere nell’acqua.Cospito ha da poco superato il centesimo giorno di sciopero della fame, un periodo molto lungo e ampiamente superiore ai due mesi indicati solitamente come il tempo massimo oltre il quale gli effetti per la salute sono maggiori e spesso irreversibili. Per le ragioni di soggettività cui accennavamo prima, non c’è un tempo di resistenza uguale per tutti e ci sono molte variabili da considerare. In linea di massima le persone in salute sviluppano più tardi complicazioni, così come le persone sovrappeso che hanno maggiori risorse cui l’organismo può attingere per mantenere le proprie attività, con minori danni per gli organi.Milia dice che la lunga resistenza di Cospito è in parte spiegata dalle condizioni di salute generalmente buone del suo assistito prima di ottobre, accompagnate dal sovrappeso: «all’inizio del digiuno, Cospito aveva un indice di massa corporea prossimo all’obesità, essendo alto 194 centimetri e avendo un peso di 114 chilogrammi. Ora però pesa meno di 75 chilogrammi e inizia a essere sottopeso. In letteratura scientifica ci sono indicazioni sui rischi che si corrono quando si perde circa il 50 per cento del peso corporeo, con danni che possono essere permanenti».Entro certi limiti, il nostro organismo è attrezzato per affrontare periodi di digiuno, mentre lo è molto meno per resistere a lungo senza acqua, necessaria per le funzioni del metabolismo e per i sali minerali. Facendo affidamento sulla caccia e la raccolta di vegetali che crescevano spontaneamente, per i primi esseri umani l’alimentazione era quasi sempre discontinua con periodi in cui l’accesso al cibo era molto limitato. Questa circostanza favorì probabilmente quegli individui che del tutto casualmente erano geneticamente meglio attrezzati per sopravvivere a prolungate fasi di digiuno, o comunque a periodi con apporti calorici estremamente ridotti.Tra i primi a studiare sistematicamente gli effetti del digiuno sul metabolismo ci fu il medico statunitense Geoerge F. Cahill, che negli anni Sessanta condusse esperimenti con alcuni volontari, che sospesero la propria alimentazione fino a 40 giorni. Cahill e il proprio gruppo di ricerca ebbero modo di verificare che cosa accade al nostro organismo durante un digiuno prolungato, e soprattutto di studiare da dove riesca a trarre le energie per sopravvivere.Per mantenere le proprie attività, il nostro organismo ha bisogno di molta energia: il cervello da solo ne consuma circa un quinto. La principale fonte di questa energia è il glucosio, tra i composti organici più diffusi in natura e importantissimo per la vita degli organismi. Viene ottenuto tramite l’alimentazione e consumato molto velocemente, tanto da non averne mai scorte significative cui attingere quando si smette di mangiare. Nei periodi di digiuno, o anche più semplicemente mentre dormiamo, l’organismo ottiene in parte le proprie energie dalla proteine che costituiscono la massa muscolare, con un processo che gli consente di disporre di altro glucosio nel breve termine. È un processo limitato, che evita che si consumino troppo i muscoli, essenziali per rimanere attivi e andare alla ricerca di nuovo cibo.Il minore apporto di energia, o la sua totale mancanza, viene compensato dalla trasformazione delle riserve di grasso, che è per propria natura altamente energetico. Mentre le proteine sotto forma di muscolo sono molto importanti per il mantenimento di varie funzioni, il grasso può essere sacrificato per produrre energia senza particolari conseguenze. Il grasso viene trasformato (chetogenesi) in “corpi chetonici”, composti che vengono sintetizzati dalle cellule del fegato e che permettono di ridurre il consumo di proteine per la produzione di glucosio, fornendo comunque una fonte di energia.In generale, i livelli di corpi chetonici nel sangue aumentano ad alcune ore di distanza dall’avvio del digiuno. La loro concentrazione diventa ancora più grande nel caso in cui il digiuno diventi prolungato e duri per svariati giorni. Anche il sistema nervoso centrale, che comprende il cervello, utilizza i corpi chetonici come forma di energia e per diverso tempo riesce a compensare e a funzionare senza particolari difficoltà.La chetogenesi è uno dei processi fondamentali per garantire la nostra sopravvivenza nei periodi prolungati di digiuno, o più semplicemente quando seguiamo particolari tipi di diete per perdere peso. Basandosi sulla trasformazione dei grassi, ne deriva che una persona molto sovrappeso od obesa possa digiunare più a lungo rispetto a una persona normopeso, come nel caso di Cospito.La perdita di grasso avviene più rapidamente rispetto a quella della massa muscolare, che comunque in minima parte continua a verificarsi e a rendere più difficile il lavoro di alcuni organi. Ma le risorse di grasso non sono comunque infinite. Quando terminano, il ricorso alla massa muscolare per la produzione di energia aumenta, spiega Milia: «Terminate le scorte di tessuto adiposo, si avvia quella che in sostanza è un’“autodigestione” che interessa in maniera crescente non solo i muscoli, ma vari organi come l’intestino e il fegato».Riuscire a sopravvivere a lungo senza nutrirsi non implica che nel frattempo non avvengano altri processi dannosi per la salute. Dopo un paio di settimane dall’inizio del digiuno si possono accusare fasi in cui si avvertono debolezza e un certo stordimento, accompagnato dalla difficoltà a rimanere in piedi e a compiere attività fisiche non necessariamente impegnative, come camminare.A un mese dall’inizio del digiuno, o nel momento in cui si perde circa un quinto della propria massa corporea, i problemi neurologici aumentano a causa della mancanza di alcune vitamine che deriviamo dall’alimentazione. Si manifestano le prime difficoltà motorie perché il sistema nervoso non riesce a gestire correttamente i segnali, si possono avere problemi di vista e di udito. Il fegato è sottoposto a un forte stress, legato al processo di trasformazione dei grassi, e i reni faticano a ripulire il sangue.Dopo due mesi o una perdita ancora consistente di peso, possono subentrare numerose altre complicazioni, come mostra anche il caso di Alfredo Cospito che ha ormai raggiunto il terzo mese di sciopero della fame. Il normale metabolismo viene compromesso e risultano meno efficienti i processi di termoregolazione, cioè la capacità di regolare la temperatura corporea. Semplificando, la fonte principale del calore prodotto dal corpo umano è il lavoro svolto dalle cellule, la cui attività rallenta in una fase di lunga e prolungata astinenza dal cibo.Il risultato è una sensazione costante di freddo, accompagnata da brividi e tremori. Milia ha detto che Cospito riferisce di non riuscire a placare la sensazione di freddo nemmeno utilizzando più strati di abiti. Non è chiaro se ci siano possibilità di aumentare la temperatura nella cella per ridurre il problema. Per questo motivo il 25 gennaio Cospito aveva provato a farsi una doccia provando a scaldarsi. Dopo avere perso i sensi ed essere caduto fratturandosi il naso, era stato temporaneamente portato in pronto soccorso per ricevere le prime cure di emergenza e bloccare la perdita di sangue.Molte settimane di digiuno causano inoltre problemi nella produzione delle proteine del sangue, che hanno un ruolo molto importante per numerose funzioni legate al sistema immunitario, ma anche alla stessa capacità del sangue di coagularsi. La minore produzione non è dovuta solamente alla mancanza delle sostanze necessarie per produrle, ma anche all’attività di recupero di glucosio partendo dalle proteine. Milia dice che Cospito ha da diversi giorni problemi di questo tipo, con una forte riduzione delle cellule del sistema immunitario, che non ha le risorse necessarie per il proprio funzionamento.Dall’alimentazione otteniamo inoltre importanti minerali come il sodio, tra i più abbondanti nel nostro organismo: in una persona adulta sono presenti nel sangue, nel tessuto osseo, in quello cartilagineo e nei tessuti connettivi circa 90 grammi di questa sostanza. Una parte consistente è diffusa soprattutto nei liquidi extracellulari e ha un ruolo molto importante per regolare il passaggio dei nutrienti all’interno e all’esterno delle cellule.Insieme ad altre sostanze, il sodio contribuisce inoltre alla trasmissione degli impulsi nervosi. Una forte carenza, derivante da un lungo digiuno, compromette queste funzionalità e può portare a rischi di vario tipo, compresi quelli di sviluppare edemi cerebrali, cioè un accumulo di liquidi in parte del cervello che ostacola il flusso sanguigno e di conseguenza l’ossigenazione dei neuroni, con danni potenzialmente molto gravi. Nelle visite effettuate negli ultimi giorni, Milia ha riscontrato una sensibile riduzione dei livelli di sodio di Cospito.Ci sono vari altri minerali che deriviamo dall’alimentazione e che sono essenziali per il buon funzionamento dell’organismo, come il potassio presente in frutta, verdura e legumi. Contribuisce al funzionamento dei muscoli, compreso il cuore, e ha un importante ruolo nel regolare la pressione sanguigna, contrastando gli effetti del sodio. Bassi livelli di potassio fanno aumentare il rischio di soffrire di malattie cardiovascolari, oltre che comportare debolezza muscolare e una generale sensazione di malessere.La somma di tutte queste circostanze ha effetti sulle capacità cognitive, con amnesie a breve termine e più in generale conseguenze sulle condizioni psicologiche di chi sta facendo lo sciopero della fame. Compatibilmente con la situazione, Milia segnala che per ora Cospito mantiene comunque buona parte delle proprie capacità mentali: «Fondamentalmente parla in maniera spedita, non si riscontrano deficit, anche se riferisce di avere ogni tanto qualche amnesia a breve termine». Ha però smesso di assumere alcuni integratori di minerali che gli erano stati consigliati, con l’aggiunta di ulteriori rischi per la sua salute ormai precaria.Oggi la Corte di Cassazione ha anticipato al 7 marzo l’udienza sul ricorso di Cospito, richiesta per non essere più sottoposto al regime del 41-bis, rispetto alla data prevista in precedenza del 20 aprile. Milia aveva ipotizzato che per quel giorno Cospito non sarebbe più stato in vita. La nuova data dell’udienza è stata comunque ritenuta troppo avanti nel tempo, considerate le attuali condizioni di Cospito. Fare previsioni sull’evoluzione dello stato di salute di una persona che si è sottoposta a un digiuno di mesi è pressoché impossibile, perché può essere sufficiente un’infezione imprevista, un evento traumatico o l’ulteriore sbilanciamento di alcuni valori per determinare un peggioramento improvviso.Il processo di recupero di energie dagli organi stessi di Cospito è ciò che viene osservato con più attenzione da Milia: «È pericoloso perché può via via intaccare i muscoli respiratori, che sono responsabili del riempimento e dello svuotamento dei polmoni. Il loro indebolimento può portare a una insufficienza respiratoria grave e alla morte». LEGGI TUTTO

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    Da dove vengono i funghi che compriamo

    Caricamento playerIn queste settimane si sta chiudendo in varie zone d’Italia il periodo in cui è più facile trovare e raccogliere funghi spontanei. In realtà la stagione sembra piuttosto tardiva, e in molte aree dell’Appennino questi sono giorni in cui le nascite sono numerose e le dimensioni dei funghi notevoli. Nel complesso però il 2022 è stato un anno particolare per i funghi: le alte temperature e le pochissime precipitazioni in primavera ed estate ne hanno condizionato a lungo la nascita, che è favorita dall’umidità. Ci sono stati momenti in cui la produzione è stata davvero limitata ed era particolarmente difficile trovare in commercio prodotti italiani.La cosa ha influito solo su appassionati e ristoratori che si riforniscono localmente: per quel che riguarda i funghi spontanei, e primi fra tutti i porcini, anche in annate normali circa il 95 per cento dei prodotti in commercio è di provenienza estera. Al contrario invece i funghi coltivati che troviamo sul mercato, in maggioranza champignon, sono di origine italiana.Il commercio dei funghi ha dimensioni mondiali ed è in costante e consistente crescita negli ultimi anni. In Italia ha regole particolari, che distinguono fra i prodotti spontanei o coltivati e fra freschi, conservati o essiccati. Soprattutto per quelli spontanei, c’è la necessità di tutelare il consumatore finale da possibili intossicazioni, visto che solo una parte dei funghi è commestibile, mentre gli altri contengono tossine che possono essere anche letali.La stagione di ricerca dei funghi selvatici, indicativamente compresa fra maggio e novembre, muove molti appassionati (in varie città italiane sono presenti gruppi micologici che organizzano mostre e conferenze), provoca non pochi incidenti e talvolta porta all’intervento delle forze dell’ordine, come nel caso degli italiani fermati dalle guardie doganali francesi con 150 chili di porcini a inizio ottobre. Ogni paese e ogni regione regola la raccolta con tesserini, giorni e orari di sospensione della raccolta, quantità massime: polizia e carabinieri forestali attuano i controlli.Il numero dei cercatori di funghi è in grande aumento negli ultimi anni, racconta Angelo Giovinazzo, gestore del blog Funghimagazine, uno dei più popolari fra gli appassionati: «Cercare e raccogliere funghi è diventato di moda, un po’ perché gli chef  propongono funghi, soprattutto porcini, in molte ricette, un po’ per gli effetti anche perversi dei social: in molti raccolgono per poi ottenere riscontri, like, follower su Instagram e YouTube. Valsesia e Ossola, in Piemonte, quest’anno sono state prese d’assalto, c’è chi arrivava anche da posti lontani 600 chilometri».La produzione e il commercio di funghi coltivati sono invece meno problematici e indipendenti dalle variazioni legate a stagionalità o condizioni atmosferiche: le specie di funghi adatte a crescere in questo modo vengono coltivate in fungaie industriali, particolari serre allestite per garantire temperatura, illuminazione e umidità appropriate.In Italia le specie coltivate sono prevalentemente due: lo champignon (noto in Italia anche come prataiolo, anche se a rigore sono specie diverse per quanto simili, Agaricus bisporus il primo, Agaricus campestris il secondo), che vale oltre due terzi della produzione nazionale, e il Pleurotus ostreatus, detto anche gelone o orecchione (circa il 15 per cento). Ci sono poi coltivazioni di dimensioni minori di pioppini, portobello, cardoncelli, cornucopie e varietà di origini orientale come gli shiitake. La coltivazione dei funghi si è sviluppata in Italia nel secondo dopoguerra: riguarda una sottocategoria dei funghi, quelli definiti saprofiti, che utilizzano la materia organica animale e vegetale per crescere e riprodursi. I porcini, solo per citare i più ricercati, sono invece funghi simbionti, che hanno bisogno di un particolare organismo simbionte, spesso una pianta, per crescere, creando con esso uno scambio continuo e reciprocamente vantaggioso di sostanze. Questo genere di funghi è decisamente più complesso da coltivare, spesso impossibile.– Leggi anche: In Francia dicono di essere riusciti a coltivare il tartufo biancoLa coltivazione dei funghi saprofiti prevede, una volta installata la serra, normalmente buia, la preparazione di un substrato composto di paglia, letame e gesso. Oggi è fortemente controllato e pastorizzato per evitare che i funghi assorbano elementi patogeni. Dopo l’aggiunta del micelio (l’apparato vegetativo dei funghi, formato da un intreccio di filamenti) la prima raccolta arriva dopo circa 30 giorni, con due o tre raccolte successive a distanza di un paio di settimane utilizzando lo stesso substrato.I funghi ampiamente più coltivati, come detto, sono gli champignon, Agaricus bisporus: l’Italia ne produce circa 95 mila tonnellate e la quasi totalità di quelli che troviamo in commercio freschi nel nostro paese sono di provenienza italiana. Per i funghi coltivati la legge prevede la chiara indicazione della provenienza, cosa che invece non è necessaria per i funghi spontanei, che devono passare altri tipi di controlli. Gli champignon possono rendere intorno ai 2-2,5 euro al chilo al produttore ed essere venduti intorno ai 4-5 euro al chilo al dettaglio. Non sono stagionali, sono sul mercato tutto l’anno, però i prezzi possono essere influenzati da qualità e temporanee variazioni della domanda o dell’offerta.Un produttore belga mostra funghi che nascono su un substrato a base di malto esausto, residuo della produzione della birra, in una serra a Bruxelles (AP Photo/Virginia Mayo)Il più grande produttore al mondo di champignon, e di funghi in generale, è la Cina, da cui proviene quasi il 75 per cento dei funghi coltivati (2 milioni e mezzo di tonnellate), con una parte rilevante del mercato costituta dal Nord America, dove non c’è la consuetudine della raccolta dei funghi spontanei e dove anche la coltivazione è meno rilevante.Tornando all’Italia, se i funghi freschi coltivati sono quasi totalmente di produzione italiana, nel 2020 abbiamo importato 56 mila tonnellate di funghi conservati, sott’olio, in salamoia e congelati, mentre le importazioni di funghi essiccati, per lo più porcini, sono stimabili in 800 tonnellate l’anno. I funghi sono composti per oltre il 90 per cento di acqua: per ottenere un etto di funghi essiccati si utilizza grosso modo un chilo di prodotto fresco. La totalità di questo genere di prodotti è importato (alcune denominazioni “made in Italy” sono possibili in quanto la lavorazione è in aziende italiane): Cina, Polonia, Romania, Paesi Bassi e Spagna sono i principali paesi fornitori.Quest’anno, spiega Nicola Sitta, esperto micologo e docente, i prodotti europei sono stati più economicamente competitivi rispetto a quelli cinesi: «È una anomalia, dovuta al cambio sfavorevole dell’euro col dollaro, all’aumento dei prezzi dei container, ma soprattutto alla enorme produzione della Romania, che ha abbassato i prezzi dei prodotti europei».– Leggi anche: Cercare funghi è più pericoloso di quanto si possa pensarePer quel che riguarda i funghi freschi spontanei, circa il 90-95 dei prodotti in vendita arriva dall’estero. La raccolta italiana è totalmente insufficiente a rispondere alla richiesta ed è fortemente regolata, per cui viene spesso esaurita per il consumo personale, la vendita al dettaglio a livello molto locale, il rifornimento di ristoranti. Raramente arriva alla grande distribuzione e solo nelle fasi di grande abbondanza (che fanno scendere i prezzi) sui mercati. In realtà esistono in Italia anche dei «cercatori professionisti» che rivendono a clienti abituali, racconta Angelo Giovinazzo: «Hanno permessi speciali che permettono loro di raccogliere tutto l’anno e senza limiti di peso. Per ottenerli bisogna superare degli esami e costano di più di quelli normali». I normali permessi hanno prezzi variabili: vanno dai 30 euro l’anno del Piemonte ai 30 ad uscita di Liguria ed Emilia.Per quel che riguarda i funghi freschi non è necessaria l’indicazione della provenienza, anche se esiste un parere della Comunità Europea del 2017 che invita i paesi membri ad adeguare le leggi per renderla obbligatoria. Un adeguamento è sollecitato da molti operatori del settore per evitare indicazioni false di provenienza (spesso sui mercati i funghi vengono spacciati come italiani).Quelli che compriamo abitualmente al mercato o nei supermercati particolarmente forniti arrivano soprattutto da Romania, Bulgaria, Slovenia, Serbia e Croazia, ma anche dal Nord Europa. Nelle fasi dell’anno in cui in Europa i funghi spontanei sono più rari si ricorre a prodotti sudafricani: il trasporto e la conservazione dei prodotti freschi sono ovviamente una questione maggiormente problematica quando aumentano le distanze.Funghi porcini di denominazione “di Borgotaro IGP” (ANSA)Il fungo ampiamente più richiesto è il porcino, nome scientifico Boletus edulis: il prezzo può variare fra i 15 e i 30 euro al chilo, a seconda della qualità e delle quantità disponibili sul mercato. Più spesso quelli raccolti localmente costano fra i 25-30. Ma nelle grandi città, lontano dai punti di raccolta, i prezzi possono arrivare anche al doppio, tanto che con una pratica discutibile vengono talvolta indicati al mezzo chilo. Nella vendita locale e per i ristoranti poi può contare anche la dimensione: gli esemplari più piccoli sono ricercati per essere conservati interi sott’olio. Un’altra variabile è legata alla freschezza del prodotto, che è di difficile conservazione: la quotazione del fungo è destinata a scendere quanto più ci si allontana dal momento in cui è stato effettivamente raccolto.La grande popolarità dei porcini ha portato a provare a elaborare metodi di coltivazione, che sono però molto complessi, prevedono tempi lunghi e non danno risultati certi. La coltivazione può avvenire solo attraverso la micorizzazione, una tecnica che consiste nel trasferire in un terreno le radici del fungo e creare un rapporto di simbiosi con altre piante, di solito castagni e querce. Esistono poi tentativi sperimentali di coltivazione di porcini in serra.Chi vuole vendere funghi spontanei deve prima di tutto ottenere un certificato di idoneità al riconoscimento, rilasciato dalla ASL (azienda sanitaria locale). I funghi devono essere divisi in cassette suddivise per specie, indicata con il nome scientifico, e non è possibile venderli quando parzialmente o totalmente rovinati: ogni cassetta deve ottenere dalla ASL un certificato che indichi l’avvenuto controllo di tutti i funghi da parte degli Ispettorati Micologici. Questi ispettorati sono in quasi ogni provincia, con maggiore presenza nelle zone più interessate dalla raccolta: in Piemonte, per esempio, sono 25, in Toscana oltre 30.Una tavola del 19° secolo che mostra i funghi commestibili (Hulton Archive/Getty Images)Quest’anno per lunghe fasi della stagione, soprattutto in primavera e all’inizio dell’estate, le vendite di prodotti spontanei italiani sono state molto ridotte perché le nascite dei funghi erano rare. Le alte temperature arrivate già in tarda primavera e le poche precipitazioni hanno limitato il numero di funghi soprattutto nei boschi dell’arco alpino.Nicola Sitta dice: «In realtà gli effetti della siccità saranno più gravi sui tartufi. I funghi, anche dopo una siccità prolungata, dopo una pioggia consistente possono far registrare “buttate” molto importanti». È quello che è successo nel mese di ottobre soprattutto nell’area appenninica e del centro Italia, dove si registrano grandi nascite, ma anche in Calabria, Basilicata e Campania. L’annata ha fatto registrare anche una produzione superiore alla media di Amanita Caesarea, conosciuta come “ovulo buono”. Le segnalazioni delle nascite vengono condivise da appassionati e “fungaioli” su chat private, blog e siti specializzati: Funghimagazine ha oltre 600 membri attivi in tutta Italia. Incrociando le loro indicazioni con i dati sulle precipitazioni compone tabelle aggiornate e approfondite, provincia per provincia, zona per zona, con indicazioni sulla possibilità di trovarli.– Leggi anche: Non lo sapete ancora, ma volete leggere un libro sui funghi LEGGI TUTTO