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    Aria condizionata in auto, occhio alle multe: ecco quando non va lasciata accesa

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    Con l’avvio della stagione calda, arrivata ben prima dell’inizio dell’estate, gli italiani sono già stati costretti a utilizzare l’aria condizionata per non rendere traumatici gli spostamenti in auto.Una soluzione a cui ricorrono in tanti, anche se va sempre tenuto presente il fatto che il climatizzatore non può restare acceso sempre e in ogni circostanza, almeno se si vuole evitare di dover pagare una pesante multa. Per questioni connesse al rischio di inquinamento atmosferico, infatti, il Codice della Strada prevede delle norme restrittive circa l’uso dell’aria condizionata, che vale tanto d’estate quanto in inverno, quando il problema diventa quello di riscaldare l’abitacolo.Tra gli articoli del CdS non ce ne sono di specifici per quanto concerne specificamente il corretto utilizzo del climatizzatore, ma è possibile dedurre le limitazioni imposte agli automobilisti andando ad esaminare le norme sulle emissioni inquinanti. A tal proposito interviene quanto previsto dall’articolo 157 del Codice della Strada: al comma 2 si specifica che “Durante la sosta, il veicolo deve avere il motore spento”, intendendo come sosta”la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilita’ di allontanamento da parte del conducente” (comma 1/c).Ancora più specifico ciò che il regolamento richiama al comma 7-bis: “È fatto divieto di tenere il motore acceso, durante la sosta del veicolo, allo scopo di mantenere in funzione l’impianto di condizionamento d’aria nel veicolo stesso”, si legge, “dalla violazione consegue la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 223 a € 444”.Per la “fermata”, ovvero “la temporanea sospensione della marcia anche se in area ove non sia ammessa la sosta, per consentire la salita o la discesa delle persone, ovvero per altre esigenze di brevissima durata” (comma1/b), il divieto non sussiste. Quindi occhio, con l’auto posteggiata il motore deve essere in ogni circostanza spento e così di conseguenza anche il climatizzatore. In tutte le altre circostanze, invece, non si corre il rischio di incappare in multe.C’è, tuttavia, un distinguo da fare, la cui origine è da ricercare nella diversa natura del propulsore della propria auto. Il divieto sancito dall’articolo 157 del CdS riguarda esclusivamente i mezzi dotati di motore termico a causa delle emissioni inquinanti, mentre i possessori di auto elettriche non sono soggetti a tali limitazioni. Non emettendo queste ultime alcun genere di sostanza nociva per l’ambiente, non risulta in vigore alcun divieto di accendere il climatizzatore anche durante le soste e non solo in occasione delle fermate. LEGGI TUTTO

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    Spid gratis? Ecco con quali operatori diventerà a pagamento: cosa sapere

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    Lo Spid – Sistema Pubblico di Identità Digitale – sta pian piano diventando a pagamento. Una notizia che scontenta non poco i suoi utilizzatori, tanto che in questi ultimi giorni si è creato un acceso dibattito. Lo scorso maggio è stata Aruba (società italiana che offre servizi di data center, web hosting, email) a comunicare per prima l’intenzione di passare al servizio a pagamento. A breve, salvo ripensamenti, sarà la volta di Infocert, noto sviluppatore di software. Infocert passerà alla soluzione a pagamento a partire dalla fine di luglio. Su due importanti provider, insomma, il servizio di Spid non sarà più gratuito. Per poter usufruire dei servizi online della Pubblica amministrazione sarà necessario pagare. Gli scontenti possono decidere di non rinnovare lo Spid e scegliere un altro operatore che permette di servirsi ancora dell’identità digitale in modo gratuito. Chi invece intende restare con i vecchi gestori dovrà pagare un canone annuale: per Aruba si tratta di 4,9 euro più Iva l’anno, per Infocert di 5,98 euro. Non è inoltre detto che col tempo altri operatori non intenderanno aggiungersi.Nello scontento generale si è fatta sentire anche la voce del Codacons, che ha parlato di mancato rispetto dei diritti dei consumatori. Pare inoltre che saranno portate avanti delle azioni risarcitorie. L’associazione per i consumatori si è detta “pronta ad avviare una valanga di cause risarcitorie contro lo Stato e Agid (Agenzia Italia digitale) da parte degli utenti interessati, finalizzate al riconoscimento del rimborso delle spese sostenute a causa dei ritardi della Pa”.Cosa fare dunque? Un finanziamento di circa 40 milioni, approvato a marzo, dovrebbe presto essere versato ai vari provider che offrono il servizio. Pare difficile però pensare che chi è passato al servizio a pagamento farà dei passi indietro. Il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha assicurato che i 40 milioni ci sono e che verranno sbloccati entro luglio, quando scadrà la convenzione tra Stato e fornitori di Spid. A quel punto si conosceranno le intenzioni dei fornitori. LEGGI TUTTO

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    Bollette luce e gas, da luglio le nuove regole: cosa cambia e per chi

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    Nel vortice del mercato libero dell’energia, tra promozioni apparentemente convenienti e bollette sempre più complicate da decifrare, il consumatore medio si ritrova spesso confuso e spaesato. Centinaia di fornitori, formule tariffarie differenti, costi fissi e variabili mescolati in documenti poco trasparenti rendono difficile capire quali siano le offerte migliori e a quali condizioni. Proprio per questo, l’Arera — l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente — è intervenuta con nuove disposizioni. A partire dal 1° luglio 2025, entreranno in vigore nuovi obblighi di trasparenza per i venditori di luce e gas, con l’obiettivo di rendere le offerte più comprensibili e, soprattutto, facilmente confrontabili.Chiarezza nei costi per facilitare il confrontoAl centro della riforma c’è la revisione della presentazione economica delle offerte. Come annunciato il 9 aprile scorso, tutti i contratti di fornitura dovranno riportare in un’unica sezione i costi legati alla vendita — ovvero quelli direttamente decisi dal fornitore — separandoli nettamente dalle voci regolamentate (come trasporto e oneri di sistema, stabiliti da Arera). Questa distinzione è fondamentale: solo le componenti relative all’energia e alla commercializzazione variano tra i diversi operatori, mentre il resto è uguale per tutti. Inoltre, sui siti web dei fornitori ogni offerta dovrà presentare tre elementi chiave ben evidenziati: un codice identificativo univoco, le condizioni tecnico-economiche dettagliate e una scheda riassuntiva. Questi strumenti aiuteranno il consumatore a comprendere meglio cosa sta scegliendo e quanto realmente costerà.Bollette più semplici e chiare come uno scontrinoDal 1° luglio sarà modificato anche il formato delle bollette. Dopo anni di critiche sulla loro complessità, Arera ha imposto un modello più semplice e lineare, quasi simile a uno scontrino fiscale. La prima pagina fungerà da frontespizio unificato, contenente le informazioni principali: importo da pagare, dati contrattuali e informazioni sul cliente e sulle modalità di fatturazione. La seconda pagina illustrerà invece la composizione dettagliata dei costi secondo lo schema “quantità x prezzo”, con una chiara distinzione tra costi di vendita, oneri di rete, imposte, accise, bonus e canone Rai. A completare il quadro, sarà introdotto un nuovo “Box offerta”, pensato per verificare che il contratto sottoscritto sia stato applicato correttamente, limitando così il rischio di errori o pratiche poco trasparenti. LEGGI TUTTO

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    Il “Far West” dei canali sulle smart TV: ecco cosa sta succedendo

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    Sembrava un capitolo chiuso, e invece si è riaperto in una forma nuova e più sofisticata. Negli ultimi mesi, alcune emittenti hanno fatto capolino sugli schermi delle smart TV italiane, senza passare per i canali ufficiali di autorizzazione. Nessuna concessione, nessuna gara pubblica: hanno semplicemente occupato spazi rimasti vuoti nella numerazione dei telecomandi, sfruttando un varco tecnologico che oggi sta mettendo in discussione l’intero equilibrio del sistema televisivo.Le specifiche tecnicheLa porta d’ingresso è quella dell’HbbTV, la tecnologia ibrida che consente alle smart TV di ricevere contenuti sia dal segnale terrestre tradizionale, sia attraverso Internet. Ed è proprio quest’ultimo flusso ad aver permesso a una serie di soggetti di trasmettere contenuti e posizionarsi su numeri disponibili nel telecomando, approfittando di un vuoto normativo e tecnico. Non si tratta di canali centrali né facilmente accessibili, ma abbastanza visibili da raggiungere un pubblico e attrarre così investimenti pubblicitari.La mossa dell’AgComIl problema non è più solo tecnico, ma economico. Perché mentre gli editori storici si muovono all’interno di un sistema regolato, fatto di concessioni, obblighi e costi, questi nuovi attori riescono a inserirsi nel mercato a costi minimi, eludendo controlli e beneficiando di un’esposizione inaspettata. A fine 2024, l’AgCom ha cominciato a registrare numeri significativi: un flusso costante di operatori “irregolari”, tanto da parlare, in documenti interni, di una vera e propria “massa critica”. Di fronte al rischio di un mercato sempre più squilibrato, l’Autorità ha optato per una strategia prudente. Nessun oscuramento né provvedimenti drastici, almeno per ora. Piuttosto, ha avviato una consultazione pubblica per definire nuove linee guida sull’uso della tecnologia HbbTV, in linea con il Regolamento 295 del 2023 che già disciplina i servizi audiovisivi via web. L’obiettivo è offrire ai nuovi entranti un percorso chiaro per regolarizzarsi, senza compromettere il pluralismo ma neanche il rispetto delle regole del gioco. LEGGI TUTTO

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    Una maxi deduzione per i “lavoratori meritevoli”. Cos’è e come funziona

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    Una deduzione pari al 130% del costo del lavoratore per le imprese che assumono, con contratto a tempo indeterminato, “lavoratori meritevoli di maggior tutela”.È quanto previsto dalla riforma fiscale 2025 inserita nell’ultima Legge di Bilancio. Si tratta, nei fatti, di un bonus il cui scopo, attraverso una deduzione superiore al costo del lavoro, è quello di incentivare le assunzioni di tutti coloro che si trovano in una situazione di difficoltà nell’inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro.Ma a chi è rivolto e come funziona?Entriamo più nel dettaglio.Come funzionaLa misura, disciplinata dalla Circolare n.1 del 2025 dell’Agenzia delle Entrate, è rivolta ai lavoratori meritevoli di tutela, tra cui:“le donne di qualsiasi età con almeno due figli di età minore di diciotto anni o prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea. le donne vittime di violenza, inserite nei percorsi di protezione debitamente certificati dai centri antiviolenza. i giovani ammessi agli incentivi all’occupazione giovanile. i soggetti già beneficiari del reddito di cittadinanza. le persone con disabilità (…), le persone svantaggiate(…), gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno”.Inoltre, la misura è rivolta ai lavoratori molto svantaggiati, cioè quei lavoratori che siano privi da almeno 24 mesi di un impiego regolarmente retribuito o che siano privi da almeno 24 mesi di un impiego e che: LEGGI TUTTO

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    Trasloco della linea telefonica, cosa fare se non funziona

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    Può capitare che il trasloco della linea telefonica o dati, che dovrebbe essere una procedura abbastanza semplice e veloce (ci sono gestori che si impegnano, ad esempio, a completarlo in dieci giorni), si trasformi in un’attesa infinita. In alcuni casi passano settimane, in altri mesi. C’è perfino chi ha perso il proprio numero, costretto ad attivare un nuovo contratto dopo lunghi disservizi.Non si tratta purtroppo di episodi isolati. Sempre più utenti segnalano problemi legati al mancato o ritardato trasferimento della linea. E il peggio è che, quando si prova a contattare il servizio clienti, le risposte sono spesso vaghe, poco chiare, se non inutili. Così ci si ritrova bloccati, senza connessione e con bollette che continuano ad arrivare. Che cosa si può fare in questi casi? Vediamo.I primi passi: documentare tuttoLa cosa più importante in questi casi è non restare fermi. Ecco da dove cominciare:inviare un reclamo scritto, niente telefonate al call center, meglio usare canali tracciabili come Pec, e-mail, fax o raccomandata A/R;conservare la copia della richiesta di trasloco, serve per dimostrare che è stata fatta e che l’operatore l’ha ricevuta;non chiedere la disdetta, a meno che il gestore non dichiari ufficialmente (e per iscritto) che non può effettuare il trasloco per motivi tecnici, spiegati in modo dettagliato.Cosa spetta all’utente per leggeSe il trasloco non viene effettuato nei tempi stabiliti dal contratto, oppure non viene eseguito affatto, si ha diritto a:rimborso del contributo pagato per il trasloco, se previsto;rimborso delle bollette pagate durante il disservizio, oppure lo storno delle fatture se non si è pagato.indennizzo economico, che cresce in base alla durata del ritardo o del mancato servizio. Attenzione però: non ci si aspetti che l’operatore lo riconosca spontaneamente.Molti gestori si trincerano dietro motivazioni poco chiare, come “problemi tecnici”, “verifiche in corso”, “ritardi non dipendenti da noi” e negano sia il rimborso che l’indennizzo. A volte continuano a emettere fatture anche se il servizio non viene erogato, arrivando perfino a minacciare il recupero crediti.In casi del genere, rivolgersi a un avvocato esperto nel settore della telefonia può fare la differenza, non solo per riuscire a ottenere il giusto indennizzo, ma anche per sbloccare una pratica ferma da mesi.Come far valere i propri dirittiOltre a inviare i reclami in forma scritta, un’altra strada importante da percorrere è quella di rivolgersi al Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni) della propria regione. Si tratta di un passaggio obbligatorio, che serve per tentare una conciliazione tra utente e gestore. LEGGI TUTTO

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    Auto abbandonata nel cortile condominiale: si può rimuovere a spese del proprietario

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    Lasciare un’auto in stato di abbandono su un’area comune condominiale non è solo un problema di decoro. Si tratta di un uso illecito di uno spazio condiviso, che lede il diritto degli altri condòmini a fruirne in modo corretto e sicuro.È quindi giusto che il condominio si tuteli. Ma non può farlo da solo: rimuovere un bene altrui senza autorizzazione può comportare responsabilità legali. Serve seguire l’iter giusto, vediamo quale.Le ragioni del condominioSecondo una recente decisione del Tribunale di Roma (ordinanza n. 6882 del 16 aprile 2024), il condominio ha il diritto di chiedere e ottenere la rimozione del veicolo abbandonato, anche se appartiene a una persona estranea al palazzo. E le spese possono essere addebitate al proprietario del mezzo.Nel caso dibattuto a Roma, il veicolo si trovava da anni in un’area comune del cortile condominiale, inutilizzato e in evidente stato di abbandono. Il proprietario, estraneo al condominio, non ha mai risposto alle comunicazioni inviate. Di fronte alla situazione di stallo, l’amministratore ha agito per vie legali.Il giudice ha accolto la richiesta del condominio, autorizzando la rimozione del mezzo a spese del proprietario. Nella motivazione, si sottolinea che la presenza del veicolo configurava una violazione del diritto degli altri condòmini a fruire degli spazi comuni, indipendentemente dalla titolarità o dal consenso esplicito.Il quadro normativoA sostegno della legittimità dell’azione del condominio, interviene anche il Codice Civile. L’articolo 1102 stabilisce che ogni condomino può utilizzare le parti comuni, ma senza alterarne la destinazione o impedire agli altri di goderne allo stesso modo. Lasciare un veicolo abbandonato su uno spazio condiviso, quindi, rappresenta una violazione di questo principio, poiché limita la fruizione dell’area da parte degli altri residenti.L’articolo 1130, invece, assegna all’amministratore il compito di compiere gli atti conservativi delle parti comuni, compreso l’intervento per liberare l’area da beni che ne ostacolano l’uso corretto. Infine, l’articolo 70 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile consente l’applicazione di sanzioni per chi viola il regolamento condominiale, ma non autorizza la rimozione forzata di veicoli senza passare dal giudice. Per questo, anche nei casi più evidenti di abbandono, è sempre necessario ottenere una specifica autorizzazione del tribunale.Cosa deve fare l’amministratoreQualora dovesse verificarsi una situazione di questo tipo, l’amministratore deve seguire il seguente iter:identificare il proprietario del veicolo: basta una visura al Pra (Pubblico registro automobilistico), a cui può accedere anche l’amministratore condominiale;inviare una diffida scritta: si invita il proprietario a rimuovere il veicolo entro un termine preciso (15 o 30 giorni), informandolo che in caso contrario si procederà per vie legali;rivolgersi al giudice in caso di inadempienza: se il proprietario non risponde o si rifiuta di rimuovere il mezzo, il condominio può chiedere al Tribunale, con un’istanza d’urgenza, l’autorizzazione a farlo al suo posto.Se il veicolo è pericolosoIn casi particolari, ad esempio se il veicolo contiene rifiuti, presenta rischi per la salute o la sicurezza, può intervenire direttamente la polizia locale o l’Asl, su segnalazione dell’amministratore o dei condòmini. Ma attenzione: anche in questi casi è sempre consigliabile documentare tutto e seguire le vie ufficiali. LEGGI TUTTO

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    Assegno di inclusione, come funziona e quando può essere sospeso: ecco le nuove regole

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    L’assegno di inclusione cambia faccia, con l’obiettivo primario di disencentivare l’abbandono scolastico. Secondo una nuova norma introdotta tramite decreto dal ministero del Lavoro e adottata proprio lo scorso mese di maggio, infatti, le famiglie percettrici del contributo potranno continuare a beneficiare della sua erogazione esclusivamente nel caso in cui i figli minorenni frequentino regolarmente la scuola dell’obbligo o siano in possesso di un valido titolo di studio. Qualora questi requisiti non fossero soddisfatti, la misura sarebbe immediatamente sospesa.La tutela del diritto allo studio diventa quindi un elemento di fondamentale importanza per poter accedere al contributo così come continuare a percepirlo. Ma come verranno effettuate le verifiche per comprendere se il nucleo familiare in condizione di fragilità stia rispettando quanto previsto dalle nuove norme?Ad occuparsi di monitorare la situazione sarà l’operatore sociale che si assume l’incarico di assistere la famiglia nella compilazione del Patto per l’Inclusione Sociale, necessaria per ottenere il contributo: come detto bisognerà dimostrare, dati alla mano, che i figli minorenni inclusi nel nucleo frequentino regolarmente la scuola oppure che abbiano conseguito il titolo di studio previsto a seconda della fascia d’età,Tali informazioni saranno accessibili tramite la Piattaforma per la gestione dei Patti per l’inclusione sociale (GePi), un’applicazione studiata proprio con l’obiettivo di semplificare il lavoro degli assistenti sociali nelle pratiche per ottenere l’Assegno di inclusione. Nel caso in cui queste informazioni non risultino per un qualche motivo disponibili, i genitori, o coloro i quali ne fanno le veci, avranno a propria disposizione 10 giorni di tempo per richiedere all’istituto scolastico la documentazione comprovante il rispetto dei due requisiti sopra citati e fornirla all’operatore.Qualora emergano situazioni di mancata iscrizione oppure di abbandono scolastico, l’assistente sociale potrà eventualmente inserire una postilla all’interno del Patto per l’Inclusione Sociale, nella quale i genitori si impegnano a far sì che il figlio riprenda il regolare percorsio di studi. Da quel momento in poi la famiglia avrà sette giorni di tempo per dimostrare di aver rispettato l’accordo, pena la sospensione dell’assegno a partire dal mese successivo.L’attività scolastica verrà comunque monitorata anche mensilmente, proprio con lo scopo di documentare la regolare frequenza del minore o dei minori: se emergessero nuovi episodi di assenze scolastiche ingiustificate, il contributo potrebbe essere sospeso in via definitiva. LEGGI TUTTO