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    Giorgetti: “Nessun decreto per Unicredit-Banco Bpm”

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    Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha dissipato i dubbi sull’eventualità di un decreto specifico per l’applicazione del golden power nel contesto dell’Ops (Offerta pubblica di scambio) lanciata da Unicredit su Banco Bpm. Intervenendo a margine del question time alla Camera, Giorgetti ha sottolineato: “No, non si sta pensando a nessun decreto, stiamo aspettando che ci notifichino, se vogliono farlo, l’operazione. Fino ad adesso non l’hanno fatto”. Una posizione chiara che ribadisce come il governo intenda agire nel rispetto delle norme esistenti.La legge Draghi come garanzia sufficienteSecondo il ministro, il Testo unico della Finanza (il decreto legislativo 58/98 detto anche legge Draghi) è già sufficiente a monitorare e gestire fusioni e acquisizioni nel settore bancario. Questa legge offre al governo strumenti per tutelare gli interessi strategici senza necessità di ulteriori interventi normativi. Il golden power, infatti, consente all’esecutivo di porre condizioni o bloccare operazioni che potrebbero compromettere settori chiave dell’economia nazionale.L’attenzione alla “sostanza” del creditoPiù che focalizzarsi sul “risiko bancario”, Giorgetti ha evidenziato come l’obiettivo principale della politica economica sia garantire che il sistema del credito resti funzionale all’economia reale. “Più che il risiko, l’attività di credito a favore dell’economia reale è ciò che conta realmente”, ha dichiarato, ribadendo la necessità di preservare la capacità delle banche di supportare le Pmi, che rappresentano il cuore produttivo del Paese. LEGGI TUTTO

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    Messina: “L’Italia è Intesa Sanpaolo”

    Ascolta ora Attenti a quei due, Carlo Messina e Andrea Orcel, banchieri italiani, nemici amici. Il primo gioca da king maker del sistema Paese, con la sua Intesa Sanpaolo a fianco di Confindustria. Il secondo prova a crescere a colpi di mercato e con l’identità paneuropea di Unicredit, anche a costo di indispettire il governo […] LEGGI TUTTO

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    Intesa Sanpaolo e Confindustria, un accordo da 200 miliardi

    Da sinistra Carlo Messina ed Emanuele Orsini

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    Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, e il Ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, hanno firmato un nuovo accordo quadriennale che prevede un investimento di 200 miliardi di euro per supportare la crescita delle imprese italiane fino al 2028. Questo programma si propone di rafforzare il sistema produttivo nazionale, incentivando investimenti in innovazione, transizione sostenibile e intelligenza artificiale.Le principali aree di intervento comprendono: Transizione 5.0: Investimenti in modelli produttivi innovativi. Sostenibilità: Promozione di processi di trasformazione sostenibile. Settori strategici: Focus su aerospazio, robotica e scienze della vita. Piano per l’Abitare Sostenibile: Sostegno ai lavoratori e attrazione di talenti.Orsini ha sottolineato l’importanza di un piano triennale di politica industriale, affermando che “abbiamo bisogno di far correre il nostro Paese, abbiamo bisogno che ovviamente le politiche industriali vengono messe al centro e anche per questo servirà un piano triennale di politica industriale: non possiamo pensare di correre dietro a ogni legge di Bilancio e quindi serve pianificare effettivamente quali sono le necessità per fare in modo che le nostre imprese possano crescere”.Un tema prioritario per il presidente di Confindustria è il costo dell’energia. “Non possiamo più aspettare”, ha detto, “benissimo che si vada verso i microreattori delle centrali nucleari di nuova generazione, però oggi serve da subito fare in modo che l’energia possa costare meno al nostro Paese. Serve fare contratti a lungo termine per l’energia”.Dall’altra parte, Carlo Messina ha presentato l’accordo come il “Pnrr di Intesa Sanpaolo per le imprese”, sottolineando che “mettiamo a disposizione ulteriori 200 miliardi di euro al 2028 per accompagnare il tessuto imprenditoriale del Paese nel realizzare obiettivi di crescita e competitività, investendo sul futuro e sulle sfide che ci attendono”. Messina ha anche evidenziato la lunga collaborazione con Confindustria, che ha già portato all’erogazione di 450 miliardi di euro in 15 anni, creando una relazione di fiducia tra banca e imprese. Inoltre, Messina ha espresso un parere critico sulle politiche Ue di settore. “Penso che in Europa dovrebbero pensare un po’ di meno e fare un po’ più di cose. Qui facciamo piani a 10 anni e poi ci troviamo con le aziende statunitensi che accelerano ulteriormente”. LEGGI TUTTO

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    Commerz alza il prezzo, ma non chiude

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    Da Francoforte si preparano a vendere cara la pelle all’italiana Unicredit. Nessuno si aspettava un tappeto rosso per il tentativo di scalata di Andrea Orcel, ma l’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Handelsblatt dal presidente del consiglio di sorveglianza di Commerzbank, Jens Weidmann, fa sembrare il fronte tedesco quasi una scalata all’Everest. Eppure la porta non è chiusa. «Come in ogni relazione, se l’inizio non è dei migliori, diventa difficile proseguire», ha detto Weidmann, ex presidente della Bundesbank (la banca centrale tedesca) dal 2011 fino alla fine del 2021.«Ci vorrebbe molto lavoro per creare abbastanza fiducia e consentire discussioni aperte», ha aggiunto il banchiere. Questo passaggio, infatti, è una sfumatura di significato che ambienti vicini alla banca italiana interpretano quanto meno come disponibilità a parlarne. Non è stato detto, infatti, che l’operazione non è possibile oppure che non è industrialmente valida (anche perché lo sarebbe eccome). «Cosa penso delle potenziali sinergie con Unicredit? Per valutarle, è necessario avere una visione dettagliata delle intenzioni dell’acquirente, delle strategie e dei suoi piani. Al momento, mancano molte di queste informazioni. Non possiamo speculare su qualcosa di così fondamentale». Insomma, il messaggio è chiaro: venite e spiegateci le vostre intenzioni, poi vedremo. «Quando si tratta di fusioni, è importante che i dirigenti parlino inizialmente tra loro in modo fiducioso e sviluppino un’intesa comune. Unicredit ha deciso di non farlo e ci ha sorpreso con il suo ingresso. Non è uno stile corretto».Il riferimento è a quando, nel settembre del 2024, Unicredit ha rilevato un primo 4,5% del secondo istituto tedesco dalla dismissione di una parte della partecipazione del governo federale. A luci spente, però, l’istituto italiano che in Germania è proprietario della terza banca del Paese, Hvb ha rastrellato un altro 4,5% sul mercato salendo al 9% del capitale. Una mossa che aveva provocato polemiche all’interno del traballante governo guidato da Olaf Scholz, il quale si era precipitato a definire «ostile» l’operazione di Unicredit. L’istituto di Piazza Gae Aulenti ha poi chiesto autorizzazione alla Bce per salire fino alla fatidica soglia del 30% e, nel frattempo, ha arrotondato la sua quota potenziale al 28% tramite strumenti derivati. Aspetto che peserà nell’assemblea dei soci del 15 maggio: se Unicredit convertisse i derivati, potrebbe anche avere già ora la maggioranza nell’assemblea – che tornerà a essere in presenza – se l’affluenza dovesse essere del 56% come è avvenuto l’anno scorso. LEGGI TUTTO

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    Banche troppo remote

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    I fatti sono fatti, fino a prova contraria. E i fatti sono che il processo di digitalizzazione relativo al sistema delle banche è venuto a impoverire il fattore della relazione umana. Perché questa trasformazione, salutata con grande soddisfazione soprattutto dai top manager del settore, ha reso ormai «remoto» il rapporto fisico con la clientela, famiglie e imprese, specie quelle di dimensioni più contenute. Certo, sarebbe stato irrealistico che non si fossero colti i vantaggi dell’innovazione tecnologica, tuttavia la progressiva contrazione degli sportelli e la sopraggiunta difficoltà dei clienti a ottenere appuntamenti in filiale dicono che il problema c’è. Anche se oggi, proprio per la tech invadenza, assai spesso è deludente e infruttuoso pure il faticoso dialogo dal vivo per la semplice ragione che sono i freddi algoritmi a guidare la danza. A decidere le sorti. Insomma, tutto sembra procedere in un’unica direzione. Ma così qualcosa di autentico lo si è perso per strada. Non basta affermare che il digitale permette di promuovere nuovi servizi efficaci ed efficienti, perché il primo servizio è la tutela del rapporto con il cliente/persona. Un servizio divenuto monco.Per i grandi gruppi impegnati in vicende fuori portata (il risiko è oggi l’attrazione per eccellenza) quello della relazione fisica con famiglie e pmi è un tema più che trascurabile; che dovrebbe, al contrario, rimanere centrale per gli istituti a vocazione territoriale. Lo domanda l’economia reale di prossimità, quella che ancora si regge e confida su quel fondamentale valore che è il tocco umano. LEGGI TUTTO

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    Illimity prende tempo sull’Opa di Ifis

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    Illimity prende atto dell’offerta avanzata da Banca Ifis e rinvia ogni valutazione a quando avrà in mano tutti i dettagli della proposta. Il consiglio di amministrazione della banca fondata e guidata da Corrado Passera (in foto) ha precisato che l’offerta pubblica di acquisto e di scambio, annunciata mercoledì da Banca Ifis, «non è stata sollecitata né preventivamente concordata con illimity», a conferma della freddezza con cui il ceo di primo acchito ha accolto la mossa di Ifis, facendo capire che non ha affatto le sembianze di un’offerta amichevole. Illimity aspetta quindi i dettagli dell’offerta da quasi 300 milioni che prevede una parte in contati (1,414 euro) e una parte in nuove azioni (1 ogni 10 consegnate). Offerta che è finalizzata al delisting del titolo da Piazza Affari e alla successiva fusione tra le due entità che, stando alle stime di Ifis, porterà a sinergie per 75 milioni. LEGGI TUTTO