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    Ilva verso un’altra gara in cerca di un “cavaliere”

    Otto milioni di tonnellate di acciaio green da produrre in Italia ogni anno, delle quali sei a Taranto. Questo l’obiettivo del governo indicato nel piano di decarbonizzazione presentato ai sindacati in un incontro al ministero delle Imprese alla vigilia del vertice con gli enti locali sull’accordo interistituzionale necessario alla nuova autorizzazione ambientale e sanitaria Aia. Il piano prevede tre forni elettrici nell’acciaieria pugliese e uno a Genova più quattro impianti per la produzione del preridotto che è necessario ad alimentare i nuovi forni, da realizzare a Taranto (se accetterà di ospitare una nave rigassificatrice) o in un altro territorio del Mezzogiorno, forse Gioia Tauro. Sarà comunque necessaria una nuova gara per trovare un acquirente. Il bando attuale, giunto alla trattativa in esclusivacon gli azeri di Baku Steel, andrà aggiornato alle nuove condizioni del piano che impongono tempi più rapidi per la decarbonizzazione, tagliati da dodici a sette o otto anni. Lo ha confermato il ministro Adolfo Urso che ha indicato la volontà di adeguare il concorso «già a fine luglio». È «verosimile», secondo il ministro che alla luce della programmata decarbonizzazione «si manifestino ulteriori partner internazionali». I sindacati però chiedono certezze. «Prima di apporre qualsiasi firma a un accordo, chiediamo che ci siano le garanzie per quanto riguarda il destino degli stabilimenti ma soprattutto dei lavoratori», ha avvisato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. «Chiediamo di governare la transizione», ha spiegato il leader della Fim Cisl, Ferdinando Uliano. Mentre il capo della Fiom Cgil, Michele De Palma ha chiesto che sia un «capitale pubblico» a gestire la transizione LEGGI TUTTO

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    Unicredit-Bpm, l’avvertimento della Ue

    L’imminente arrivo della lettera della Dg Competition era già trapelato, ieri però la missiva è stata effettivamente recapitata all’Italia in merito al decreto Golden Power sull’Offerta pubblica di scambio di Unicredit su Banco Bpm. Secondo Bruxelles, ci sarebbero dubbi sul fatto che il Dpcm emanato dalla presidenza del Consiglio lo scorso 18 aprile «soddisfi effettivamente […] LEGGI TUTTO

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    Nagel alzo zero contro tutti. “Troppe anomalie nell’Ops”

    Nel primo giorno dell’Offerta pubblica di scambio su Mediobanca, partita ieri, il ceo del Monte dei Paschi, Luigi Lovaglio, è volato a Londra per un nuovo giro di incontri con gli investitori esteri. Il banchiere sarà nella City per tutta la settimana e poi dovrebbe partire alla volta di New York per una tappa del roadshow sull’operazione che si concluderà l’8 settembre e che prevede 2,533 azioni Mps per ogni titolo di Piazzetta Cuccia. In Piazza Affari ieri le azioni di Rocca Salimbeni hanno chiuso la seduta in rialzo dell’1,4% a 7,011 euro, quelle della banca milanese sono invece rimaste invariate a 18,25 euro.A sua volta il ceo di Mediobanca, Alberto Nagel, ieri pomeriggio ha tenuto la conferenza telefonica con gli analisti annunciata venerdì. Nel corso della presentazione, Nagel ha ripercorso gli esiti del cda della settimana scorsa che ha bocciato l’Ops di Siena. Ha anche approfittato dell’occasione per lanciare nuove stoccate contro il Monte, gli azionisti Delfin e Caltagirone non risparmiando nemmeno il governo.Ben nove slide sono state dedicate ai “rischi significativi” di una fusione con Mps che, ha sottolineato il banchiere, “sfortunatamente” presenta “una storia travagliata” segnata da “aumenti di capitale per 25 miliardi negli ultimi 20 anni” avendo inoltre “eroso la quota di mercato di circa un terzo nell’ultimo decennio sia sui prestiti che sui depositi”. Il Monte, si legge inoltre nelle slide della presentazione, potrebbe danneggiare le attività specializzate di Mediobanca con “una significativa diluizione del marchio, della reputazione e del franchising non apportando alcun miglioramento all’offerta ai clienti”. Nagel ha quindi puntato il dito sulla “governance complessa” caratterizzata da “una struttura piramidale” che si verrebbe a creare con una eventuale integrazione fra Mps e Mediobanca perché i due azionisti Delfin e Caltagirone avrebbero “una presenza significativa in tre istituzioni finanziarie sistemiche”, ossia, Mediobanca, Mps e Banca Generali. Toni forse ancor più duri di quelli già usati quando Siena ha lanciato la scalata a Piazzetta Cuccia. “Questo tipo di offerta non è lo standard, ci sono vari elementi anomali, forse troppi”, ha detto agli analisti. Citando il modo con cui l’ultima tranche di azioni Mps sono state vendute (lo scorso novembre), “con la presenza di due grandi azionisti che sono entrati contemporaneamente nel capitale della banca”, quindi secondo Nagel “questa operazione è stata preparata, votata e sostenuta da tutti i principali azionisti, compreso il governo”. Governo che, ha poi aggiunto il banchiere, “sta ricoprendo più ruoli contemporaneamente” e “questa situazione, in cui è azionista di maggioranza del Monte Paschi, controlla di fatto il cda e usa il golden power, ha fatto sì che diversi attori in Italia, direttamente o indirettamente, decidessero di sostenere questa operazione”. LEGGI TUTTO

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    Dazi USA, Istituto Friedman: “No alla guerra delle tariffe, l’unica soluzione è la libertà economica”

    “L’Istituto Milton Friedman esprime forte preoccupazione per i dazi del 30% imposti dal Presidente Trump alle importazioni dall’Unione Europea, in vigore dal 1° agosto 2025. Seguendo i principi del nostro riferimento, il premio Nobel Milton Friedman, ribadiamo che il protezionismo è una politica economicamente dannosa, che penalizza i consumatori e frena la prosperità. Questi dazi […] LEGGI TUTTO

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    È possibile guidare un’auto in ciabatte o a piedi nudi? Cosa dice il Codice della strada

    Con l’arrivo della stagione estiva e l’incremento delle temperature è sempre più frequente avere a che fare con automobilisti che si mettono al volante, per questioni di comodità, indossando un paio di pantofole o di infradito oppure stando direttamente a piedi nudi. Una pratica comune e più diffusa di quanto si possa immaginare, specie tra i vacanzieri che si spostano in auto per raggiungere la spiaggia e godersi una giornata al mare, ma cosa dice il Codice della strada? È lecito farlo?Iniziamo innazitutto col dire che attualmente non è previsto alcun genere di divieto nel CdS: non esiste, cioè, alcuna norma specifica che impedisca a un automobilista di guidare stando scalzo oppure indossando ciabatte, sandali o infradito, e lo stesso discorso vale per le scarpe con i tacchi.L’unico riferimento al tema che si può in un certo senso riferire a questa specifica problematica è quanto indicato al comma 2 dell’articolo 141 del Codice della strada: “Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile”. Un altro richiamo si può cogliere al comma 1 dell’articolo 169: “In tutti i veicoli il conducente deve avere la più ampia libertà di movimento per effettuare le manovre necessarie per la guida”.In poche parole, andando a prendere in esame la conduzione di un mezzo a quattro ruote scalzi o in ciabatte, l’unico elemento di cui tener conto è quello di trovarsi a guidare in condizioni di massima sicurezza, per sé e per gli altri automobilisti. Si può pertanto fare esclusivamente affidamento sul buon senso del conducente di turno, il quale deve essere in grado di scegliere l’abbigliamento giusto, accessori come scarpe o ciabatte inclusi, per guidare in assoluta sicurezza.Se da un lato, quindi, le forze dell’ordine non hanno alcun riferimento per sanzionare un automobilista a seconda del tipo di calzatura selezionata, oppure nel caso in cui decida di guidare scalzo, potrebbe non valere altrettanto anche per le assicurazioni. In caso di sinistro, qualora dovesse essere menzionata dagli agenti tra le cause anche la scelta della calzatura da parte del responsabile, l’azienda potrebbe rivalersi su di esso tentando di non liquidare il danno o di rifondarne solo una parte. LEGGI TUTTO

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    Unicredit-Bpm, lettera dell’Ue all’Italia. Palazzo Chigi: “Risponderemo con spirito collaborativo”

    C’è una novità importante sul fronte dell’acquisizione del Banco Bpm. La Commissione europea ha inviato una lettera all’Italia in cui esprime il proprio parere preliminare secondo cui il decreto emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 18 aprile 2025, che impone determinati obblighi all’entità risultante dalla fusione derivanti dall’acquisizione di Banco Bpm, “potrebbe costituire una violazione dell’articolo 21 del Regolamento Ue sulle concentrazioni e di altre disposizioni del diritto dell’Ue”. Lo ha reso noto il portavoce della Commissione Europea durante il consueto briefing quotidiano a Bruxelles.Nel dettaglio la nota dell’esecutivo Ue precisa che “dal punto di vista della concorrenza, la Commissione ha approvato l’operazione ai sensi dell’Eumre, subordinatamente a determinate condizioni, il 19 giugno 2025. Separatamente, l’Italia ha emanato un decreto che impone obblighi a UniCredit al completamento dell’acquisizione di Bpm, sulla base della normativa nazionale che autorizza le autorità italiane a esaminare gli investimenti in società attive in determinati settori di importanza strategica, tra cui il settore bancario (il cosiddetto ‘Golden Power’)… La valutazione preliminare rileva che il decreto potrebbe essere incompatibile con altre disposizioni del diritto dell’Ue, tra cui quelle sulla libera circolazione dei capitali e sulla vigilanza prudenziale da parte della Banca Centrale Europea. La valutazione preliminare invita l’Italia a presentare le proprie osservazioni. Separatamente, un tribunale italiano ha annullato parzialmente il decreto il 12 luglio 2025. In base alla risposta dell’Italia alla valutazione preliminare e alla sentenza del tribunale italiano, la Commissione valuterà i prossimi passi”.A stretto giro di posta arriva la risposta del governo italiano. “In merito alla lettera della Commissione Ue sull’applicazione dei poteri speciali allofferta di UniCredit per Banco Bpm – scrive Palazzo Chigi in una nota – il Governo italiano con spirito collaborativo e costruttivo risponderà ai chiarimenti richiesti così come già fatto in sede giurisdizionale dinanzi al Tar nei termini e con motivazioni ritenute già legittime dai giudici amministrativi”.Durissimo il commento del vicepremier Matteo Salvini. “Penso che la Ue abbia cose più importanti delle quali occuparsi, per esempio trattare con Usa. Quindi invece di rompere le scatole al governo italiano su balneari, spiagge, motorini, auto elettriche e banche si occupi di poche cose, serie e lo faccia bene”. Salvini, vicepresidente e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, lo ha detto commentando i dubbi della Commissione europea sul golden power per l’operazione su Banco Bpm. “Il dossier è sul tavolo del ministro Giorgetti che fino a oggi ha lavorato perfettamente e il sistema bancario e creditizio è un asset strategico per il Paese. Quindi l’italia può e deve normare come ritiene senza che da Bruxelles nessuno si permetta di intervenire”.”La sentenza del Tar del Lazio e la lettera della Commissione europea rappresenta una bocciatura netta e inequivocabile dellazione del governo sul caso UniCredit-BPM”, dichiara Antonio Misiani, responsabile economico del Partito democratico. “Una sconfitta su tutta la linea, in particolare per il ministro Giorgetti, che aveva voluto e difeso un intervento che si rivelato come avevamo denunciato fin dallinizio illegittimo, ingiustificato e del tutto sproporzionato”. Lo. “Il governo farebbe bene a prendere atto della realt e a ritirare il golden power. Quello che accaduto certifica il fallimento dellattivismo del tutto improprio con cui lesecutivo intervenuto nel risiko bancario italiano, senza una visione strategica, ma solo per logiche di potere. ora di cambiare strada: si fermi questa deriva, si torni alla seriet delle regole e al rispetto dellordinamento europeo”. LEGGI TUTTO

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    Pensioni di invalidità: 603 euro al mese per tutti. Ecco cosa cambia

    Cosa accade quando un giovane lavoratore, che ha iniziato a versare i contributi si trova ad affrontare un’invalidità? Fino a ieri, la risposta era chiara: nessuna integrazione, un assegno che dipendeva esclusivamente da quanto versato, e, in molti casi, una pensione troppo bassa. Ma la sentenza della Corte costituzionale del 9 luglio 2025 ha rovesciato questa realtà, garantendo a tutti un assegno minimo di 603,40 euro al mese. Una decisione che segna una svolta fondamentale, ma che apre anche nuovi interrogativi su come il sistema pensionistico italiano dovrà evolversi per tutelare davvero tutti i lavoratori, oggi e domani.Una novità attesa da anniIl sistema pensionistico italiano ha sempre visto una netta separazione tra chi rientra nel sistema retributivo e chi nel sistema contributivo. Fino a oggi, solo chi aveva accumulato una carriera contributiva sotto il sistema misto o retributivo godeva del beneficio di un’integrazione dell’assegno al minimo vitale. Per i “giovani” lavoratori, ovvero quelli che hanno iniziato la loro carriera lavorativa dopo il 1996, il discorso era ben diverso: per loro, infatti, l’assegno di invalidità veniva calcolato esclusivamente in base ai contributi versati, senza alcuna integrazione. La Corte costituzionale, con la sentenza del 9 luglio 2025, ha finalmente stabilito che anche chi si trova nel sistema puramente contributivo avrà diritto a un assegno di invalidità minimo, fissato per il prossimo anno a 603,40 euro al mese.La sentenza della CorteLa sentenza della Corte ha un valore significativo, ma non è retroattiva. Questo significa che i lavoratori che avrebbero potuto beneficiare di questo diritto negli anni passati non riceveranno alcun rimborso per gli arretrati. La nuova regola, infatti, entrerà in vigore solo a partire dalla data di pubblicazione della sentenza, il 9 luglio 2025. Una mossa da parte della Corte che, pur correggendo una grande ingiustizia, cerca di evitare un pesante impatto sulle finanze pubbliche. L’integrazione al minimo degli assegni sarà infatti coperta dalla fiscalità generale, come avviene già per gli altri assegni pensionistici. LEGGI TUTTO

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    “Ha agevolato il caporalato”. Loro Piana finisce sotto amministrazione giudiziaria

    Loro Piana, uno dei marchi simbolo del lusso italiano, è finita sotto amministrazione giudiziaria per un anno, una misura che non implica un’accusa diretta di sfruttamento, ma denuncia una grave negligenza nella gestione della sua filiera produttiva. Il Tribunale di Milano ha imposto questa decisione, accusando la maison di non aver fatto abbastanza per impedire che lungo la sua catena di subappalti si consumassero abusi gravissimi, tra cui il caporalato. Ecco cosa è accaduto.L’accusaLa società, parte del colosso LVMH controllato dalla famiglia Arnault, non è stata accusata di aver sfruttato direttamente i lavoratori, ma di aver “colposamente agevolato” lo sfruttamento, in particolare di operai cinesi impiegati in condizioni drammatiche. La filiera produttiva di Loro Piana ha infatti coinvolto numerose aziende intermediarie, le quali, secondo le indagini, hanno impiegato manodopera cinese in stato di clandestinità, in laboratori privi di sicurezza, senza formazione e con turni di lavoro estenuanti. L’azienda non ha impedito questa situazione a causa di un sistema di audit interno inefficace, che ha permesso a questi abusi di proseguire senza alcun controllo sostanziale.Il casoIl caso ha fatto molto discutere perché non si tratta di un episodio isolato: altri grandi marchi della moda, come Armani, Dior, Valentino e Alviero Martini, sono stati coinvolti in situazioni simili, dove i provvedimenti di amministrazione giudiziaria sono stati adottati per risolvere criticità interne e mettere fine a pratiche lavorative non legali. La Loro Piana, nonostante avesse firmato un “protocollo di intesa” con le associazioni sindacali per garantire il rispetto della legalità, ha continuato a trascurare i controlli reali nella sua catena produttiva.La produzione di giacche in cashmereNel caso specifico, la produzione di giacche in cashmere da parte di Loro Piana veniva affidata all’azienda Evergreen Fashion Group, che non aveva una vera e propria capacità produttiva e subappaltava il lavoro a Sor-Man snc. Quest’ultima, a sua volta, si appoggiava a due opifici cinesi, Clover Moda e Dai Meiying, dove i lavoratori, per lo più in nero, venivano sfruttati in condizioni disumane. Le indagini hanno rilevato che questi operai vivevano in dormitori abusivi e lavoravano in ambienti insalubri, con turni lunghi e senza protezioni sanitarie o dispositivi di sicurezza. Un chiaro esempio di come la filiera, pur formalmente sotto controllo, abbia permesso che l’esito finale fosse un sistema di sfruttamento. LEGGI TUTTO