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    La Lagarde affossa i Btp: ecco cosa ha scatenato le vendite

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    La Bce di Christine Lagarde è riuscita a mettere al tappeto tutto l’obbligazionario dell’Eurozona, nessuno escluso. Mentre l’euro/dollaro e i mercati azionari hanno digerito le risultanze dell’ultimo meeting 2024 della Bce senza scossoni, a sbandare vistosamente sono stati Btp &co, con diffuse vendite e conseguente aumento dei rendimenti. Il tasso del Bund con scadenza a 10 anni è salito di 7 punti base passando dal 2,13% di mercoledì al 2,20%. Ancora più vistoso il movimento del Btp decennale, passato dal 3,19% al 3,35%. Come conseguenza di questa debolezza relativa dei Btp rispetto ai Bund si è assistito a un allargamento dello spread Btp-Bund, tornato ampiamente sopra la soglia di 110, attestandosi alla fine della giornata di ieri a 115.Oggi i rendimenti dei Btp si sono stabilizzati nei pressi del 3,35%, con lo spread in lieve contrazione in area 113 in virtù della debolezza del Bund. Niente cambio di passo della Bce Cosa ha destabilizzato i titoli di Stato? Il consiglio direttivo della Bce, come da attese, ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base. Anche le stime su crescita e inflazione sono cambiate, al ribasso entrambe, senza sorprese particolari anche su questo fronte.Quello che è realmente mancato è un cambio di passo a livello di comunicazione. Nello statement si è rimossa la notazione che i tassi devono stare su livelli restrittivi. La direzione ora sarà definita dall’outlook sull’inflazione alla luce degli sviluppi macroeconomici.La presidente della Bce, Christine Lagarde, nella conferenza post-meeting non ha aggiunto molto di nuovo. E questo è già un qualcosa che ha fatto indispettire i mercati. Le sue parole come abbastanza accomodanti, ma allo stesso tempo ha confermato che la Bce si muoverà anche in futuro ad ogni meeting guardando i dati economici. Quindi niente svolta e niente ritorno di una forward guidance classica.Scattano le prese di profittoTra gli operatori ha preso piede anche la tesi di una fisiologica presa di profitto dopo il rally dei governativi, in particolare dei Btp, nelle ultime settimane. “L’impressione è che i bond dell’eurozona, dopo il robusto rally della seconda metà di novembre, proseguito per il Btp nella prima settimana di dicembre, fossero iperestesi. Le aspettative di taglio erano (e sono) aggressive (altri 4 tagli entro giugno) e il quadro tecnico aveva un aria abbastanza toppish”, rimarca Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr.”Il rialzo è stato quasi uniforme sulle curve, anche se i tratti a 5 e 10 anni sono stati quelli maggiormente penalizzati. Le prese di profitto sono da considerare al momento anche fisiologiche, tenendo in considerazione il forte rally dell’ultimo mese, proprio sulle aspettative di una Bce più aggressiva nella politica monetaria espansiva”, sottolineano da Mps Capital Services. Anche Gabriel Debach di eToro menziona le prese di profitto come una delle possibili spiegazioni, aggiungendo anche l’imminente fine dei reinvestimenti PEPP come catalyst negativo, così come l’idea che il tasso terminale della Bce possa essere più vicino al livello attuale di quanto precedentemente stimato. LEGGI TUTTO

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    Bce promuove Intesa, Unicredit, Bpm

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    Monte dei Paschi non sarà più obbligato a richiedere un’autorizzazione preventiva alla Bce per distribuire i dividendi. Questa decisione, scaturita dall’esercizio Srep 2024 (che le principali banche italiane hanno superato brillantemente), segna un importante passo avanti per l’istituto guidato dall’ad Luigi Lovaglio. La Bce ha fissato il requisito minimo di Cet 1 per il 2025 all’8,78%. Al 30 settembre 2024, Monte dei Paschi vantava un Cet 1 del 18,4% e un total capital ratio del 21,7%, valori che superano ampiamente i requisiti minimi richiesti. Per Intesa Sanpaolo (in foto il ceo Carlo Messina), la Bce ha fissato un livello minimo del coefficiente Cet 1 al 9,89%, in lieve aumento rispetto al 9,32% dello scorso anno. Tale incremento è attribuibile all’introduzione della riserva di capitale per il rischio sistemico, pari allo 0,52%. La banca, però, si colloca ampiamente sopra questa soglia, con un Cet 1 al 13,9%, che sale al 15,2% su base pro forma. Anche Unicredit ha superato agevolmente i requisiti Srep, con un livello minimo di Cet 1 fissato al 10,27% per il 2025, rispetto al 10,03% richiesto per il 2024. Il Cet 1 fully loaded di Unicredit si attesta al 16,13%, ben al di sopra della soglia minima. LEGGI TUTTO

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    Banco Bpm, a Unicredit basta il 50%

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    Unicredit è pronta a rivedere le condizioni di efficacia per la sua offerta pubblica di scambio sul Banco Bpm. L’istituto guidato da Andrea Orcel, infatti, tra giovedì e venerdì dovrebbe depositare in Consob il prospetto dell’offerta che riporterà come soglia di adesione il 50% più un’azione del capitale di Bpm. Un’asticella che al momento dell’annuncio era stata posta al 66,67% con l’aggiunta della postilla «Unicredit, tuttavia, si riserva di rinunciare parzialmente alla presente condizione di efficacia, purché la partecipazione venga a detenere sia comunque almeno pari al 50% del capitale sociale più una azione».La discesa in campo a muso duro di Credit Agricole – che la scorsa settimana ha costruito una posizione potenziale nell’istituto al 15,1% e ha chiesto a Bce e Bankitalia di salire fino al 19,9% – ha portato Unicredit ad abbassare l’obiettivo a un più raggiungibile 50% più un’azione. Soglia, quest’ultima, che darebbe a Piazza Gae Aulenti il controllo dell’istituto ma non la capacità di mettere a terra tutte le sinergie previste (per aggregare le due banche ci vorrebbe una maggioranza in assemblea straordinaria dei due terzi del capitale votante). Ecco, dunque, che si ritorna al post su Linkedin del weekend firmato da Vincenzo Galimi, portavoce di Unicredit, il quale ha affermato che il rafforzamento di Agricole in Bpm non cambia nulla: serve comunque trovare un accordo con i francesi. In questa partita, del resto, entrambe le parti hanno i propri assi da giocare: da una parte il socio forte di Piazza Meda ha il suo peso azionario, dall’altra Unicredit può mettere sul piatto un allungamento del redditizio contratto di distribuzione dei fondi di Amundi (in scadenza al 2027), società controllata da Agricole che da Unicredit ha acquistato Pioneer nel 2017. Posto che questo tema – insieme al destino delle varie fabbriche prodotto assicurative e di risparmio gestito in Bpm – è quello che sta più a cuore a Parigi, Unicredit può aggiungere un rilancio cash che secondo Intermonte può arrivare fino a 3,7 miliardi. Basterà per farsi consegnare le azioni? Sarà solo una questione di prezzo, anche perché Agricole ha ribadito anche ieri «che non intende esercitare il controllo sulla banca» e che non fa parte «di accordi o patti parasociali» con altri soci. Da capire, inoltre, cosa intenderanno fare attori come Francesco Gaetano Caltagirone a cui fa capo il 2% di Bpm (e che ha pure rafforzato al 5,29% la sua posizione in Anima, sotto Opa dall’istituto guidato da Giuseppe Castagna) e la Delfin guidata da Francesco Milleri. Questi ultimi, infatti, controllano l’8,5% di Mps formando, proprio con Bpm che ha un altro 5% e Anima al 4%, quel nocciolo di investitori italiani a difesa di Rocca Salimbeni nell’ottica di costruire un terzo polo bancario, unendo il tridente Bpm-Mps-Anima. LEGGI TUTTO

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    L’asse Amundi-Allianz finisce in stallo. Scontro sulla governance

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    Mentre Generali stringe sulle trattative con la francese Natixis e vorrebbe arrivare a chiudere entro la fine di gennaio, un altro importante tassello del risiko del risparmio gestito europeo conosce una battuta d’arresto. I colloqui tra la francese Amundi (di proprietà del Credit Agricole, che si sta mettendo di traverso alla scalata che Unicredit ha lanciato su Banco Bpm) e Allianz Global Investors, per la creazione di un super colosso del risparmio da 2.800 miliardi di asset in gestione, si sarebbero incagliati dopo un anno di trattative, a questo punto non si sa se momentaneamente o definitivamente. Secondo le ricostruzioni di Financial Times e stampa tedesca, i due gruppi non sarebbero riusciti a trovare una quadra sulla struttura e la governance che avrebbe dovuto assumere la nuova società: il vero punto è sul chi avrebbe dovuto comandare la nuova realtà allargata. Probabilmente i tedeschi di Allianz, che hanno una divisione di gestione patrimoniale da 560 miliardi di asset, non avrebbero voluto consegnarsi totalmente ai francesi di Amundi, anche se questa realtà ha un portafoglio da 2.200 miliardi. Sta di fatto che Allianz sta cercando un partner per aumentare la massa critica nel risparmio gestito e, alla fine, non è escluso che il dialogo possa ripartire oppure che qualcuno possa inserirsi. Del resto, l’industria dei fondi – attaccata sui margini dall’avvento di robo-advisor ed Etf – ha bisogno di aumentare la dimensione dei gruppi per recuperare marginalità. LEGGI TUTTO