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    Intesa blinda i suoi vertici dopo la pioggia di profitti

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    «Oggi intendo rinnovare il mio massimo impegno nel guidare il nostro gruppo nell’interesse di tutti gli stakeholder – gli azionisti, i clienti, le nostre persone e i territori – in un momento di forte discontinuità del panorama bancario italiano e in un contesto internazionale in rapida trasformazione». È questo il messaggio di Carlo Messina che ieri è stato riconfermato dall’assemblea dei soci al timone di Intesa Sanpaolo. Si tratta del suo quinto mandato. La maggioranza dei voti (57,3% del capitale presente) è andata alla lista presentata dalle Fondazioni azioniste, che ha confermato ai vertici anche il presidente Gian Maria Gros-Pietro. Alla lista di Assogestioni è andato il sostegno del 42,4% del capitale presente, si tratta di un risultato che rappresenta quasi il doppio rispetto a quanto ottenuto tre anni fa.Il board, alla luce del voto dei soci di ieri, sarà quindi composto, oltre che da Gros-Pietro e Messina, da Paola Tagliavini, Maria Angela Zappia, Franco Ceruti, Paolo Maria Vittorio Grandi, Luciano Nebbia, Liana Logiurato, Pietro Previtali, Maria Alessandra Stefanelli, Bruno Maria Parigi, Fabrizio Mosca, Mariella Tagliabue, Maura Campra (tutti componenti della lista di maggioranza) e, per la minoranza, da Anna Gatti, Guido Celona, Mariarosaria Taddeo, Roberto Franchini e Riccardo Secondo Carlo Motta.Gli azionisti hanno quindi eletto (con il voto del 99,78% del capitale presente) Gros-Pietro presidente e Tagliavini vice. Il prossimo appuntamento è fissato sul calendario per il prossimo 6 maggio quando si riunirà il cda sui conti del primo trimestre.Apprezzamento per la conferma dei vertici di Intesa Sanpaolo è stato, intanto, espresso anche dal segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. «Rappresenta una scelta di solidità e di continuità strategica che va accolta con grande favore non solo dai vertici del settore bancario, ma anche da chi ne osserva l’evoluzione con lo sguardo attento del sindacato», ha sottolineato Sileoni.Sempre ieri si è riunita anche l’assemblea dell’Acri, l’associazione delle fondazioni, che all’unanimità ha rinnovato i membri del Consiglio per il prossimo triennio e ha confermato nella carica di presidente, per acclamazione, Giovanni Azzone, presidente di Fondazione Cariplo. LEGGI TUTTO

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    Guber approva il bilancio 2024. Aumento del 31,5% dell’utile

    Francesco Guarneri, fondatore e Consigliere di Guber Banca S.p.A. con delega allo sviluppo e all’implementazione dell’AI nei processi aziendali

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    L’assemblea degli azionisti di Guber Banca S.p.A. ha approvato i risultati del bilancio 2024 che si presenta come il migliore della storia dell’Istituto.Le ottime performanceTutti gli indicatori registrano performance eccellenti che consolidano il percorso di sviluppo, costante e sostenuto, intrapreso nel 2018 con l’ottenimento della licenza bancaria; un percorso che ha visto una progressiva espansione e diversificazione delle aree di business, accompagnata da una continua crescita della struttura organizzativa di Guber.Nel 2024 l’Istituto ha registrato un aumento del 31,5% dell’utile, che ha raggiunto i 26,0 milioni di euro (rispetto ai 19,8 milioni del 2023), con 12,7 miliardi di asset under management (+15,4% rispetto al 2023). Il patrimonio netto si è attestato a 140,1 milioni di euro rispetto ai 119,8 milioni dell’anno precedente, registrando un aumento del 17%. In crescita anche il totale attivo passato da 310,3 milioni del 2023 a 346 milioni del 2024 e in riduzione il coefficiente ‘cost income’ passato da 59% (2023) a 51,1%.Un 2024 da recordNel corso del 2024 Guber Banca ha ulteriormente aumentato -quasi quattro punti percentuali in più rispetto al 2023- il proprio indice di solidità registrando un coefficiente CET1 pari al 32,3% (circa il doppio del CET1 medio per le banche italiane della stessa classe dimensionale e oltre quattro volte la soglia minima fissata dalla BCE).L’ampliamento dell’organicoCresciuto anche il numero medio dei dipendenti, aumentato del 5,7% rispetto al 2023 (prendendo in considerazione il biennio, l’aumento è stato del 20%). L’ampliamento dell’organico dell’Istituto risponde, da un lato, alle scelte strategiche di consolidamento delle aree di business tradizionali di Guber, dall’altro, allo sviluppo di nuove opportunità.L’ingresso di figure con diversificati bagagli professionali va ad affiancare risorse storiche che hanno accompagnato la crescita di Guber sin dall’inizio e che contribuiranno a perseguire gli obiettivi dell’Istituto sempre più ambiziosi. Contribuisce in tal senso anche l’istituzione della direzione generale guidata dal dott. Fabrizio Berti, con pluriennale esperienza nel settore del credito e ambiti ancillari maturata in un primario gruppo cooperativo bancario, a cui si affianca il Vicedirettore generale Davide Becchetti, manager presente in Guber Banca sin dalla sua nascita. LEGGI TUTTO

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    Le relazioni incestuose

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    L’affermazione più stravagante tra quelle che ieri Alberto Nagel, ceo di Mediobanca, ha pronunciato davanti ai giornalisti è che «l’Ops su Banca Generali non è un’operazione difensiva». Nella sua narrazione, l’assalto alla controllata delle Generali non avrebbe alcun nesso con l’Ops lanciata da Mps su Mediobanca stessa. Naturalmente nessuno gli ha creduto. E ovviamente nemmeno lui ci crede. Ha fatto quella dichiarazione perché costretto, perché essa rappresenta l’alibi necessario onde evitare di incappare subito nei rigori della cosiddetta passivity rule, che inibisce ogni azione difensiva destinata a modificare il patrimonio di una società quando è sotto scalata. Il che non significa che alla fine Consob, sulla quale da oggi si accendono riflettori doppi, non stabilisca che l’aspetto prevalente dell’operazione è proprio lo scopo difensivo. Del resto, non mancano le argomentazioni per dimostrarlo, che fanno somigliare l’annuncio di ieri più a una bomba fumogena, gettata nel pieno del risiko bancario come arma di distrazione per tentare di rallentare un riassetto che ormai è nelle cose. Ma per appurare questi aspetti avremo tempo.A caldo vale invece la pena di constatare l’ennesimo paradosso di una relazione, quella tra Mediobanca e Generali, che solo gli ingenui e i pasdaran del partito di Piazzetta Cuccia possono ancora non definire incestuosa, soprattutto dopo nemmeno sette giorni dalla nomina del nuovo cda della compagnia triestina. Ineludibile la domanda: ma può un consiglio di amministrazione nel quale 10 consiglieri su 13 sono stati nominati da Mediobanca assumere decisioni – ad appena 100 ore dalla nomina – su un’operazione progettata da quest’ultima e finalizzata ad acquisire quello che probabilmente è l’asset più prezioso delle Generali? Delle due l’una: o il cda riconosce di essere stato delegittimato e perciò impossibilitato a decidere su un’operazione straordinaria che potrebbe cambiare radicalmente il volto della compagnia, oppure è in pieno conflitto d’interessi avendo condiviso anzitempo il progetto. Per esempio, che cosa c’è dietro il frettoloso rinnovo degli accordi avvenuto alcune settimane fa tra Generali e la controllata? E qui i sospetti si allargano fino ad ipotizzare il concerto.In un caso o nell’altro non sarebbe più corretto, nell’interesse del mercato, aprire una gara competitiva su Banca Generali? Consentire un’asta trasparente per far emergere il reale valore della società, invece di procedere con un accordo preconfezionato, probabilmente studiato da tempo nelle oscure stanze di Trieste e Milano? Anche qui è evidente, almeno agli occhi di chi scrive, come la trasparenza tanto invocata dalle parti di Piazzetta Cuccia non sia una condizione familiare nel tratto di strada che unisce Trieste e Milano. Non va dimenticato che quattro anni fa un tentativo simile fu condotto di nascosto, sempre con la regia di Mediobanca, allo scopo di far spuntare il progetto come un fungo nella notte fra le carte da sottoporre all’approvazione del cda Generali. Oggi perlomeno – e di questo i soci dovrebbero ringraziare il presidio dei grandi azionisti privati e l’attenzione del governo – tutto avviene alla luce del sole.Vale inoltre domandarsi se il presidente di Generali, Andrea Sironi, esponente di massimo livello dell’Università Bocconi, non abbia nulla da osservare di fronte alla potenziale cessione di un asset definito «strategico» dallo stesso management. Inoltre, che diranno gli investitori istituzionali acclamati da Mediobanca subito dopo l’assemblea di giovedì scorso per l’appoggio dato alla propria lista del cda? Anche per questo l’operazione prospettata, che prevede per Generali l’acquisto di azioni proprie offerte da Mediobanca, non può che passare dal vaglio dell’assemblea straordinaria di Trieste. Come giudicheranno i fondi internazionali un’operazione che comporta la dismissione di un asset strategico senza che sia evidente un vantaggio concreto per tutti gli azionisti? La Borsa ieri è stata molto chiara, punendo fin dai primi minuti il titolo Generali con un calo netto del 2% (più tardi ridotto all’1% grazie ad acquisti opportunamente orientati per attenuare il flop). LEGGI TUTTO

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    Piazzetta Cuccia, azionisti a un bivio. Parte il monopoli delle partecipazioni

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    Di quel 13,1% del capitale di Generali detenuto da Mediobanca si può dire che è stato il cuore della finanza italiana, per mezzo secolo. La quota è cambiata nel tempo, ma intorno ad essa si sono svolte battaglie di ogni tipo perché rappresentava un legame indissolubile: quello tra Piazzetta Cuccia e il destino della compagnia triestina. Da ieri il legame si scioglie. O, meglio, si può sciogliere. Deciderà il mercato. Vediamo bene come e perché.L’Offerta pubblica di scambio che Mediobanca lancia su Banca Generali si rivolge al 100% del capitale. Ai soci di Banca Generali non viene però offerto cash, bensì azioni Generali: quelle del pacchetto del 13,1 percento. Il rapporto stabilito dall’offerta è di 1,7 azioni Generali per ogni titolo Banca Generali. Ai prezzi del 25 aprile (ultimo giorno prima dell’annuncio) il cambio corrispondeva a una valutazione di Banca Generali di 54,17 euro. Ieri sera, dopo che il mercato ha fatto i suoi calcoli per tutto il giorno, il prezzo era sceso un po’, a 53,72, comunque a premio rispetto al prezzo di chiusura (51,2 euro, +4,9%).Per avere successo, l’operazione richiede di fatto l’adesione di Generali. Mediobanca ha infatti posto la condizione di avere almeno il 50%+1 azione. Avendo Generali il 50,17% di Banca Generali, senza il suo apporto l’Ops fallisce. Dunque, in questa ipotesi, Generali riceverà il 6,3% di azioni proprie, che sommate al 3,25% già in portafoglio, porteranno il totale al 9,5 percento. A quel punto il suo azionariato avrà Delfin come primo socio (9,9%) Caltagirone secondo con il 6,8%, e Unicredit al terzo con il 6,6% ma con il nuovo e inedito ruolo di primo azionista industriale della compagnia, essendo Mediobanca scesa nel frattempo a zero.Le altre azioni Generali (circa il 6,3%) saranno infatti finite ai tanti soci di Banca Generali, istituzionali e retail, nessuno al momento con quote rilevanti. Bisognerà vedere se, nei prossimi giorni, si muoveranno pacchetti di Banca Generali proprio a questo fine.Per quanto riguarda l’Ops lanciata da Mps su Mediobanca, si può dire che quella di Piazzetta Cuccia su Banca Generali diventa in qualche modo concorrente. Almeno in teoria. Infatti, per i soci Mediobanca, delle due l’una: o approvare l’Ops di Mediobanca su Banca Generali, nell’assemblea fissata per il 16 giugno; ovvero bocciarla per poi aderire all’Ops di Mps che partirà successivamente. Fare diversamente non avrebbe un senso razionale: se Nagel convincesse la maggioranza dei suoi soci della bontà del suo progetto, essi non dovrebbero poi andare a consegnare le azioni a Mps, che ha idee alternative. In questa chiave sarà determinante il mercato: come si comporterà? Valuterà l’operazione su Banca Generali come strategica o come una mossa difensiva rispetto a Monte Paschi? LEGGI TUTTO

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    Colpo di coda di Mediobanca. “Vogliamo Banca Generali”

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    Mediobanca risponde all’attacco di Mps e spariglia le carte del risiko: l’istituto di Piazzetta Cuccia ha lanciato un’Ops da 6,3 miliardi sul 100% delle azioni di Banca Generali da pagare interamente in azioni del Leone. Con l’operazione, si legge in una nota, «il rapporto tra Mediobanca e Generali da finanziario si trasforma in una forte partnership industriale». A oggi, infatti, il 40% circa dell’utile netto del gruppo guidato da Alberto Nagel deriva dal dividendo che ogni anno viene distribuito dalle Generali di cui possiede il 13,1 per cento. Se l’Ops andrà in porto non sarà più così.Per ogni 10 azioni di Banca Generali portate in adesione verranno corrisposti 17 titoli della compagnia triestina. Il prezzo implicito di offerta è di 54,17 euro per azione, con un premio dell’11,4% rispetto ai prezzi del 25 aprile, prima dell’annuncio e del 6,5% sulla base del prezzo medio dei tre mesi. L’Ops è subordinata alle relative autorizzazioni e dovrebbe arrivare sul mercato a settembre per concludersi ad ottobre. Non solo. Mediobanca è sotto passivity rule quindi le servirà il via libera di un’assemblea ordinaria (visto che non sarà richiesta una modifica dello statuto o una variazione del capitale), con una maggioranza del 50% più un’azione.Nagel ieri ha specificato che con questa mossa si viene a creare «un leader italiano nella gestione del risparmio che la nostra premier aveva evocato». Il riferimento è al possibile Golden Power del governo su Mediobanca-Banca Generali alla luce dei paletti messi a Unicredit su Banco Bpm. «Parleremo con le strutture preposte che sono Palazzo Chigi e il Mef», ha aggiunto.Il lancio dell’offerta è subordinato anche a un impegno di Generali a vincolare il pacchetto del 6,5% ricevuto per un periodo di 12 mesi a partire dal completamento dell’offerta, scaduto il quale può esser ceduto. Quindi, le azioni Generali andrebbero per la metà ai soci minori di Banca Generali, le altre a Generali con lock up di un anno. Alla scadenza, il vertice del Leone potrà scegliere se annullare tutto o parte del pacchetto, trasferirlo agli azionisti del Leone attraverso programmi di buyback o di incentivazioni di breve o lungo termine oppure cederlo a terzi. «Se ci sarà interesse da qualcuno, si faranno vivi», ha detto Nagel. Sottolineando che «questa operazione la guardiamo da 5 anni almeno», che si tratta di «una manovra di crescita, non per rendere una cosa più difficile ad altri» e che può essere considerata una controfferta da proporre nell’assemblea convocata per il 16 giugno agli azionisti di Mediobanca in alternativa a quella arrivata dal Monte dei Paschi.Durante la conferenza stampa l’ad di Mediobanca ha specificato che nascerebbe una realtà con 210 miliardi di masse totali, 4,4 miliardi di ricavi e una rete di 3.700 professionisti. In termini di raccolta e di agenti, però, il gruppo leader di settore resta Intesa con Fideuram (che tra l’altro di recente ha strappato proprio a Mediobanca un top banker di prima fascia che ha portato in dote alla divisione private un tesoretto da 1 miliardo di euro di masse). Gli asset under management comunicati al 31/12/24 sono, infatti 394 miliardi per Fideuram, 103,8 miliardi per Banca Generali e 44,8 miliardi per Mediobanca Premier. LEGGI TUTTO

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    Unicredit e la nuova frontiera assicurativa. Monte Paschi conferma l'”avanti tutta”

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    La controffensiva del ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, ha nuovamente ribaltato lo scenario del risiko bancario in corso. Tra gli spettatori interessati della vicenda c’è sicuramente Unicredit, che si è già portata a casa una fetta importante di Generali (il 6,7%) potendo agevolmente salire fino al 10% nel colosso assicurativo che ora rischia di perdere il suo primo azionista. Qualora l’operazione Mediobanca-Banca Generali dovesse andare in porto, allora Piazzetta Cuccia non avrebbe più quel 13,1% che finora le ha garantito di dare le carte, un vuoto che potrebbe essere colmato proprio dall’avanzata dell’istituto guidato da Andrea Orcel (in foto), che peraltro nell’ultima assemblea dei soci ha votato insieme all’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone (avversario per antonomasia di Mediobanca) che ha il 6,9% delle Generali. In un Leone public company, Unicredit affiancata da un patto composto da soci forti come per l’appunto Caltagirone e Delfin (con il 9,9%) potrebbe di fatto esercitare un forte ascendente su Trieste. Tutto questo, a patto che alla fine Intesa Sanpaolo (che oggi confermerà ai vertici il ceo Carlo Messina) non decida di sferrare una zampata, cambiando direzione dopo le dichiarazioni di disinteresse dello stesso Messina. L’affare Generali-Natixis, sia che si passi da Intesa o da Unicredit, a questo punto rischia seriamente di finire su un binario morto. In ogni caso, tornando a Mediobanca, non è affatto scontato che alla fine le authority competenti non intervengano per bloccare l’Ops di Mediobanca su Banca Generali, dal momento che la decisione di procedere con la sola assemblea ordinaria (e quindi il solo 50% +1 dei voti) per autorizzare un’operazione così trasformativa è ritenuta da più fonti alquanto controversa.Dal canto suo, Mps (che ha in atto un’offerta su Mediobanca) almeno apparentemente non sta facendo una piega. Da quanto filtra, a Siena si ritiene che l’offerta di Mediobanca su Banca Generali non sia affatto alternativa ma, anzi, potrebbe addirittura essere un’opportunità. Lo stesso numero uno di Rocca Salimbeni, Luigi Lovaglio, aveva detto più volte che la partecipazione in Generali non era «strategica» e che avrebbe potuto essere utilizzata per rafforzare la posizione del futuro gruppo Mediobanca-Mps proprio nel wealth management. Quindi, secondo una certa interpretazione, la mossa di Nagel anticiperebbe di una giocata quello che verosimilmente avrebbe potuto fare anche Mps. Secondo fonti vicine a Siena, Mediobanca con il blitz di ieri non ha fatto altro che confermare la valenza del progetto sottostante all’offerta di Mps. Lo stesso Nagel, sebbene in conferenza stampa abbia sostenuto che il progetto Mediobanca-Banca Generali sia alternativo rispetto a Mps-Mediobanca, ha precisato che le due offerte proseguiranno su binari differenti. LEGGI TUTTO

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    Nagel: “La guardavamo da almeno 5 anni”

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    “Questa operazione la guardiamo da 5 anni almeno. È una costante che abbiamo esaminato in lungo e in largo e periodicamente aggiornato. C’è stata prima occasione di verifica fatta dopo il covid capendo tutti che era ed è occasione interessante”. Lo ha spiegato l’ad di Mediobanca Alberto Negel nella conferenza stampa sull’ops su Banca Generali segnalando peraltro che “Ha coinciso col fatto che siamo in passivity rule sotto ops di Mps”. “Negli anni ci sono stati condizioni di mercato che la rendevano difficile. Richiedeva che Mediobanca avesse capitale, avesse messo azioni proprie e usato azioni Generali. Oggi oltre a essere cresciuti più o meno alle stesse dimensioni di Banca Generali, secondo elemento decisivo è stata la struttura dell’operazione e l’andamento dei due titoli”, ha proseguito. “Usando tutte le azioni Generali possiamo oggi fare operazione senza utilizzare capitale di Mediobanca e chiedere capitale ai nostri azionisti”. “Il nostro rapporto di lunga data con Generali vada trasformato da un rapporto finanziario in una partnership industriale”. ha ripetuto e fatto notare che: “In fin dei conti molti ci hanno accusato di essere troppo dipendenti da Generali in passato e questa operazione su Banca Generali ‘non è una risposta diretta a questa critica, ma la soluzione a un tema che era sul tavolo”. LEGGI TUTTO

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    Bpm, l’Ops Unicredit ai blocchi di partenza. Orcel cerca una soluzione sul Golden power

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    Palla al centro e si parte. Domani mattina prenderà il via l’offerta pubblica di scambio promossa da Unicredit su Banco Bpm. Aggiungere Piazza Meda è un tassello essenziale della strategia di Andrea Orcel (in foto) volta a crescere in maniera significativa in Italia, rafforzando la seconda posizione nella penisola. Se riuscisse a convolare a nozze con Bpm, il gruppo Unicredit balzerebbe al 16% di quota di mercato (Intesa Sanpaolo è prima con il 21%) con un’esposizione di rilievo nelle regioni più ricche del nostro Paese. La scalata a Piazza Meda parte con non poche insidie e incertezze che rendono al momento difficile capire che posizione prenderanno grandi e piccoli azionisti della banca guidata dall’ad Giuseppe Castagna. Tra questi spicca la francese Credit Agricole, che in questi mesi ha chiesto e ottenuto dalla Bce di portarsi a ridosso del 20% di Bpm.Orcel nelle prossime settimane dovrà prima di tutto dissipare le nubi legate al Golden Power provando ad aprire un dialogo con il governo che ha indicato delle prescrizioni ben precise: dal mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, al preservare le filiali di Banco Bpm in Lombardia, passando anche per l’uscita dalla Russia in tempi relativamente brevi (entro gennaio del prossimo anno).A ben guardare una corsa ad ostacoli che comporterà anche dei costi. Gli analisti di JP Morgan hanno quantificato ben 100 milioni di euro di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi e 47 punti base di impatto Cet1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; infine 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 900 milioni. A questo si aggiunge il rischio di sanzioni in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni che potrebbero variare tra 300 milioni e 20 miliardi in quanto la normativa prevede una sanzione amministrativa massima pari al doppio del valore dell’operazione (e non inferiore all’1% del fatturato cumulato). Non appare invece un problema il paletto sugli sportelli in Lombardia, dove Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Pertanto, la nuova entità andrebbe ad attestarsi ben sotto la soglia limite del 25% indicata dall’Antitrust Ue. LEGGI TUTTO