More stories

  • in

    Renault Group, storico accordo di Mobilize con Aspi per la mobilità sostenibile

    Ascolta ora

    Con una mossa storica per il settore della mobilità elettrica, Mobilize, la marca di Renault Group dedicata alle nuove mobilità, e Free To X, filiale di Autostrade per l’Italia, hanno annunciato un’operazione che punta ad accelerare lo sviluppo della rete di stazioni di ricarica ad alta potenza in Italia.Il progettoGrazie a questo importante progetto, Mobilize acquisirà una significativa quota di partecipazione in Free To X, la filiale di Autostrade per l’Italia dedicata alla ricarica rapida dimostrando la volontà di diventare un punto di riferimento del settore della ricarica veloce.Free To X che è tra i leader di mercato della ricarica ad alta potenza in Italia (HPC – High-Power Charging), gestisce una rete di ricarica rapida che consta di 110 stazioni, dislocate soprattutto lungo le autostrade. Queste erogano fino a 400 kW di potenza e sono a disposizione di tutti i fornitori di servizi di mobilità, e grazie a questo investimento Mobilize sosterrà lo sviluppo di nuove opportunità al di là della rete autostradale.La soddisfazione del CeoA raccontare l’accordo che è in fase di perfezionamento; Gianluca De Ficchy, CEO di Mobilize: “L’avvio di una partnership con Autostrade per l’Italia è un passo significativo nella nostra missione di guidare la transizione verso la mobilità sostenibile. Collaborando con Free To X, non solo miglioriamo l’infrastruttura di ricarica italiana, ma ci allineiamo anche alle nostre ambizioni strategiche di creare una solida rete di ricarica rapida in tutta Europa, rendendo la mobilità elettrica più facile per tutti”. LEGGI TUTTO

  • in

    La Cina festeggia per il Pil ma c’è la droga dell’export

    Ascolta ora

    La Cina «è sulla buona strada» per centrare il target di crescita del Pil nel 2024 di «circa il 5%». Il compiacimento del governatore della Banca centrale cinese (Pboc), Pan Gongsheng, rischia di durare quanto un fuoco d’artificio. Al netto delle misure introdotte in settembre per sostenere l’economia, il Dragone è ancora impantanato nella deflazione e sa bene che l’espansione dello scorso anno è stata garantita dall’andamento dell’export, ancora in doppia cifra in dicembre (+10,7%). Per la prima volta, il cumulato delle merci Made in China uscite dai confini nazionali ha superato i 25mila miliardi di yuan toccando 25.450 miliardi (3.470 miliardi di dollari) con un incremento del 7,1% rispetto al 2023.L’asse del commercio rimane pesantemente sbilanciato su un solo lato: l’import complessivo è stato pari a quasi 18.400 miliardi di yuan (2,580 miliardi di dollari). Nei confronti della Cina, la bilancia dei pagamenti dell’Unione europea ha infatti accumulato nel terzo trimestre quasi 50 miliardi di deficit.Ma su quello che molti definiscono – tout court – mercantilismo predatorio, Donald Trump ha già puntato il mirino. L’introduzione di dazi contro l’ex Impero Celeste sarà uno dei primi provvedimenti di natura economica che il tycoon prenderà non appena rientrato alla Casa Bianca. Barriere protezionistiche destinate a invelenire ancor di più i rapporti Usa-Cina, in un continuo braccio di ferro che, proprio ieri, ha avuto un nuovo round con uno degli ultimi atti dell’era Biden: una stretta ulteriore sull’export di chip, dopo quella già decisa nel 2023. Le nuove regole stabiliscono un tetto ai semiconduttori per l’IA che possono essere esportati in circa 120 Paesi (esclusi i 18 più stretti alleati americani, tra cui l’Italia) e l’obbligo per loro di richiedere un’autorizzazione sempre rispettando alcuni standard di sicurezza. Giro di vite anche sui centri dati di intelligenza artificiale, chiamati a rispettare parametri più severi per poter importare chip. Per Pechino si tratta «di un altro esempio della generalizzazione del concetto di sicurezza nazionale e dell’abuso del controllo delle esportazioni, nonché una flagrante violazione delle norme internazionali multilaterali in materia economica e commerciale». Misure stigmatizzate anche da un colosso del settore come Nvidia, secondo cui «queste regole non farebbero nulla per migliorare la sicurezza degli Stati Uniti». LEGGI TUTTO

  • in

    Bonus Irpef 2025: requisiti, beneficiari e calcolo

    Ascolta ora

    I punti chiave

    Il bonus Irpef proseguirà anche nel 2025, continuando a rappresentare un’importante misura di sostegno per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 28.000 euro annui. L’importo massimo del bonus può raggiungere 1.200 euro all’anno. Tuttavia, per determinare l’importo esatto spettante è necessario effettuare un calcolo accurato delle detrazioni fiscali tramite la dichiarazione dei redditi. Vediamo come.Cos’è e a chi spetta, chi ne è esclusoFormalmente noto come Trattamento integrativo Irpef, questo incentivo viene accreditato mensilmente ai lavoratori dipendenti e assimilati fino a un massimo di 1.200 euro. Originariamente introdotto come “bonus 80 euro”, è stato successivamente trasformato nel “bonus Renzi” da 100 euro mensili. La misura è stata confermata nell’ultima manovra di bilancio anche per il 2025.Il bonus Irpef spetta a diverse categorie di lavoratori: dipendenti, soci lavoratori di cooperative, lavoratori in cassa integrazione (sia ordinaria che straordinaria, in deroga, assegno ordinario e di solidarietà), collaboratori con contratto a progetto o co.co.co, stagisti e tirocinanti, percettori di borse di studio, assegni o premi di studio; ancora: lavoratori socialmente utili, sacerdoti, disoccupati che percepiscono Naspi, Dis-Coll o indennità agricola, lavoratrici in congedo di maternità obbligatorio e lavoratori in congedo di paternità, revisori di società, amministratori comunali e addetti della PA.Non possono invece beneficiare del bonus i pensionati, i lavoratori autonomi, chi non raggiunge i requisiti minimi di reddito imponibile.Limiti di reddito e importiCome detto, il bonus viene riconosciuto ai lavoratori con un reddito annuo lordo fino a 28.000 euro. L’importo varia in base al reddito percepito, con queste modalità:redditi fino a 15.000 euro, diritto al bonus massimo di 1.200 euro annui, purché l’imposta lorda sia superiore alle detrazioni spettanti per lavoro dipendente, diminuite di 75 euro;redditi tra 15.000 e 28.000 euro, bonus parziale, calcolato in base alla differenza tra le detrazioni spettanti e l’imposta lorda;redditi superiori a 28.000 euro: non si ha diritto al bonus.Come si calcolaIl calcolo del bonus Irpef varia a seconda della fascia di reddito:per redditi fino a 15.000 euro, se l’imposta lorda supera le detrazioni per lavoro dipendente (ridotte di 75 euro), si ha diritto al bonus massimo di 1.200 euro, che viene erogato in rate mensili da 100 euro ciascuna per 12 mesi;per redditi tra 15.000 e 28.000 euro, in questa fascia, il bonus dipende dalla differenza tra le detrazioni spettanti e l’imposta lorda. Le detrazioni rilevanti sono relativte a: carichi di famiglia (escluso l’assegno unico), detrazioni da lavoro dipendente, interessi passivi su mutui per l’acquisto o la costruzione della prima casa, spese sanitarie, detrazioni per ristrutturazioni edilizie ed efficientamento energetico.È importante ricordare che non tutti i redditi concorrono al calcolo del reddito imponibile. Ad esempio, non vengono considerati il reddito derivante dall’abitazione principale e relative pertinenze, l’assegno di inclusione, l’assegno unico universale e gli assegni familiari.Come si ottieneIl bonus Irpef viene anticipato direttamente dal datore di lavoro, che lo inserisce in busta paga sotto la voce “Trattamento integrativo L. 21/2020”. Il calcolo effettuato dal datore di lavoro è presuntivo e si basa sui redditi lordi del dipendente. Alla fine dell’anno il lavoratore deve presentare la dichiarazione dei redditi per effettuare il conguaglio definitivo. Se il reddito complessivo comprende anche altre fonti, come affitti o redditi diversi, potrebbe essere necessario restituire una parte del bonus percepito.Se si sa già che il proprio reddito complessivo supererà i 28.000 euro, o si hanno altre fonti di reddito oltre a quella principale, è meglio dichiarare al datore di lavoro di non applicare il bonus Irpef, per evitare di doverlo restituire successivamente.Cosa fare se bisogna restituirlo LEGGI TUTTO

  • in

    I grandi investitori rispolverano il mattone: tornano centrali case e centri commerciali

    Ascolta ora

    Il comparto degli investimenti immobiliari nel settore retail torna a ricoprire un ruolo centrale nelle scelte strategiche di investimento degli operatori istituzionali. È quanto emerge dalla seconda edizione dell’EY Retail Property Investments Barometer, sondaggio annuale di EY in collaborazione del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali (Cncc) che coinvolge i vertici delle principali società immobiliari, di gestione di fondi e di asset immobiliari e investitori finanziari del settore che rappresentano più di 20 miliardi di assets retail.Circa l’80% dei manager ha dichiarato di avere attese positive o neutre nel confronto con le altre asset class, per il comparto retail, ed oltre un terzo afferma di aver cambiato strategia di approccio e investimento, con una propensione per il 30% degli stessi ad effettuare investimenti per oltre 100 milioni di euro ciascuno nei prossimi 12 mesi, a testimonianza di un ritorno di appeal del comparto e delle performance positive dei retailer all’interno dei centri commerciali.Dall’analisi si riscontrano performance positive nei centri commerciali per circa l’80% degli intervistati, con benefici registrati in termini di incremento dell’occupazione degli spazi e dei canoni. I gestori e gli operatori specializzati dichiarano di essere pronti, nei prossimi 12 mesi, ad impiegare risorse in media pari al 35% delle masse in gestione o di proprietà per interventi di valorizzazione degli asset, di cui circa il 50% destinato a interventi di efficientamento energetico. LEGGI TUTTO

  • in

    Commerz alza il prezzo, ma non chiude

    Ascolta ora

    Da Francoforte si preparano a vendere cara la pelle all’italiana Unicredit. Nessuno si aspettava un tappeto rosso per il tentativo di scalata di Andrea Orcel, ma l’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Handelsblatt dal presidente del consiglio di sorveglianza di Commerzbank, Jens Weidmann, fa sembrare il fronte tedesco quasi una scalata all’Everest. Eppure la porta non è chiusa. «Come in ogni relazione, se l’inizio non è dei migliori, diventa difficile proseguire», ha detto Weidmann, ex presidente della Bundesbank (la banca centrale tedesca) dal 2011 fino alla fine del 2021.«Ci vorrebbe molto lavoro per creare abbastanza fiducia e consentire discussioni aperte», ha aggiunto il banchiere. Questo passaggio, infatti, è una sfumatura di significato che ambienti vicini alla banca italiana interpretano quanto meno come disponibilità a parlarne. Non è stato detto, infatti, che l’operazione non è possibile oppure che non è industrialmente valida (anche perché lo sarebbe eccome). «Cosa penso delle potenziali sinergie con Unicredit? Per valutarle, è necessario avere una visione dettagliata delle intenzioni dell’acquirente, delle strategie e dei suoi piani. Al momento, mancano molte di queste informazioni. Non possiamo speculare su qualcosa di così fondamentale». Insomma, il messaggio è chiaro: venite e spiegateci le vostre intenzioni, poi vedremo. «Quando si tratta di fusioni, è importante che i dirigenti parlino inizialmente tra loro in modo fiducioso e sviluppino un’intesa comune. Unicredit ha deciso di non farlo e ci ha sorpreso con il suo ingresso. Non è uno stile corretto».Il riferimento è a quando, nel settembre del 2024, Unicredit ha rilevato un primo 4,5% del secondo istituto tedesco dalla dismissione di una parte della partecipazione del governo federale. A luci spente, però, l’istituto italiano che in Germania è proprietario della terza banca del Paese, Hvb ha rastrellato un altro 4,5% sul mercato salendo al 9% del capitale. Una mossa che aveva provocato polemiche all’interno del traballante governo guidato da Olaf Scholz, il quale si era precipitato a definire «ostile» l’operazione di Unicredit. L’istituto di Piazza Gae Aulenti ha poi chiesto autorizzazione alla Bce per salire fino alla fatidica soglia del 30% e, nel frattempo, ha arrotondato la sua quota potenziale al 28% tramite strumenti derivati. Aspetto che peserà nell’assemblea dei soci del 15 maggio: se Unicredit convertisse i derivati, potrebbe anche avere già ora la maggioranza nell’assemblea – che tornerà a essere in presenza – se l’affluenza dovesse essere del 56% come è avvenuto l’anno scorso. LEGGI TUTTO

  • in

    Ora è la Gran Bretagna a temere lo spread. La sterlina sotto attacco degli hedge fund

    Ascolta ora

    Lo spread fra i titoli di Stato britannici decennali e i Bund tedeschi è schizzato a 227 punti, con i gilt decennali che rendono il 4,86% (ai massimi da 17 anni). Per intenderci, oltre un punto di più dei Btp decennali italiani che, almeno all’epoca ormai lontana della crisi del debito sovrano, erano sotto i riflettori dei mercati. Dal 2011 sembra passato un secolo e oggi il mondo sembra rovesciato con la Gran Bretagna a essere bersagliata sui mercati finanziari: la settimana per il neo governo laburista di Keir Starmer (in foto) è iniziata sotto i peggiori auspici con la caduta della sterlina e l’allarme del debito, ma soprattutto con il rischio che la persistente incertezza possa a un certo punto scatenare il panico nei mercati. Il termometro della situazione problematica, derivante dal mix del livello di indebitamento, dell’inflazione ancora sopra il target della Bank of England e del Pil a crescita zero, continua a essere la divisa britannica, scesa ieri fino a 1,21 sul dollaro, il minimo dal 10 marzo del 2023, mentre i trader scommettono su un nuovo calo sotto la quota di 1,20. LEGGI TUTTO