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    Banche alla prova dei tassi Bce

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    Come di consueto, la prima a svelare i propri conti trimestrali sarà Intesa Sanpaolo. Domani, con il ceo Carlo Messina (nella foto) fresco di rinnovo ai vertici, la prima banca italiana avrà tutti i riflettori del mercato puntati addosso: un po’ perché la sua posizione di leader di settore funge da benchmark per gli altri istituti nazionali ed europei, un po’ perché nel primo trimestre 2025 si riversano i primi effetti concreti dei tagli ai tassi d’interesse della Banca centrale europea. Le stime di Bloomberg e Barclays si attendono un utile fra i 2,4 e i 2,5 miliardi nel periodo tra gennaio e marzo con una crescita del 4% su base annua. I ricavi, attesi a 6,7 miliardi, dovrebbero rispecchiare un lieve calo del margine d’interesse a fronte di un incremento fra il 5 e il 9% delle commissioni. Le antenne degli osservatori saranno dritte anche per recepire eventuali messaggi da Messina, che finora ha sempre sostenuto di voler rimanere fuori dal gioco delle acquisizioni in atto in questo momento in Italia (Generali compresa).Il secondo istituto a varare i suoi conti sarà Banco Bpm, nella serata di mercoledì. Su questi numeri sarà forte l’attenzione di Unicredit, che ha in corso un’offerta pubblica di scambio proprio su Piazza Meda e sta valutando se ritirarsi o meno dalla scalata in seguito a prescrizioni piuttosto stringenti sul fronte Golden Power. Le previsioni degli analisti per l’istituto guidato da Giuseppe Castagna sembrano essere positive. Le stime sul mercato vedono un utile netto del periodo di 444 milioni, ben al di sopra dei 370 milioni dello stesso periodo del 2024. Un risultato che si poggerà, stimano gli analisti di Intesa Sanpaolo, su 1,45 miliardi di ricavi, frutto di un aumento delle commissioni (+7,8% sul trimestre precedente) e un calo del margine d’interesse (-5,1%). Se i conti di Piazza Meda dovessero confermarsi forti allora anche il titolo potrebbe reagire positivamente, rendendo ancor più complicato per il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, evitare di mettere in conto un rilancio nella sua Offerta pubblica di scambio.Tra le cinque maggiori banche, il calendario dei conti proseguirà con Bper, l’istituto guidato da Gianni Franco Papa anch’esso con un’offerta in corso sulla Banca Popolare di Sondrio. Secondo quanto riporta Intermonte, attraverso la sua testata Websim, l’utile netto dovrebbe attestarsi in calo su un anno fa a 371 milioni, con ricavi stabili a 1,36 miliardi e una dinamica di commissioni e margine d’interesse in linea con il trend di mercato. LEGGI TUTTO

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    Ops Bpm, Orcel fermo davanti al guado

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    La decisione definitiva non è ancora stata presa. Ma al momento il numero uno di Unicredit, Andrea Orcel, è più orientato a gettare la spugna sull’Offerta pubblica di scambio lanciata su Banco Bpm piuttosto che a proseguire. A frenare Piazza Gae Aulenti è il combinato disposto tra la mancata concessione dello Sconto Danese a Piazza Meda sull’operazione Anima (che pesa per 1 miliardo) e le stringenti prescrizioni del Golden Power. Certo è che, prima di rinunciare, Orcel non lascierà nulla di intentato. Essenziale, dunque, sarà il confronto con le autorità competenti per cercare di smussare gli aspetti più discutibili (non certo il problema Russia, sul quale il Golden Power è irremovibile) delle prescrizioni.Unicredit, quindi, si prenderà tutto il tempo necessario, visto che può legittimamente tirarsi indietro fino al 30 giugno. Quando il quadro sarà finalmente chiaro, allora arriverà il verdetto definitivo (tra l’altro, al momento le adesioni all’Ops stanno andando molto a rilento). Certo è che per Orcel sarebbe un grosso smacco dover rinunciare. Nel mercato italiano, infatti, non esiste altra preda che sia allo stesso tempo aggredibile in termini dimensionali e attraente sul fronte delle fabbriche prodotto di fondi e assicurazioni (che Unicredit non ha). Di colpo, infatti, Piazza Gae Aulenti si ritroverebbe con undici milioni di clienti e una quota di mercato nel credito del 15%, concentrata in particolar modo nelle regioni più ricche del Nord Italia. Non finisce qui, perché Banco Bpm ha in pancia i fondi d’investimento di Anima, le assicurazioni di Bpm Vita, una quota di peso nel credito al consumo di Agos e nella società di pagamenti Numia. Oltre a Banca Aletti e Banca Akros. A fare gola è anche un’altra constatazione: entro il 2027 Bpm punta a realizzare il 50% dei propri ricavi (stimati a circa 5,9 miliardi in totale per quell’anno) attraverso le sue fabbriche prodotto. Non male in un contesto di mercato in cui la politica monetaria sembra orientata a normalizzarsi, con tassi che dovrebbero essere più bassi rispetto ai picchi degli scorsi anni. E, soprattutto, un’occasione irripetibile per una banca ambiziosa che deve trovare un modo per conservare e accrescere le performance sorprendenti degli ultimi anni. C’è, nei mercati core, ovvero Italia e Germania, un target in grado di garantire prospettive analoghe? La risposta è no, ed è ancora più indigesta la possibilità – dopo l’eventuale rinuncia di Unicredit – che porterebbe a un matrimonio tra Bpm e Mps, che potrebbe essere completato da un perimetro destinato a espandersi a Mediobanca e Banca Generali. Ne nascerebbe un gruppo integrato, una piccola Jp Morgan italiana, che guarda caso è proprio il progetto accarezzato da Orcel fin da quando era merchant banker.Il dubbio è sui margini di trattativa con il Golden Power. In larga parte le prescrizioni – che hanno una durata di 5 anni – sono ispirate a un’idea di Unicredit che probabilmente va precisata negli ambienti di governo. In un’Italia dove l’azionario ha avuto ottime performance e i Btp hanno beneficiato di promozioni delle agenzie di rating e politiche di bilancio prudenti, mantenere l’esposizione di Anima a titoli italiani non è certo una iattura. E se è vero, come fa sapere Unicredit, che il mantenimento della rete di sportelli non è mai stato un problema e c’è una disponibilità ad aumentare il supporto alle imprese (incontrandosi a metà strada sulla richiesta di mantenere il rapporto depositi/impieghi di Bpm), allora l’unico nodo resta l’addio a Mosca. Ostacolo che col passare del tempo può farsi più piccolo (Unicredit sta riducendo le attività). LEGGI TUTTO

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    Urge trasparenza su Mediobanca-Generali

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    Gentile direttore, le considerazioni di Osvaldo De Paolini pubblicate dal Giornale sull’Ops Mediobanca-Banca Generali sono, come molto spesso accade, ampiamente condivisibili. Negli altri interventi di stampa non viene rilevata la straordinarietà del progetto di dismissione del 13,1% di Generali che Enrico Cuccia considerava la «pupilla dell’occhio», per la difesa della quale aveva ingaggiato numerosi scontri, mentre si poneva spesso un problema di autonomia di quella che era ritenuta l’unica multinazionale italiana. Si pensi, per tutti, ai non facili rapporti con Cesare Merzagora, che fu anche presidente del Senato, per un certo periodo pure al vertice della compagnia. Il cordone ombelicale con quest’ultima, benché sui generis dura da circa settant’anni; l’ingente contributo agli utili di Mediobanca è noto, così come note sono le resistenze, negli anni, alle argomentazioni di opinionisti e semplici osservatori sull’opportunità, nel dopo-Cuccia, di recidere o attenuare quel legame. Tuttavia, queste riflessioni sulla non opportunità della banca tricefala – istituto di credito a medio termine, merchant bank e holding di partecipazioni – mancava poco che fossero considerate eversive. Prima che si arrivasse al «Compromesso danese», sui rapporti tra banche e assicurazioni, era vista come una iattura la necessità che, sulla base dell’allora vigente normativa europea, la partecipazione di Mediobanca nelle Generali dovesse scendere sotto il 10%. Insomma, un pilastro delle politiche cucciane che si esplicavano pure consingolari norme statutarie, quale la durata in carica del presidente della compagnia per un solo anno, in modo da renderne possibile l’agevole revocabilità, viene ora dismesso.I tempi cambiano e anche teorie e prassi – scatole cinesi, assetti societari piramidali, partecipazioni incrociate, patti di sindacato, salotti buoni, gli strumenti preferiti dalla strategia di Cuccia – sono superate o riviste, ma ciò avviene purtroppo senza doverose critiche e autocritiche anche da parte degli epigoni. Il segno dei tempi è anche dato dal fatto che Piazzetta Cuccia lancia oggi un’Ops che, per ammissione del suo ad Alberto Nagel, è oggetto di studio da cinque anni, incredibili dictu, senza che nel frattempo sia accaduto alcunché. E comunque ora è fondamentale che sia chiaro, non solo agli azionisti, ma anche al mercato in generale e ai risparmiatori, nonché agli investitori, come l’operazione realizzi interessi di Mediobanca, delle Generali e della stessa Banca Generali. Del resto, è quanto prospetta Francesco Milleri, presidente di Delfin, chiedendo informazioni dettagliate e sottolineando che comunque dovrebbe trattarsi di un’operazione win-win, senza vincitori e vinti. Ma non meno importante è che egli abbia detto che l’Ops non disturberebbe l’altra Ops, alla quale molti guardano vedendovi un collegamento con l’iniziativa di Mediobanca. Intanto, però, poiché si tratta di due banche coinvolte, non è sufficiente la pur fondamentale prova dell’eventuale creazione di valore per i soci; dev’essere chiaro che non si tratta di una mera strategia difensiva da parte di PiazzettaCuccia, ma che l’aggregazione risponda meglio alla ragion d’essere di una banca: tutelare il risparmio e sostenere imprese e famiglie. È quanto discende dall’art. 47 della Costituzione sulla protezione del risparmio che fa delle banche – e mutatis mutandis anche delle assicurazioni – imprese particolari, per la loro regolamentazione e il loro controllo, a cominciare dai profili di stabilità e della sana e prudente gestione, quindi in primis dal piano industriale. LEGGI TUTTO

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    I progetti di Nagel su Medio-Generali

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    Il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, ha pensato nel dettaglio la manovra difensiva nei confronti dell’Offerta pubblica di scambio lanciata dal Montepaschi. Secondo indiscrezioni, qualora l’offerta riuscisse a superare le non poche forche caudine che ha davanti, il capo di Piazzetta Cuccia vorrebbe fondere le due società e far sedere sulla poltrona di ceo Gian Maria Mossa, attuale timoniere di Banca Generali; mentre per sé avrebbe pensato alla presidenza del nuovo gruppo, che punterebbe a diventare un leader nel comparto del risparmio gestito unendo la rete di Mediobanca Premier con quella di Banca Generali. Un’operazione che ha un senso industriale, a maggior ragione se alla fine dovesse comprendere anche Mps. Tant’è che gli analisti di Barclays hanno alzato il prezzo obiettivo di Banca Generali, incrementandolo a 60,6 euro da 52,2 euro (ieri il titolo della società è salito del 2,1% a 53,2 euro) raccomandando agli investitori di «sovrappesarla» nei portafogli. Valutazione che però non considera il contributo al conto economico di Intermonte. L’accento degli esperti viene posto sui benefici del rinnovo dello scorso 17 aprile – pochi giorni prima dell’Ops di Mediobanca su Banca Generali – della partnership con la controllata del Leone, Generali Italia. Per Barclays, si tratta addirittura di «un punto di svolta», che consentirà al gruppo di «raggiungere un bacino di clienti più ampio e di creare opportunità di cross-selling».L’entusiasmo degli analisti, peraltro, lascia più di qualche perplessità sulla valutazione riconosciuta da Mediobanca a Banca Generali. Del resto, l’addio alla costola guidata con un certo successo da Mossa provocherebbe a Trieste una voragine da centinaia di milioni di utili, a fronte di un 6,5% di azioni proprie – peraltro bloccate per un anno – destinate a svalutarsi proprio in ragione dello scambio con Mediobanca. L’operazione, che vista da Piazzetta Cuccia ha certamente il pregio di preservare ai vertici Nagel, sarebbe una mina di non poco conto sulla tanto difesa (dal ceo di Generali Philippe Donnet) joint venture sul risparmio gestito tra Natixis e Generali. C’è da scommettere che in Francia non vedrebbero più di così buon occhio la jv, soprattutto se venisse a mancare una rete da migliaia di consulenti nella distribuzione dei fondi (o comunque lo facesse dovendo pagare le commissioni a Mediobanca). E allora la già fragile architettura del deal sarebbe destinata a schiantarsi.Nel frattempo, il cda di Generali è convocato per mercoledì 7 maggio. All’ordine del giorno c’è la composizione dei Comitati interni, a partire da quello sulle Parti correlate, che giocherà un ruolo cruciale rispetto all’Ops di Mediobanca su Banca Generali, dal momento che il suo compito è istruire la discussione, che toccherà poi al board, sull’operazione. I consiglieri valuteranno, probabilmente più avanti, anche l’opportunità di passare attraverso l’assemblea dei soci. LEGGI TUTTO

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    Bpm: “Unicredit dica se andrà avanti”

    Banco Bpm, da destra il presidente Tononi e l’Ad Castagna

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    L’offerta di Unicredit è del tutto inadeguata e la banca guidata da Andrea Orcel decida cosa fare e quanto può costare l’uscita dalla Russia. È il messaggio mandato ieri dai vertici del Banco Bpm davanti ai soci riuniti ieri in assemblea (presente il 64,2% del capitale dell’istituto) che ha dato il via libera al bilancio 2024. Sia il presidente Massimo Tononi sia l’ad Giuseppe Castagna hanno sollecitato l’istituto di piazza Gae Aulenti a chiarire se intende procedere con l’Ops oppure rinunciare, visto che alcune condizioni essenziali «non si sono verificate e non si verificheranno». Il riferimento è al prezzo pagato per Anima, al Danish compromise e al Golden power esercitato dal governo.«Questa incertezza dell’offerta Unicredit che dura ormai diversi mesi, inizia ad essere poco apprezzabile, poco ragionevole» ha osservato Tononi. «Non conosciamo il piano industriale congiunto delle due banche in caso di fusione non conosciamo l’intenzione dell’offerente in merito ad Anima, non conosciamo l’iniziativa che l’offerente intende mettere in atto per conseguire le sinergie: e tutto questo perché l’offerente non l’ha comunicato». L’ad Castagna ha poi rincarato la dose sottolineando che il «prezzo è assolutamente incongruo e il fatto che ci sia un’offerta per ora di scambio senza cash, e che questo eventuale rilancio sia solo ventilato e non sia chiarito» porta a maggiore incertezza per gli azionisti. Quanto ai paletti del Golden power all’Ops di Unicredit sulla stessa Banco Bpm, in particolare per quanto riguarda gli investimenti di Anima (paletti non richiesti a Banco per l’acquisizione della sgr), Castagna ha spiegato: «Noi siamo una banca che lavora solo sull’Italia, che si è fatta promotrice di spingere il più possibile i fondi verso i titoli italiani e non solo titoli di Stato ma anche gli investimenti in un mercato borsistico abbastanza debole» e dunque «nessuno si pone la domanda se Anima in una banca al 100% in Italia continui a investire in Italia. Evidentemente non si pensa lo stesso dell’altra banca, che ha il 65% delle attività sull’estero», ha aggiunto riferendosi alla richiesta a Unicredit fatta dall’esecutivo di uscire dal mercato russo in nove mesi. «Ne voglio fare un tema economico. Unicredit stessa ha dichiarato che l’uscita dalla Russia potrebbe portare ad una svalutazione contabile del conto economico di 5,5 miliardi», ha precisato. LEGGI TUTTO

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    Ifis, ok della Bce all’Opas su Illimity

    Ernesto Fürstenberg Fassio, Presidente di Banca Ifis

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    Banca Ifis (in foto il presidente Ernesto Fürstenberg Fassio) ha ottenuto l’autorizzazione della Bce per acquisire una partecipazione di controllo, diretta e indiretta, in illimity Bank. La notizia segna una tappa fondamentale nel percorso dell’Opas lanciata l’8 gennaio scorso. Tuttavia, il via libera è arrivato a una condizione precisa: la necessità di effettuare una due diligence approfondita post-acquisizione, poiché l’offerta è stata presentata senza un accordo preventivo con illimity e in assenza di un’analisi preventiva dei conti.«Tenuto conto della natura non concordata dell’operazione e del fatto che Banca Ifis non ha condotto due diligence su illimity, Banca centrale europea ha prescritto che in caso di perfezionamento dell’offerta Banca Ifis conduca una due diligence per la determinazione del badwill», ha comunicato Banca Ifis. Il badwill, o avviamento negativo, rappresenta la differenza tra il prezzo pagato per l’acquisizione e il valore effettivo del patrimonio netto dell’azienda. Nel caso di illimity, i timori della Bce si concentrano su possibili perdite non ancora emerse, soprattutto alla luce dei risultati 2024 della banca, che ha chiuso l’anno con un rosso di 38,4 milioni di euro a causa di forti svalutazioni.La due diligence dovrà essere certificata da una società di revisione e trasmessa «senza ritardo» alla Banca d’Italia. Successivamente Banca Ifis «dovrà determinare entro il mese successivo l’eventuale adozione delle azioni conseguenti, ove necessarie», ha precisato l’istituto veneto.In Borsa, la notizia ha avuto un impatto moderatamente positivo: il titolo Banca Ifis è salito dell’1,1% a 22,3 euro, mentre illimity ha registrato un rialzo dello 0,2%, attestandosi a 3,5 euro per azione. LEGGI TUTTO

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    L’assalto di Mediobanca rischia lo stop

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    Il primo test per l’Ops da 6,3 miliardi lanciata da Mediobanca su Banca Generali in cambio della sua partecipazione in Generali sarà il prossimo 16 giugno quando verrà riunita l’assemblea degli azionisti di Piazzetta Cuccia per decidere se dare il via libera all’operazione oppure mantenere una strategia di crescita stand alone. Poiché a sua volta Mediobanca è in passivity rule, per l’offerta presentata dal Monte dei Paschi, le servirà l’ok dell’assemblea ordinaria con una maggioranza del 50% più un’azione, visto che non sarà richiesta una modifica dello statuto o una variazione del capitale. Così è stato spiegato lunedì dal gruppo guidato da Alberto Nagel.C’è però un documento che sta circolando negli uffici legali di alcune banche e che approfondisce la legittimità della mossa di Mediobanca proprio alla luce della regola che inibisce ogni azione difensiva destinata a modificare il patrimonio di una società quando è sotto scalata. Nagel sostiene che si tratta di un’operazione strategica indipendente, coerente con il suo piano industriale, e potrebbe invocare eccezioni come la clausola di reciprocità. Ma l’Ops su Banca Generali, si spiega nel documento, potrebbe essere interpretata come una misura difensiva per diversi motivi: cedendo il 13% di Generali, Mediobanca elimina un asset strategico che potrebbe essere di interesse per Mps. La banca senese ha dichiarato che la quota in Generali non è strategica per i suoi piani, ma il controllo di questa partecipazione potrebbe rafforzare l’influenza del Monte sul Leone in caso di successo dell’offerta. Inoltre, l’acquisizione di Banca Generali consolida Mediobanca nel wealth management, rendendola potenzialmente meno attraente per Mps, il cui modello di business è più orientato al retail. Questo potrebbe scoraggiare gli azionisti di Mediobanca dall’aderire all’offerta di Siena perché il nuovo posizionamento di Piazzetta Cuccia potrebbe essere percepito come più redditizio. Va poi considerato l’impatto sulla struttura finanziaria: l’operazione “carta su carta” altera il profilo patrimoniale di Mediobanca, complicando potenzialmente la valutazione dell’offerta di Mps da parte degli azionisti.La passivity rule richiede che qualsiasi misura difensiva sia sottoposta al voto assembleare, a meno che non rientri nella gestione ordinaria o in decisioni preesistenti. Non sembra questo il caso dell’Ops su Banca Generali, vista la portata strategica e finanziaria, quindi l’assenza di un’autorizzazione assembleare potrebbe renderla illegittima. L’annuncio fatto lunedì da Nagel avviene pochi mesi dopo l’offerta di Mps e nel bel mezzo di un risiko che coinvolge anche Unicredit e Banco Bpm. La tempistica ravvicinata potrebbe, dunque, suggerire che l’operazione sia una risposta diretta all’offerta ostile, rafforzando l’ipotesi di una misura difensiva. Mediobanca potrebbe però invocare la clausola di reciprocità, sostenendo che Mps, partecipata dal Tesoro, non è soggetta a normative equivalenti sulla passivity rule, data l’influenza statale. Questa tesi richiederebbe comunque un’analisi giuridica approfondita. Non solo. Consob potrebbe esaminare l’operazione per verificare se violi la passivity rule. Se fosse ritenuta una misura difensiva non autorizzata, Mediobanca rischierebbe sanzioni o l’annullamento dell’Ops su Banca Generali. LEGGI TUTTO

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    Il boomerang della mossa su Trieste scompagina gli equilibri in Italia

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    Se l’offerta di Mediobanca andrà a buon fine su Banca Generali, nel risparmio gestito italiano inizierà una nuova era. Il nuovo maxi polo che si andrebbe a formare, unendo le masse gestite delle due entità alla fine del 2024 in base ai dati divulgati da Assoreti, avrà un patrimonio complessivo di 148,6 miliardi di euro e una rete da 3.564 consulenti, il che ne farebbe il secondo gruppo dietro a Fideuram. Quest’ultima, che fa capo a Intesa Sanpaolo, sarebbe comunque di gran lunga prima con il suo patrimonio da 394 miliardi e una rete di 6.814 tra consulenti finanziari e private banker. In termini di asset, il podio sarebbe completato da Banca Mediolanum (oltre 123 miliardi). A poca distanza FinecoBank (oltre 121 miliardi).Un consolidamento di questa portata, quindi, cambierebbe gli equilibri del settore, dove le sinergie tra fabbrica prodotto e rete distributiva diventano sempre più determinanti. Per Mediobanca, l’operazione rappresenterebbe la realizzazione di un progetto che era rimasto nel cassetto per lungo tempo. Per Generali, tuttavia, il dossier è molto più delicato e non è detto che alla fine a Trieste decida di privarsi di una così importante fonte di redditività (intorno al 10% del totale) in cambio di azioni proprie che non potrebbero essere toccate per un anno. Il Leone ha oggi il 50,2% di Banca Generali, cedere quella quota significherebbe rinunciare a un pilastro del proprio modello. Peraltro, sarebbe una picconata molto pesante all’accordo tra Generali e Natixis Investment Managers, partner francese con la quale si vorrebbe realizzare una joint venture molto controversa. Il patto prevede, tra le altre cose, una cooperazione nella distribuzione dei fondi e la cessione di Banca Generali a Mediobanca depotenzierebbe l’intesa, probabilmente facendola finire su un binario morto o, comunque, rendendo necessaria una rivisitazione dei rapporti di forza (non favorevole a Generali). Anche in considerazione del fatto che l’ingresso di un nuovo socio forte come Unicredit (che controlla il 6,7% del Leone), potrebbe già di per sé portare la società verso altre strategie che, al pari dell’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone e a Delfin (soci forti con il 6,9 e il 10% delle quote), non ama in particolar modo l’affare Natixis. LEGGI TUTTO