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    Lo Spid non sarà più gratis: quanto costerà il servizio e chi dovrà pagare

    A partire dalla data di lunedì 28 luglio 2025, lo Spid rilasciato da InfoCert non sarà più gratuito. Seguendo quindi il percorso già tracciato da Aruba all’inizio di maggio, anche quello che ad oggi è considerato uno dei principali gestori di identità digitale a livello nazionale ha di recente comunicato la sua decisione di introdurre un canone annuale pari a 5,98 euro Iva compresa.L’annuncio è stato diffuso via mail a tutti gli utenti in possesso di uno Spid rilasciato da InfoCert: nella nota si sottolinea l’intenzione di “continuare ad offrire un servizio in linea con le tue aspettative”, garantendo agli utenti il mantenimento di “elevati standard di qualità e sicurezza”. La gestione di numerosi profili di identità digitale ha ovviamente dei costi, e Tinexta, la società che controlla il provider, non vuole più farsene integralmente carico.Ciò significa in sostanza che alla prima scadenza successiva al 25 luglio 2025 per poter vedere rinnovare il proprio Spid Infocert, che è stato rilasciato e gestito in modo totalmente gratuito per dieci anni, sarà necessario versare una quota annuale identica a quella già richiesta anche da Aruba ai suoi clienti. Per la precisione, bisognerà pagare 5,98 euro all’anno Iva inclusa (ovvero 4,90 euro senza Iva). Non si tratta certamente di una cifra proibitiva, ma è pur sempre la prima volta che viene chiesto ai cittadini di pagare per il servizio. Il rinnovo, ovviamente, non avverrà in modo automatico, per cui dovrà essere l’utente ad autorizzare l’operazione e il versamento.Sarà il provider, con l’avvicinarsi della data di scadenza, a contattare il cliente via mail con tutte le istruzioni per rinnovare il proprio Spid. Pur non essendoci, come già accennato, alcun rinnovo automatico, l’utente avrà comunque in ogni caso la possibilità di recedere dal contratto, inoltrando una Pec a “revoca.spid@legalmail.it” o una raccomandata con avviso di ritorno indirizzata a “InfoCert S.p.A., – Direzione Generale e Amministrativa – Piazzale Flaminio 1/B 00196 Roma”.”Infocert per 10 anni ha offerto lo Spid gratuitamente, sostenendo tutti gli investimenti necessari per promuovere l’accesso alla digitalizzazione da parte dei cittadini”, si legge nel messaggio. Tale giustificazione, tuttavia, ha fatto storcere il naso a tanti, dal momento che nel marzo di quest’anno il governo ha sbloccato il finanziamento da 40 milioni di euro atteso da 2 anni: ciò nonostante, pur coi fondi a propria disposizione, InfoCert ha deciso di addebitare una parte dei costi ai propri utenti LEGGI TUTTO

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    La Bce taglia i tassi. Fabi: “Ma i mutui scendono a rilento”

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    Da un lato ci sono i tassi d’interesse che continuano a scendere, con l’ottavo taglio da un quarto di punto varato dalla Banca centrale europea. Dall’altra ci sono i tassi applicati ai mutui che calano con molta più parsimonia. Fatto evidenziato con i numeri da uno studio della Fabi, il principale sindacato bancario italiano, il quale fa presente che a una riduzione del tasso medio Taeg sui mutui di meno di 150 punti base dal massimo di fine 2023, è arrivato un taglio dei tassi Bce di 250 punti base complessivi. È la fotografia della «trasmissione lenta» delle mosse dell’istituto centrale all’economia reale da parte delle banche sul prestito-casa, col rischio secondo la Fabi di «avere effetti meno incisivi del previsto» a beneficio del tessuto economico.Dal 4,5% di tasso ufficiale sui depositi a settembre 2023, la Bce è scesa oggi al 2% suggerendo che ora starà alla finestra in attesa di capire gli sviluppi negoziali sui dazi. Secondo il sindacato, il Taeg ha visto nello stesso periodo una riduzione sui mutui «di soli 118 punti base» passando dal 4,72% di ottobre 2023 al 3,54% di marzo. LEGGI TUTTO

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    Home banking da mobile, occhio a questi cellulari che non supporteranno più le app: cosa fare in questo caso

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    Si avvicina un momento delicato per i possessori di cellulari datati, dal momento che le app utilizzate per gestire l’home banking mediante smartphone smetteranno presto di funzionare: per poter girare correttamente, infatti, questi programmi necessitano di costanti aggiornamenti di sicurezza, per cui qualora essi non siano più supportati dal device non ci sarà più alcuna possibilità di effettuare le consuete operazioni bancarie tramite mobile.Facendo riferimento ad applicazioni molto delicate, dato che si parla di accesso a dati sensibili e movimenti di denaro, è chiaro che esse debbano essere giocoforza legate a doppia mandata a sistemi di sicurezza non solo estremamente avanzati ma anche in continua evoluzione proprio per contrastare ogni tentativo di intrusione e violazione. Tra autenticazione biometrica con Face ID o rilevazione delle impronte digitali e connessioni crittografate, sono tanti gli strumenti che possono garantire questa protezione, tuttavia i frequenti aggiornamenti iniziano a richiedere versioni sempre più avanzate dei sistemi operativi su cui tali app vengono installate. Quelli datati, come ad esempio Android 7 o iOS 12, non offrono standard di sicurezza adeguati, per cui le app recenti non risultano più compatibili: tanti istituti di credito richiedono per il mobile banking almeno Android 8 e iOS 14.Quali cellulari rischiano pertanto di restare esclusi dagli aggiornamenti di sicurezza? Per quanto concerne Apple al momento il limite e l’iPhone 6, potendo esso installare al massimo l’iOS 12, non ritenuto più sufficiente a garantire un adeguato standard di protezione. Relativamente ai sistemi Android, invece, per andare sul sicuro sarebbe meglio dotarsi di dispositivi compatibili almeno con la versione 9 per non correre il rischio di restare improvvisamente esclusi dalla possibilità di aggiornare la propria app bancaria.Ovviamente gli istituti di credito, ben consapevoli delle vulnerabilità di determinati sistemi operativi ormai datati, non vogliono rischiare di diventare potenzialmente responsabili di cyberattacchi qualora si verificassero intrusioni tramite le app messe a disposizione dei propri clienti. Ecco il motivo per cui si impedisce l’accesso al sistema da smartphone particolarmente vecchi, non più compatibili coi moderni sistemi di riconoscimento biometrico e le recenti forme di crittografia: una protezione degli utenti che diventa anche un modo per tutelare se stessi dinanzi a potenziali violazioni. LEGGI TUTTO

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    La Bce taglia ancora i tassi: cosa cambia per i mutui. Tutti i calcoli

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    La Banca centrale europea taglia i tassi dal 2,25% al 2% in quella che è l’ottava sforbiciata al costo del denaro in un calo iniziato a giugno 2024.Secondo i calcoli del Codacons, il taglio di oggi porterebbe a un risparmio sulle tipologie di mutuo più diffuse in Italia compreso tra i 13 e i 30 euro al mese. Per un mutuo a 20 anni di importo compreso tra i 100mila e i 200mila euro, il risparmio sulla rata mensile varierebbe tra i 13 e i 27 euro, pari a una minore spesa annua tra -156 e -324 euro. Se il finanziamento ha una durata di 30 anni, il taglio dei tassi dello 0,25% produce un risparmio medio tra i 15 e i 30 euro sulla rata mensile, tra -180 e -360 euro annui. LEGGI TUTTO

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    Autovelox, due sentenze diverse in 24 ore

    Proseguono copiosi i ricorsi contro le sanzioni comminate tramite autovelox, tuttavia chi si aspettava una maggiore chiarezza in merito alla questione rimarrà deluso da due sentenze della Corte di Cassazione in contrasto tra loro, firmate nello stesso giorno dal medesimo relatore. Se infatti da un lato la prima stabilisce che la non omologazione dell’apparecchio sia sufficiente per annullare la multa, dall’altro la seconda ordinanza aggiunge che oltre a questo requisito sia necessario presentare anche una querela di falso nei confronti del responsabile e firmatario del verbale. Questa ambiguità di giudizio è un chiaro segnale del livello di confusione che regna nell’ambito in esame.Furono proprio gli Ermellini a sollevare i primi dubbi circa le sanzioni derivanti dalle segnalazioni effettuate tramite autovelox: il 19 aprile del 2024 venne in sostanza sancita la differenza tra approvazione e omologazione dei dispositivi elettronici, e la Suprema Corte stabilì che in assenza della seconda ogni multa era da ritenersi nulla. Da quel momento in poi la linea seguita dai giudici era stata sempre la stessa: il ricorso vinto dall’automobilista comportava l’annullamento della sanzione pecuniaria e la restituzione dei punti tolti alla patente.”In effetti, che gli autovelox in Italia non siano stati omologati secondo quanto previsto dagli articoli 45, comma 6, e 142, comma 6, del Codice della Strada è un fatto notorio e incontrovertibile”, dichiara a Il Corriere il docente di Diritto Amministrativo all’Università Cattolica di Milano Mauro Renna. Questa lacuna è quindi alla base dei numerosissimi ricorsi piovuti da ogni dove, ma il problema ora è che, dinanzi a una certa uniformità di giudizio registrata nell’ultimo anno, la sentenza 13997/2025 interviene a creare ulteriore confusione tra gli automobilisti.Da una parte gli Ermellini sanciscono che solo l’omologazione possa far ritenere valido un provvedimento derivante dalla segnalazione di un autovelox, ribadendo l’inutilità dell’approvazione ai fini della contestazione. Dall’altro pretendono che a ciò si aggiunga una querela in falso nei confronti dell’autore della sanzione laddove si millanti l’omologazione. “In presenza di verbali con false attestazioni, la Corte costringe i sanzionati a proporre ben due giudizi, peraltro dall’esito positivo sicuro”, considera Renna, “dato che, come detto, è falso che gli autovelox possano essere stati omologati secondo quanto previsto dalla legge”. Questo secondo requisito non si è reso necessario nella sentenza 13996/2025 emessa lo stesso giorno dagli Ermellini, i quali hanno ritenuto la non omologazione sufficiente ad annullare il verbale.Se si analizza più a fondo la questione, la necessità di aggiungere la querela alla documentazione per tentare la via dell’annullamento non sarà di certo sufficiente a disincentivare i ricorsi.”Quand’anche l’orientamento di cui alla sentenza n. 13997, iniquo da un punto di vista sostanziale, non restasse isolato, questo, in caso di false attestazioni, non potrebbe comunque valere ad arginare i contenziosi contro le sanzioni”, si dice certo l’esperto, “solo li moltiplicherebbe inutilmente, stante l’esito scontato anche dei giudizi per le querele di falso”. Dal lato pratico, un Comune di una metropoli italiana è stato già condannato in primo grado, per cui la strada pare già tracciata: dal momento che nel verbale si fa riferimento all’omologazione dell’autovelox, la sanzione resta valida fino al momento in cui non viene messa in discussione e matematicamente smentita dalla querela di falso, procedimento peraltro molto oneroso. “È un aggravio sproporzionato che va a colpire il cittadino per un’inadempienza originata dallo Stato stesso, che non ha mai varato il decreto tecnico attuativo”, puntualizza Renna, e questo nonostante che si parli di un vuoto normativo vecchio di 33 anni. Ma la situazione, già complessa, si complica ulteriormente con la sentenza 13997.A lamentarsi sono ovviamente anche le forze dell’ordine.”Non si può aspettare che i comandanti della Stradale o della Municipale vengano condannati perché da 33 anni manca un decreto ministeriale”, lamenta il presidente dell’associazione amici della polizia stradale Giordano Biserni. “Alle volte mi viene il dubbio che in Italia alla fine non si vogliano i controlli sulla velocità. Vorrei ricordare che lo scorso week end si è concluso con 37 vittime sulle strade italiane e questo rappresenta il record negativo del 2025. Si vuole continuare così? Resta l’amaro in bocca”, conclude. LEGGI TUTTO

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    Il bancomat ti “mangia” la carta? Il tasto da premere e come agire in questi casi

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    Pur non essendo una situazione che si verifica con grande frequenza, il timore che la propria carta di credito/debito venga “mangiata” e non più restituita dal bancomat in cui è stata inserita pochi istanti prima accomuna tante persone.Il fatto che siano degli episodi rari non significa comunque che non accadano, e di certo trovarsi dinanzi a una situazione di questo tipo può generare panico, togliendo la lucidità necessaria per uscire dall’impasse. Di solito accade poco dopo aver inserito il pin, e le cause possono essere molteplici: il macchinario trattiene la carta quando sono trascorsi i 30 secondi dalla restituzione indicati a schermo o nel caso in cui la tessera risulti smagnetizzata o rubata, oppure ancora se si sbaglia per tre volte a inserire il codice. Può capitare tuttavia anche che il problema non sia la carta ma lo stesso bancomat a causa di un banale guasto. Qualunque sia la motivazione, la prima regola è quella di non farsi prendere dall’ansia, evitando di agire d’istinto.Generalmente per risolvere il problema è sufficiente cliccare sul pulsante “Annulla” o “Cancel”, individuabile grazie al colore rosso e alla “X” in rilievo, che si può ritrovare in ogni dispositivo: tenendolo premuto per qualche secondo si cancella l’operazione, e la carta viene in breve rilasciata. Alcuni bancomat sono dotati direttamente del tasto “Restituisci la carta”, per cui in questo caso ci sarebbe la soluzione diretta. Se nessuno dei pulsanti sulla tastiera desse i risultati sperati, si potrebbe comunque fare il tentativo di annullare le transazioni in atto direttamente a monitor dall’interno del programma.Anche nel caso in cui questi rimedi non dovessero funzionare è possibile seguire una procedura semplice che può metterci al riparo da eventuali problemi, contattando il numero verde dell’istituto di credito. L’operatore avrà bisogno di una serie di informazioni sul titolare della carta, per cui i dati anagrafici, il numero del conto corrente e quello stampato sulla tessera: così facendo si potrà innanzitutto bloccare la carta, in attesa della restituzione o eventualmente dell’arrivo di una nuova scheda. LEGGI TUTTO

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    Perché non premiare chi ripara le merci?

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    La classe media che per decenni ha sorretto la democrazia liberale contribuente, lavoratrice, risparmiatrice si sta logorando in silenzio. Stipendi inchiodati, casa irraggiungibile, risparmio che evapora, welfare assottigliato: i ventenni per eguagliare i genitori, spesso emigrano.Il denaro oggi più che mai è il centro della nostra grammatica sociale. Ma in un mondo materialista, dove tutto si misura e si valida attraverso il potere d’acquisto, cosa accade quando la maggioranza non può più accedere a quella che chiamiamo ricchezza? Quando chi lavora non può permettersi una casa e fatica a mettere via cento euro al mese, il denaro smette di essere strumento e diventa idolo: un tempio senza fedeli.Coloro che dovrebbero validare il sistema economico ne vengono esclusi e la ricchezza si concentra in nodi finanziari globali, lontani dalla vita quotidiana.Senza ceto medio né il capitalismo né la democrazia reggono. La storia è spietata: al suo tramonto arrivano prima l’autoritarismo che promette protezione, poi la rivoluzione che promette giustizia. Se non vogliamo scegliere fra questi due inganni serve un cambio di paradigma, non l’ennesima toppa fiscale.Il consumismo finanziario ha vinto solo a metà: ha creato una rivoluzione tecnologica senza precedenti, ma ha fallito nel disegnare il futuro. Oggi occorre passare dalla quantità al valore durevole. Qui la nuova direttiva europea «Right to Repair» indica un sentiero: ogni prodotto dovrà essere riparabile, i ricambi garantiti per anni. È un colpo all’obsolescenza programmata, ma potrebbe restare lettera morta se l’Italia non la fa propria con coraggio liberale.Perché non azzerare l’IVA sulla manutenzione e applicare, al contrario, una carbon-malus ai beni usa-e-getta? Colpirebbe la concorrenza sleale del low-cost asiatico, non la piccola impresa italiana. Perché non varare detrazioni piene per le officine che rigenerano elettrodomestici, bici, computer? La manifattura di qualità esiste già: occorre solo aprirle il mercato interno finora drogato dall’import low-cost ingannevole. Detassare la manutenzione risponde anche all’adagio liberale «meno Stato-più mercato».Riparare gli oggetti per riparare il Paese: è così che la libertà torna virtù invece di vizio. Ogni euro speso per riparare un oggetto resta in Italia, crea lavoro artigiano, riduce rifiuti e dipendenze energetiche. Ma la rivoluzione non è solo fiscale. Bisogna rimettere in bilancio la dignità di cura, cultura ed educazione, lavori che salvano comunità ma non finiscono nei fogli Excel della produttività.Il consumismo è diventato un vizio e per superarlo bisogna agire ripartendo dai fondamentali di una civiltà, riscoprendone relazioni e coesione, riscrivendo le regole e superando l’assolutismo individualista. LEGGI TUTTO

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    Sai riconoscere una banconota falsa? Ecco il metodo della Bce

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    Fra le tante truffe che i criminali mettono in atto per ingannare le ignare vittime una delle più utilizzate rimane quella che include l’utilizzo di banconote false. Di recente colpi del genere sono stati segnalati a Ferrara, e nelle zone litorali vicine. I malviventi si servono di pezzi da 20 e 50 euro per frodare i commercianti ed impossessarsi di denaro vero.La tecnica è semplice. Il truffatore paga con una banconota falsa, genera confusione durante il momento del resto, e poi se ne va portando via con sé il denaro ricevuto. Come fare, quindi, per non essere fregati? La migliore difesa è imparare a riconoscere le banconote false. Un’idea potrebbe essere quella di apprendere il cosiddetto “metodo Bce”.Il primo elemento da controllare quando si tratta di esaminare una banconota è quello della filigrana. Si tratta della via più efficace per verificare l’autenticità di una moneta. Per filigrana si intende l’immagine presente sulla banconota che è possibile apprezzare quando questa viene posta controluce. In una vera banconota si può osservare il ritratto di Europa, e sono presenti anche il valore della banconota stessa, oltre ad altri riferimenti. In caso di moneta falsa, invece, spesso non si trova la filigrana. E, quando c’è, appare piuttosto come una stampa. Si riconosce facilmente.La Banca Centrale Europea ha un suo metodo efficace per riconoscere i falsi. La procedura conta tre fasi: toccare, guardare e muovere. In sostanza, la prima cosa è valutare la carta delle banconote, che sono realizzare in fibre di cotone. La carta deve essere resistente, e presentare anche dei rilievi. Con guardare si intende, appunto, esaminare la filigrana. Infine, la banconota deve essere manipolata. L’ologramma, così come il numero verde smeraldo, cambiano a seconda di come si muove la banconota. LEGGI TUTTO