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    Se fai uno di questi lavori puoi andare in pensione a 61 anni. Ecco di quali si tratta

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    L’Istituto nazionale di previdenza sociale ha fornito ai contribuenti le linee guida per poter presentare le istanze di riconoscimento di lavori usuranti, per far sì che gli aventi diritto alla pensione abbiano la possibilità di inviare la documentazione necessaria entro il termine ultimo previsto. Nel caso in cui i potenziali beneficiari raggiungano i requisiti richiesti per il pensionamento nel 2026, ci sarà tempo di presentare l’istanza non oltre il 1° maggio 2025.Come precisato inoltre dall’Inps nel messaggio 801, l’iniziativa riguarda anche i dipendenti del settore privato i quali, avendo svolto mansioni pesanti e faticose, arrivino a maturare il diritto alla pensione cumulando i contributi versati in una delle gestioni speciali create per i lavoratori autonomi. Ma quali categorie di lavori sono interessate da questa iniziativa?L’Inps parla di “Lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti; lavoratori addetti alla cosiddetta ‘linea catena’; conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo”. Per beneficiare del diritto di pensione anticipata da attività usuranti, i lavoratori rientranti in questa prima categoria devono aver raggiunto questi parametri:lavoratori dipendenti: anzianità contributiva di almeno 35 anni, età anagrafica di almeno 61 anni e 7 mesi, raggiungimento di quota 97,6 derivante dalla somma tra l’anzianità contributiva e l’età anagrafica;lavoratori autonomi: anzianità contributiva di almeno 35 anni, età anagrafica di almeno 62 anni e 7 mesi, raggiungimento di quota 98,6.La seconda categoria è rappresentata invece dai lavoratori notturni a turni, tra cui si possono distinguere:gli occupati per un numero di giorni lavorativi pari o superiori a 78 all’anno: costoro hanno diritto di conseguire il trattamento pensionistico qualora rientranti nei requisiti richiesti per i lavoratori impegnati in attività faticose e pesanti;gli occupati per un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 all’anno: se si tratta di dipendenti sono necessarie un’anzianità contributiva di almeno 35 anni, un’età di almeno 63 anni e 7 mesi e il raggiungimento di quota 99,6, se si tratta di autonomi si richiede un’anzianità contributiva di almeno 35 anni, un’età di almeno 64 anni e 7 mesi e il raggiungimento di quota 100,6;gli occupati per un numero di giorni lavorativi da 72 a 77 all’anno: in questo caso si richiedono un’anzianità contributiva di almeno 35 anni, un’età di almeno 62 anni e 7 mesi e il raggiungimento di quota 98,6 (per i dipendenti) o un’anzianità contributiva di almeno 35 anni, un’età di almeno 63 anni e 7 mesi e il raggiungimento di quota 99,6 (per gli autonomi).Chiunque dovesse rientrare in questi parametri tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2026 può presentare domanda entro il 1° maggio 2025: in caso di ritardo, la decorrenza del trattamento pensionistico differirà di un mese (ritardo fino a 1 mese), di due mesi (ritardo superiore a 1 ma inferiore a 3 mesi) o di tre mesi (ritardo superiore ai 3 mesi). LEGGI TUTTO

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    Mutui, scopri quanto si può risparmiare con i nuovi tassi

    Il mercato dei mutui ha registrato una fase di forte dinamismo nei primi tre mesi del 2025, trainato dal progressivo calo dei tassi di interesse avviato lo scorso anno grazie ai tagli della Banca centrale europea (Bce). Le sei riduzioni del costo del denaro decise da Francoforte a partire da giugno 2024 hanno favorito in particolare i mutui a tasso variabile, il cui Tan medio è sceso di oltre un punto percentuale rispetto a dodici mesi fa.A marzo 2024, il Tan medio dei finanziamenti a tasso variabile con durata di 20 e 30 anni si attestava al 4,84%, mentre oggi si ferma al 3,69%, secondo i dati dell’Osservatorio di MutuiOnline.it. Questa riduzione si traduce in un risparmio significativo per i mutuatari: per un mutuo a 20 anni da 140.000 euro, la rata mensile è passata da 912 euro a 826 euro, con un risparmio complessivo sulla durata del finanziamento di oltre 20.600 euro.Il tasso fisso resta il più convenienteNonostante il calo del variabile, i mutui a tasso fisso si confermano più vantaggiosi. A marzo 2025, il Tan medio per questa tipologia di finanziamento è pari al 2,82%, con una rata mensile di 764 euro, ovvero 62 euro in meno rispetto al variabile. Il risparmio totale rispetto a un mutuo variabile della stessa durata ammonta a quasi 15.000 euro.La tendenza del tasso fisso segue l’andamento dell’inflazione, con il Tan che ha iniziato a scendere già alla fine del 2023. A marzo 2024, la rata media per un mutuo fisso con parametri analoghi era di 778 euro (Tan 3,02%), ovvero 14 euro in più rispetto ad oggi, determinando una spesa complessiva superiore di circa 3.350 euro.Se il divario tra fisso e variabile rimane netto, negli ultimi mesi la forbice si sta riducendo gradualmente. Questo perché, mentre il variabile continua la sua discesa, il fisso si mantiene stabile. Un aspetto determinante in questo equilibrio è il calo degli indici di riferimento: gli Euribor a 1 e 3 mesi sono scesi di oltre 150 punti base nell’ultimo anno, raggiungendo a marzo il 2,34% e il 2,33% rispettivamente. Per la prima volta dall’inizio del 2023, questi valori sono inferiori agli Irs a 20 e 30 anni, gli indicatori di riferimento per i mutui a tasso fisso.Previsioni: variabile in recupero?Secondo le curve di forward dell’Euribor, il trend di discesa dei tassi proseguirà fino alla fine del 2025, con la previsione di un valore inferiore al 2% tra settembre e ottobre. Per quanto riguarda l’Irs a 20 e 30 anni, l’andamento dovrebbe restare stabile almeno fino a dicembre, sebbene le incertezze di mercato rendano ogni previsione complessa.Un ulteriore elemento da considerare è lo spread applicato dalle banche agli indici di riferimento. Attualmente, gli istituti di credito favoriscono il tasso fisso, applicando uno spread inferiore rispetto al variabile. Tuttavia, storicamente la tendenza è stata opposta, con spread più alti per i mutui a tasso fisso. Se questa dinamica dovesse ripetersi, i tassi variabili potrebbero tornare competitivi più rapidamente del previsto.”Nel mese di marzo il divario tra la media dei tassi fissi e variabili è aumentato a 87 punti base (da 79 di febbraio), nonostante l’Euribor sia sceso sotto l’Irs per la prima volta da marzo 2023. Questo rende evidente che il riequilibrio dei due tassi in questo momento è possibile, ma dipende dalle scelte commerciali delle banche, ossia dallo spread che scelgono di applicare alle diverse offerte”, commenta Nicoletta Papucci, portavoce di MutuiOnline.it.”Nell’attuale contesto incerto, con la tensione geopolitica che limita investimenti e consumi e rappresenta una delle incognite più grandi per l’andamento economico nel prossimo futuro, le istituzioni bancarie preferiscono continuare a favorire il tasso fisso, scelta sicuramente meno rischiosa. Prevedere con precisione quando il variabile supererà il fisso risulta dunque complicato: le politiche commerciali degli Stati Uniti impongono cautela e le stime di ulteriori tagli dei tassi da parte della Bce sono in discussione. Per chi deve accendere un mutuo in questo momento, il tasso fisso resta la soluzione migliore dal momento che è abbondantemente sotto il 3%, cioè su livelli storicamente più che accettabili. Il tasso variabile, quando tornerà competitivo, aggiungerà solo ulteriori opzioni per i mutuatari”, conclude.Preferenze e durata dei mutuiLe rilevazioni dell’Osservatorio di MutuiOnline.it evidenziano che la quasi totalità dei consumatori continua a preferire il tasso fisso, che rappresenta il 99,6% delle richieste nel primo trimestre del 2025.Si registra, inoltre, un aumento delle richieste di surroga del mutuo, che passano dal 35,8% dell’ultimo trimestre del 2024 al 37,6% nei primi tre mesi del nuovo anno. L’acquisto della prima casa rimane la motivazione principale per la stipula di un mutuo, con una quota del 53,4% delle richieste totali.Per quanto riguarda la durata dei finanziamenti, questa ha raggiunto i livelli più alti dal 2021, attestandosi in media a 24 anni e 8 mesi tra gennaio e marzo. L’importo medio richiesto rimane stabile a 144.519 euro, così come il valore medio degli immobili, che si ferma a 230.618 euro. LEGGI TUTTO

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    Giornata Nazionale del Made in Italy, il Ministro Adolfo Urso incontra l’industria agroalimentare italiana

    Paolo Mascarino Presidente di Federalimentare

    In occasione della Giornata Nazionale del Made in Italy (#giornatamadeinitaly2025), che si terrà il 15 aprile, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato presso la sede dell’Unione Parmense degli Industriali (U.P.I.) a Parma i rappresentanti dell’industria agroalimentare italiana.In cima alle preoccupazioni dell’industria agroalimentare italiana l’introduzione dei dazi americani e il loro impatto sul commercio mondiale, lo sviluppo dell’export, la promozione del Made in Italy, la competitività dell’industria e la crescente rilevanza del Green & Tech, ovvero l’importanza della transizione tecnologica dell’agroalimentare per un’industria più sostenibile e innovativa.Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha osservato: “L’incontro di oggi è particolarmente significativo in vista della Giornata Nazionale del Made in Italy, che abbiamo istituito per celebrare il genio italiano. Identità e innovazione sono i due asset strategici a cui aggiungo internazionalizzazione. Alle tradizionali caratteristiche del nostro prodotto, bello, buono e ben fatto, va aggiunta anche la sostenibilità per affrontare al meglio le numerose sfide sul piano globale. L’agroalimentare è un settore trainante, che ci ha fatto diventare grandi nel mondo. Oggi siamo il quarto Paese esportatore proprio grazie all’alimentazione e anche alla farmaceutica. Siamo un grande attore e possiamo esserlo sempre più nel futuro. Nel 2024 i nostri lavoratori hanno recuperato il potere d’acquisto sia perché l’inflazione è diminuita, sia perché si sono firmati numerosi contratti collettivi nazionali. È stato un anno di svolta in cui è cresciuta anche la produttività e gli investimenti esteri nel nostro Paese.Inoltre, abbiamo insediato il tavolo sull’agroindustria nell’ottica di favorire una visione di sistema indispensabile per il rilancio e la tutela del comparto. Il Governo è in prima fila per contrastare il Nutriscore, uno strumento che danneggia le eccellenze Made in Italy. Dobbiamo capire che dopo la guerra fredda e la piena globalizzazione siamo in una nuova fase. Oggi occorre affrontare la realtà in considerazione anche dei dazi. Si tratta di una materia che rientra nella competenza europea, pertanto, chiederemo cautela nel reagire ai dazi con altri dazi per evitare un impatto negativo che colpirebbe fortemente un Paese come il nostro. Ragioniamo con responsabilità per utilizzare misure più efficaci nel convincere gli Stati Uniti a cambiare o ridurre le minacce daziarie. È opportuno accelerare la stipulazione di accordi bilaterali di libero scambio per accompagnare le nostre imprese in nuovi mercati in crescita nell’area indopacifica, puntando anche all’Africa e all’America Latina. Vanno, infine, previste misure compensative per i settori più esposti, e, soprattutto, bisogna puntare su una nuova politica industriale che tuteli il mercato interno”.Secondo Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare: “La giornata odierna riveste una importanza strategica per il mondo dell’industria agroalimentare e per le nostre filiere. La presenza del ministro Urso testimonia la vicinanza del Governo al mondo dell’industria agroalimentare e questo rappresenta un elemento di grande fiducia e di attenzione. Il Made in Italy identifica l’italianità nel mondo, è uno dei migliori ambasciatori all’estero per qualità, sicurezza e sostenibilità dei prodotti com’è dimostrato dai dati dell’export, che nell’ultimo anno è cresciuto dell’8,6%. Tuttavia, le fibrillazioni che arrivano da Occidente e da Oriente ci spingono a riflettere su quali strategie dovremo adottare per restare competitivi e per continuare a incidere positivamente sul PIL nazionale. Come industria abbiamo bisogno di certezze per poter programmare gli investimenti, e di politiche nazionali e comunitarie che ci proteggano. In questo scenario, l’eventuale applicazione dei dazi americani al nostro export ci preoccupa. Ulteriore elemento che ci preoccupa è la Sugar Tax. Per noi è fondamentale che l’introduzione della tassa venga prorogata almeno di un anno ma auspichiamo che nel corso della legislatura, e nelle future Leggi di Bilancio, si possano trovare le coperture finanziarie strutturali per eliminarla definitivamente. Concludo confermando che Federalimentare è pronta a collaborare con il Governo per affrontare le sfide del presente e per continuare a costruire un futuro in cui l’industria alimentare italiana possa crescere, innovare e rappresentare con orgoglio il nostro Paese nel mondo”. Il Presidente di Confindustria Emilia-Romagna, Annalisa Sassi, ha affermato: “Il settore agroalimentare rappresenta uno degli elementi portanti del Made in Italy ed è asset fondamentale della competitività dell’industria italiana nel mondo. Il commercio estero gioca un ruolo centrale: occorre una politica industriale che utilizzi in modo sinergico tutti gli strumenti per mettere le imprese nelle migliori condizioni di continuare a investire ed esportare, dagli accordi commerciali alla promozione sino alle infrastrutture strategiche. Il momento è complesso e richiede grande capacità di adattamento. Dobbiamo fare tutto il possibile per rilanciare l’eccellenza del settore a livello internazionale, anche individuando nuove opportunità e mercati grazie allo spirito di collaborazione e creatività che ci contraddistingue. Per questo guardiamo con attesa positiva alla definizione di una visione e di una strategia di sviluppo per l’industria italiana nel mondo”.Per Gabriele Buia, Presidente Unione Parmense degli Industriali: “Con oltre mille imprese e 15mila dipendenti, un fatturato di 9,2 miliardi di euro e un valore delle esportazioni pari al 5% del totale nazionale, il comparto alimentare parmense rappresenta un unicum nel panorama italiano per qualità, diversificazione e apprezzamento dei suoi tanti prodotti sulle tavole di tutto il mondo. Un immenso patrimonio che contribuisce alla riconoscibilità internazionale del Made in Italy e che anche per questo va valorizzato”. LEGGI TUTTO

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    Debiti col Fisco? Cambia tutto: ecco quando e come scatta lo stop allo stipendio

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    A partire dal prossimo anno, stante quanto determinato all’interno della legge di Bilancio 2025, i dipendenti pubblici che dovessero aver maturato debiti nei confronti del Fisco aldilà di una determinata soglia potrebbero subire il blocco dello stipendio e delle altre indennità previste dal contratto: se l’ammanco nei confronti dell’Erario dovesse superare il tetto fissato dalla misura, la Pubblica amministrazione sarebbe autorizzata quindi a interrompere l’erogazione degli emolumenti.”Le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento”, si legge all’art.1 commi 84/85 della legge di Bilancio, sono bloccate per tutti coloro i quali incassano più di 2.500 euro mensili complessivi qualora il debito con l’Agenzia delle entrate varcasse la soglia di 5mila euro. Ovviamente, anche in questo caso, vengono rispettati tutti i parametri delle norme già previste per legge per quanto concerne la pignorabilità di stipendi e pensioni, valutando caso per caso.Come detto, solo chi tra stipendio e indennità varie raggiunge i 2.500 euro sarebbe a rischio in caso di debiti superiori ai 5mila euro. Sembrano dei parametrei stringenti, eppure in realtà, stando a quanto comunicato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, sono oltre 250mila i dipendenti pubblici ad aver accumulato un ammanco di oltre 5mila euro con l’Erario. In questo gruppo sono circa 30mila gli statali a percepire emolumenti del peso medio di 3.500 euro: bastano questi dati a comprendere come l’applicazione di questa nuova misura potrebbe portare il Fisco a incassare somme decisamente importanti.Secondo il nuovo regolamento inserito in Manovra, nel caso in cui il dipendente pubblico rientrante nei parametri ivi stabiliti risultasse debitore nei confronti del Fisco, sarebbe l’Agenzia delle Entrate Riscossione a provvedere a bloccare l’erogazione degli emolumenti, trattenendo la quota necessaria sulla base di quanto percepito dal debitore.Per stipendi superiori a 2.500 euro lo stop sarebbe di un settimo dell’importo fino al saldo dell’intero ammanco, mentre per quegli emolumenti una tantum, come accade ad esempio per le tredicesime, il blocco sarebbe pari a un decimo. Chi percepisce, ad esempio, 3.500 euro, vedrà trattenere 500 euro ogni mese fino al saldo del debito, mentre per coloro i quali incassano 1.500 euro e raggiungono quota 2.500 solo con la tredicesima, il pignoramento sarebbe mediamente di 150 euro ogni mese. LEGGI TUTTO

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    Bollo auto pagato o scaduto? Tutti i modi per controllarlo ed essere sicuri

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    Quando ci spostiamo con la nostra auto, siamo tenuti ad accertarsi che tutto sia in regola, anche dal punto fiscale: ecco perché è importante sapere se siamo o meno in regola anche con il pagamento del bollo, la tassa automobilistica che sono tenuti a versare tutti coloro che possiedono un veicolo.Attualmente il bollo è un tributo regionale, dunque gestito dalle singole Regioni, che viene calcolato in base alla potenza della vettura e alle emissioni inquinanti della stessa. La tassa può variare a seconda della Regione, pertanto, in caso di trasferimento, spetterà al possessore dell’auto informare le amministrazioni locali, proprio come accade per le assicurazioni dell’automobile.Circolare senza bollo auto pagato può portare a delle sanzioni. Per assicurarsi che il pagamento sia stato effettuato, è possibile consultare il portale dell’Automobile club d’Italia (Aci), dove si trova una specifica funzione che consente la verifica: basta inserire il numero di targa del veicolo e la Regione di residenza. C’è inoltre la possibilità di consultare l’app Aci Space, per iOS e Android. Ci sono poi delle Regioni che offrono dei servizi online dedicati sui proprio portali a cui è possibile accedere mediante CIE o SPID. In alternativa ci si può recare di persona agli uffici dell’Aci territoriale, a un’agenzia di pratiche auto e presso i tabaccai convenzionati. Altra cosa da considerare è che, trattandosi di un’imposta regionale, tempi e modalità del pagamento del bollo possono variare a seconda del territorio.Questa imposta deve essere versata annualmente, e la scadenza è fissata per l’ultimo giorno del mese successivo a quello di immatricolazione. Si può pagare dal sito dell’Aci, ma anche presso gli uffici postali, nelle tabaccherie, in banca e presso le agenzie di pratiche auto. LEGGI TUTTO

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    Confindustria: crescita debole e incertezza record. Rischio declino strutturale per l’industria

    La crescita dell’economia italiana rallenta e il recupero si allontana. Il Centro Studi Confindustria (Csc), nelle sue previsioni di primavera, ha rivisto al ribasso le stime per il Pil del 2025, che crescerà solo dello 0,6% rispetto al +0,9% atteso in precedenza. Per il 2026, il Pil dovrebbe attestarsi all’1%, ma lo scenario è fortemente condizionato dall’incertezza globale, ai massimi storici, e dalle tensioni commerciali legate all’inasprimento delle politiche protezionistiche.Secondo il Csc, il peggioramento del quadro economico è legato a diversi fattori: la debolezza della domanda nell’Eurozona, l’elevato costo dell’energia, l’andamento dell’industria manifatturiera in crisi e la crescente frammentazione del commercio internazionale, aggravata dalla nuova ondata di dazi e ritorsioni tariffarie. Il rischio di un’ulteriore escalation protezionistica – che potrebbe comportare l’imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni Usa e del 60% dalla Cina, con conseguenti ritorsioni europee – potrebbe deprimere ancora di più la crescita. In questo scenario, il Pil italiano potrebbe ridursi di un ulteriore 0,4% nel 2025 e di 0,6% nel 2026, portando la crescita ai livelli minimi di +0,2% e +0,4% nei due anni.Industria in crisi: il declino rischia di diventare strutturaleLa situazione è particolarmente critica per l’industria italiana, dove il calo produttivo registrato tra il 2022 e il 2024 (-8,2%) solleva timori di un declino strutturale. La crisi non è solo italiana, ma internazionale, e colpisce in particolare settori chiave come l’automotive, la moda e la lavorazione dei metalli. L’industria manifatturiera italiana, al netto di questi settori, ha registrato una riduzione moderata (-1,5%) nel 2024, una performance migliore rispetto alla Germania (-2,6%) ma peggiore rispetto alla Spagna (+1,6%).Le cause della debolezza industriale sono molteplici:La crisi tedesca: il rallentamento dell’economia della Germania, primo partner commerciale dell’Italia, ha un impatto significativo sulle esportazioni e sulle filiere produttive.Domanda debole in Europa: dopo anni di alta inflazione e tassi di interesse elevati, i consumi restano contenuti e il mercato interno fatica a ripartire.Cambio delle preferenze dei consumatori: le famiglie spendono di più nei servizi e meno nei beni, penalizzando la manifattura.Costo elevato dell’energia: in Italia e in Europa i prezzi restano alti rispetto ai competitor internazionali, riducendo la competitività delle imprese.Nonostante questo quadro negativo, il Csc sottolinea che la crisi dell’industria italiana è principalmente una crisi di produzione, mentre il valore aggiunto (-3,5% tra il 2022 e il 2024), gli investimenti e le esportazioni hanno retto meglio. Inoltre, l’occupazione nel settore è addirittura aumentata, grazie a una possibile ricomposizione verso comparti a maggiore valore aggiunto e a un miglioramento della qualità delle produzioni. Tuttavia, il rischio di una perdita strutturale di competitività è concreto e richiede interventi mirati per rilanciare il settore.Dazi e protezionismo: l’incertezza ai massimi storiciLe tensioni commerciali globali stanno alimentando un clima di incertezza senza precedenti, con gravi ripercussioni sugli investimenti e sugli scambi lungo le filiere produttive. L’America First Trade Policy della nuova amministrazione Trump si preannuncia ancora più aggressiva rispetto al primo mandato, con un aumento dei dazi su acciaio e alluminio al 25% e possibili tariffe del 25% su tutte le importazioni statunitensi, comprese quelle europee. Se questo scenario dovesse concretizzarsi, l’export italiano di acciaio e alluminio verso gli Stati Uniti subirebbe un calo medio del 5%, con un impatto negativo sull’intera economia.Gli Stati Uniti rappresentano un mercato fondamentale per l’Italia: nel 2024, l’export di beni verso gli Usa ha superato i 65 miliardi di euro, pari a oltre il 10% delle esportazioni totali. Tra il 2019 e il 2023, l’aumento delle esportazioni verso gli Usa ha contribuito per 4,5 punti alla crescita complessiva dell’export italiano (+30% cumulato). I settori più esposti alle misure protezionistiche americane sono farmaceutica, bevande, autoveicoli e altri mezzi di trasporto.Per Confindustria, la priorità è avviare un dialogo con Washington per ridurre l’impatto dei nuovi dazi, ma anche rafforzare la competitività europea per evitare la fuga di capitali verso gli Stati Uniti, un fenomeno già in atto e destinato ad accelerare con l’inasprirsi delle politiche protezionistiche. Dal 2022, nel mondo sono state varate oltre 3.400 misure protezionistiche all’anno, quasi 3.000 in più rispetto al periodo pre-2020, minando la struttura stessa degli scambi e della produzione globali.Occupazione e produttività: segnali di stabilità, ma per quanto?Nonostante la crescita economica debole, il mercato del lavoro italiano ha mostrato una tenuta sorprendente. Nel 2024, il tasso di disoccupazione si è attestato al 6,5%, in calo rispetto al 7,6% del 2023, e si prevede una ulteriore riduzione al 6,3% nel 2025 e al 5,8% nel 2026. Questo grazie a un’occupazione ancora in crescita e a una forza lavoro in espansione (+0,4% annuo). Tuttavia, la dinamica della produttività resta un punto critico: dopo i forti cali del 2023 e 2024 (-1,7% e -1,6%), si prevede un recupero modesto nel 2025 e 2026 (+0,2% medio annuo). Il Centro Studi Confindustria avverte che il mercato del lavoro potrebbe essere vicino a un punto di svolta: finora, la tenuta dell’occupazione si è accompagnata a una crescita debole, ma per quanto tempo questo equilibrio potrà reggere?Energia e competitività: l’Europa rischia di restare indietro LEGGI TUTTO

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    Bruxelles a gamba tesa sulle nostre banche

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    “L’Europa ci scippa le banche” è il titolo di Libero secondo cui la “Direzione generale della stabilità finanziaria, dei servizi finanziari e dell’Unione dei mercati dei capitali” ha inviato all’Italia una lettera in cui si afferma che il governo non deve esaminare il dossier dell’operazione di Unicredit sul Banco Bpm perché «negli Stati membri che fanno parte dell’Unione Bancaria come l’Italia, la Bce è l’unica autorità competente a valutare l’acquisizione di partecipazioni qualificate in enti creditizi ai sensi dell’articolo 127, paragrafo 6, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e del Regolamento (UE) n. 1024/2013».La lettera è firmata dal capo dell’unità, Almorò Rubin De Cervin, il quale sostiene che «l’applicazione di norme nazionali in materia di golden power deve rimanere entro i limiti delle disposizioni del Trattato che disciplinano le libertà fondamentali, il mercato interno e le competenze specifiche della Bce. A tale riguardo, le norme nazionali in materia di “golden power” non dovrebbero essere applicate in assenza di una minaccia reale e sufficientemente grave a un interesse fondamentale della società (…), né dovrebbero essere applicate quando possono violare le norme dell’Ue che armonizzano il mercato interno e le norme in base alle quali le banche operano in tale mercato (CRD), né dovrebbero applicarsi là dove violino le norme che attribuiscono poteri alla Bce». LEGGI TUTTO