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    Banca Progetto commissariata da Bankitalia. Azzerato il cda, arrivano anche tre ispettori

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    Solo pochi giorni fa era stato nominato il nuovo amministratore delegato Andrea Varese al posto del dimissionario Paolo Fiorentino, ma ieri con una iniziativa a sorpresa Banca Progetto è piombata nell’amministrazione straordinaria e il suo cda è stato sciolto. A renderlo noto è lo stesso istituto, dopo che la Banca d’Italia, nell’esercizio dell’azione di vigilanza, ha «adottato una misura di intervento precoce nei confronti della società con sede legale in Milano, con l’obiettivo di assicurare un adeguato presidio dell’operatività della banca e di ripristinare condizioni di sana e prudente gestione. Pertanto, ha disposto lo scioglimento degli Organi con funzioni di amministrazione e controllo di Banca Progetto Spa – che dal 21 marzo 2025 è in amministrazione straordinaria, ai sensi dell’articolo 70, comma 1, del Testo Unico Bancario». Sono stati nominati Lodovico Mazzolin e Livia Casale, quali commissari straordinari, oltre a Domenico Posca, Nicola Marotta e Francesco De Santis, quali componenti del Comitato di Sorveglianza. «La gestione di Banca Progetto Spa è stata temporaneamente affidata a tali Organi e rimane oggetto di supervisione nell’ambito dell’azione di vigilanza ordinaria svolta dalla Banca d’Italia». Banca Progetto, sottolinea infine la nota, prosegue la propria attività e «pertanto la clientela e i depositanti possono continuare ad operare con la consueta fiducia». Anche se, a questo punto, l’intervento dell’autorità di vigilanza sembra suggerire l’emergere di un quadro più problematico rispetto a quello che era stato rilevato dopo le prime indagini.Il provvedimento arriva dopo che l’istituto era stato posto in amministrazione giudiziaria lo scorso ottobre a seguito di un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. Da quest’ultima è emerso che l’istituto avrebbe erogato finanziamenti, garantiti dallo Stato, a società legate alla ‘Ndrangheta. Questi prestiti, erogati a piccole e medie imprese per affrontare le conseguenze della pandemia di Covid-19 e le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina, sarebbero risultati in violazione delle normative antiriciclaggio. In particolare, le autorità avrebbero riscontrato carenze significative nei sistemi di controllo dell’istituto, che hanno permesso a società legate alla criminalità organizzata di accedere ai fondi pubblici. LEGGI TUTTO

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    Banche, il risiko coinvolge oltre 102mila lavoratori

    Lando Maria Sileoni, segretario generale FABI

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    Si intensificano le operazioni di aggregazione nel settore bancario italiano, con cinque offerte pubbliche di scambio attualmente in corso che coinvolgono oltre 102mila lavoratori, più di un bancario su tre. Secondo i dati della Fabi, nel 2019 il settore contava 22 gruppi e 280mila dipendenti, mentre le fusioni tra il 2020 e il 2022 hanno portato a una riduzione del personale di 20mila unità, attestandosi oggi a 260mila lavoratori distribuiti in 18 gruppi bancari.Le operazioni più significative degli ultimi anni hanno visto protagonisti Intesa Sanpaolo, con l’acquisizione di Ubi (91mila lavoratori coinvolti), Bper con l’integrazione di Carige (23mila dipendenti) e Crédit Agricole con l’acquisto di Creval (16mila bancari), per un totale di 130mila lavoratori impattati. Attualmente, le fusioni in corso riguardano Unicredit-Banco Bpm, Banco Bpm-Anima, Bper-Popolare di Sondrio, Mps-Mediobanca e Ifis-Illimity.Di questi temi, insieme a digitalizzazione e intelligenza artificiale, si discuterà il 25 marzo al convegno “Milano capitale finanziaria italiana”, organizzato dalla Fabi al Centro Congressi Palazzo Castiglioni. Tra i relatori, il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, e i responsabili delle risorse umane di diversi istituti bancari coinvolti nelle aggregazioni: Roberto Cascella (Intesa Sanpaolo), Ilaria Maria Dalla Riva (Unicredit), Roberto Speziotto (Banco Bpm) e Andrea Merenda (Bper). Vanessa Di Cola, coordinatrice della FABI di Milano, aprirà i lavori presentando una ricerca su risparmi e prestiti in Lombardia. LEGGI TUTTO

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    Bpm, Unicredit accelera ma Lodi si sfila

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    Nessuna marcia indietro. L’ad di Unicredit, Andrea Orcel, mantiene aperta la porta per un possibile rilancio su Banco Bpm. «Se saremo convinti che c’è più valore non abbiamo mai escluso di poter rilanciare», ha tagliato corto il banchiere romano nel suo intervento alla Morgan Stanley European Financials Conference 2025. Il numero uno di Unicredit, che si aspetta entro questo mese gli ultimi via libera all’Ops, non manca di inserire una nota polemica sul fatto che da quando l’operazione è stata annunciata «quello che è successo è uno sviluppo negativo, non positivo», alludendo alle modifiche alle condizioni dell’Opa di Bpm su Anima che andrà avanti anche in caso di mancato ok della Bce all’utilizzo del Danish Compromise. Un dettaglio non da poco visto che con lo sconto danese l’operazione Anima «ha un ritorno sull’investimento di oltre il 15%, mentre senza scende all’11% e consuma miliardi di capitale», ha spiegato il ceo di Unicredit. LEGGI TUTTO

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    Il cda Generali e la verginità perduta di Mediobanca

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    Il primo atto della partita Generali si è consumato con la creazione di una joint venture che, al di là di ogni rassicurazione, getta un’ombra sulla stabilità del debito italiano. Una mossa che, dietro l’illusione di un accordo strategico con la francese Natixis, consegna una fetta rilevante del risparmio nazionale (non meno di 630 miliardi) a una società con sede ad Amsterdam, guidata da tre manager francesi e uno americano. Nel migliore dei casi, l’operazione produrrà 100 milioni di utile, ma solo a partire dal 2030; mentre in tal modo avremo un asset cruciale sotto controllo estero e un’Italia più esposta finanziariamente. Il secondo atto si è consumato con l’anticipo al 24 aprile dell’assemblea dei soci di Generali, originariamente prevista per l’8 maggio. Un’azione pensata per impedire a Delfin di meglio posizionarsi nel capitale della compagnia (ha chiesto l’autorizzazione a salire dal 10 al 20%) nell’imminenza degli ultimi ok da parte delle autorità di alcuni Paesi in cui Generali opera. Un blitz perfettamente orchestrato per blindare l’attuale governance, rendendo meno agevole il riequilibrio degli assetti di comando. LEGGI TUTTO

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    “Scalata Mps? La politica non vincerà”

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    «La maggioranza del nostro capitale è in mano a investitori istituzionali e a qualche investitore privato che prenderanno le loro decisioni in base alla convenienza, non in base alla politica». L’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ieri ha usato queste parole davanti alla platea londinese della European Financials Conference di Morgan Stanley per commentare le prospettive ell’Ops lanciata da Mps sull’istituto di Piazzetta Cuccia. Poi anche nella City ha replicato il copione già letto nel comunicato diffuso dalla banca all’indomani del cda che aveva rigettato l’offerta senese: «L’Ops non è positiva per i nostri azionisti e per gli azionisti di Mps», «il target di taglio costi sembra piuttosto ambizioso», «vediamo delle dissinergie di funding».Il banchiere ha dunque lanciato la palla sul campo del Mef, azionista del Monte, puntando il dito sul rischio politico e quindi alzando il tiro sul ruolo del governo Meloni. Ma la partita è finanziaria ed è epocale: non si tratta solo di dare vita al terzo polo bancario, ma di modernizzare equilibri considerati intoccabili. A confermarlo è lo scontro che si sta consumando in Assogestioni e sulla presentazione di una lista di minoranza per il rinnovo del cda delle Generali. Parliamo dell’altra partita che vede coinvolta la banca guidata da Nagel: come anticipato da il Giornale, la riunione di ieri del comitato dei gestori (la terza nel giro di pochi giorni) è servita per esaminare il parere chiesto dal coordinatore Emilio Franco di Mediobanca Sgr al bocconiano Filippo Annunziata sulle eventuali incompatibilità dei gestori oltre a quelli già in conflitto che dunque si sono astenuti negli incontri precedenti (Mediobanca stessa , Trieste, Anima e la controllata Kairos). Nel mirino è finito, in particolare, il Banco Poste per il quale il fronte vicino a Piazzetta Cuccia avrebbe paventato un rischio di impugnativa. Ebbene, ieri il confronto si è concluso con un nuovo aggiornamento a venerdì: i rappresentanti di Anima e Kairos hanno, infatti, portato sul tavolo un parere preparato dal giurista Andrea Zoppini che verrà dunque esaminato nella prossima riunione. Il tempo stringe: la scadenza per presentare le candidature per il board a Trieste è quella di sabato 29 marzo. All’assemblea delle Generali del 24 aprile l’istituto guidato da Nagel presenterà una lista di maggioranza di almeno 13 nomi con capofila gli attuali vertici Andrea Sironi e Philippe Donnet. Il gruppo Caltagirone presenterà un elenco “corto di cinque-sei candidati. Una eventuale terza rosa di almeno tre nomi presentata da Assogestioni, in assenza di una lista del cda (che tre anni fa aveva assorbito gran parte delle preferenze dei fondi), potrebbe dunque avere l’effetto di drenare voti a quella targata Mediobanca. LEGGI TUTTO