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    Le società che noleggiano auto dovranno acquistare solo veicoli elettrici

    Dal prossimo 2030, praticamente «domani», le flotte aziendali e le società che noleggiano auto dovranno acquistare solo veicoli elettrici. È il piano che la Commissione Ue starebbe approntando per portarlo in discussione all’Europarlamento e al Consiglio europeo in autunno. A riferire questa mossa a sorpresa di Ursula von der Leyen è il quotidiano tedesco Bild am Sonntag. La presidente della Commissione, dunque, da una parte «riconosce» l’importanza della neutralità tecnologica, che contempla l’utilizzo di tutte le alimentazioni green disponibili, mentre dall’altra, viste le difficoltà oggettive relative all’imposizione del solo «tutto elettrico» dal 2035, tenterebbe ora la via di mezzo per assecondare quella parte politica di Bruxelles che non vuole mollare la presa, nonostante tutti i gravi problemi che il diktat ha causato al sistema automotive europeo.Secondo la Commissione già entro il 2027 almeno il 75% delle flotte aziendali avrebbero dovuto essere solo a batteria, per poi arrivare al 100% tre anni dopo. Pura illusione, alla luce della realtà dei fatti e degli orientamenti del mercato.Infrastrutture insufficienti soprattutto se si guarda a quelle ad alta velocità di ricarica elettrica, indispensabili, listini sempre elevati dell’offerta e scarsa disponibilità di veicoli commerciali con alimentazione a zero emissioni (allo scarico), oltre all’apatia generale del mercato: questi i nodi tuttora presenti.L’iniziativa allo studio viene bocciata da Aniasa, l’Associazione italiana industria dell’autonoleggio, della sharing mobility e dell’automotive digital, al cui vertice siede Alberto Viano. In una nota, riferendosi al possibile divieto dal 2030 di immatricolare vetture endotermiche e ibride per le flotte aziendali e le società di noleggio, Aniasa «esprime la più totale contrarietà». «Costringendo a noleggiare esclusivamente vetture elettriche – la replica dell’associazione – non si favorisce la transizione ecologica, né la riduzione delle emissioni di CO2, ma si spinge aziende e privati a mantenere più a lungo le proprie auto, rallentando l’immissione sul mercato di mezzi più sostenibili e sicuri. Senza contare che, prevedendo un obbligo anticipato al tutto elettrico per il solo settore delle flotte aziendali, si creerebbe una grave distorsione sul mercato tra soggetti privati e aziendali, con il rischio di un radicale cambiamento nelle modalità di approvvigionamento dei veicoli che determinerebbe un ulteriore peggioramento delle condizioni del settore dell’auto, in generale, e dell’industria automobilistica europea, in particolare».Protesta anche la politica. Markus Ferber, eurodeputato della Csu tedesca, avrebbe già chiesto alla presidente von der Leyen di rinunciare al progetto. Contrario anche il ministero dei Trasporti di Berlino: «Respingiamo fermamente questa ipotesi e abbiamo comunicato la nostra posizione negativa anche alle compagnie di autonoleggio». Sulla stessa linea è la Vda, l’Associazione tedesca dei costruttori: «Sono necessari miglioramenti delle condizioni quadro. Fissare obiettivi è una cosa, consentirne il raggiungimento è un’altra. Ed è qui che l’Ue ha ora un dovere». No, tra gli altri diretti interessati, anche da Richard Knubben (Leaseurope) e Nico Gabriel (Sixt). LEGGI TUTTO

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    Presentato al Senato il Business Diplomacy Council, un ponte tra istituzioni e imprese

    Presso la Sala Caduti di Nassiriya del Senato della Repubblica si è svolto un evento dal titolo “Business Diplomacy: la diplomazia d’impresa, l’Italia nel mondo”, un incontro strategico che ha messo al centro il concetto di diplomazia economica come leva per rafforzare il posizionamento delle imprese italiane nei mercati esteri. L’iniziativa, fortemente voluta dal senatore Mario Borghese, ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali, diplomatici e imprenditoriali di primo piano, in un momento di riflessione e proposta sul ruolo della diplomazia multilaterale applicata al business.Ad aprire i lavori, la Senatrice Michaela Biancofiore, presidente del Gruppo Civici d’Italia, che ha proposto una riflessione di lungo respiro: «Ritengo interessante il concetto di ambasciatore come facilitatore di promozione degli interessi del proprio Paese. La Business Diplomacy è una visione che avevamo già abbracciato ai tempi in cui lavoravamo al fianco del Ministro degli Esteri Franco Frattini, il quale ha ispirato tutti noi». Il senatore Mario Borghese, promotore dell’iniziativa, ha sintetizzato il senso profondo del convegno: «La diplomazia e il commercio sono due binari che devono correre insieme. Solo integrando questi due ambiti si può creare valore per il Paese».Tra gli interventi più incisivi, quello dell’On. Filippo Maturi, presidente del Business Diplomacy Council: «La Business Diplomacy può garantire nel futuro anche un miglioramento geopolitico. E questo è fondamentale non solo per lo sviluppo delle nostre aziende, ma per la stabilità e la crescita dei territori». Sullo sfondo di questo scenario, centrale è stato il ruolo del corpo diplomatico. L’Ambasciatore della Repubblica Argentina, S.E. Marcelo Martín Giusto, ha sottolineato: «Valorizzando l’interazione tra attori pubblici e privati, tra mondo imprenditoriale e rappresentanze diplomatiche, possiamo dare vita a una nuova sinergia, capace di rafforzare il dialogo economico e i rapporti bilaterali».L’Ambasciatore del Regno del Marocco, S.E. Youssef Balla, ha evidenziato il potenziale della diplomazia economica anche come strumento politico: «La Business Diplomacy è in grado di fornire soluzioni concrete alle tensioni geopolitiche tra Stati». Un contributo di visione è arrivato anche dall’Ambasciatore della Repubblica del Senegal, S.E. Ngor Ndiaye: «Sono onorato di essere stato parte di questo consesso. Sono convinto che questa iniziativa sarà fondamentale per noi, per l’Italia stessa e per l’Africa in generale».Non meno significativo l’intervento dell’Ambasciatore dell’Uzbekistan, S.E. Abat Fayzullaev, che ha dichiarato: «La diplomazia d’impresa rappresenta un ponte moderno tra le economie, lo dimostrano i rapporti bilaterali tra i nostri Paesi, cresciuti enormemente negli ultimi 6 mesi. Costruire rapporti diretti tra aziende e istituzioni è oggi più che mai una chiave per l’innovazione e la cooperazione internazionale».L’Ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti, S.E. Abdulla Ali Ateeq Obaid Alsbousi, ha sottolineato la forza delle relazioni economiche quando basate sulla fiducia: «Attraverso la connessione tra diplomazia e impresa si possono intessere partnership economiche fondate sulla fiducia reciproca e sulla visione condivisa dello sviluppo strategico tra i nostri Paesi».A rappresentare la voce femminile nella dimensione imprenditoriale e diplomatica, l’On. Souad Sbai, vicepresidente del BDC: «Il Business Diplomacy Council rappresenta oggi un attore fondamentale e strategico nel panorama internazionale. Siamo un punto di riferimento per chi vuole internazionalizzarsi in modo strutturato». Il vicepresidente del BDC e direttore esecutivo dell’Istituto Friedman, Alessandro Bertoldi, ha ricordato le origini del progetto: «Abbiamo intuito che mancava una piattaforma come questa, uno spazio dove mettere in relazione diretta e proficua imprese e diplomazia. Per questo ci siamo mossi in questa direzione, per assistere le aziende con il supporto delle istituzioni». Bertoldi ha ricordato gli importanti scambi tra l’Italia e i Paesi rappresentati al convegno.Sul fronte del sostegno concreto alle aziende italiane, Francesca Alicata, responsabile relazioni esterne di SIMEST, ha evidenziato: «Nel biennio 2023-2024 abbiamo sostenuto oltre 7mila imprese. Possiamo operare con tutte le aziende italiane, piccole, medie e grandi. E la domanda continua a crescere». Ezio Stellato, docente di diritto fiscale dell’Istituto Friedman, ha offerto una riflessione storica: «Guardando alla nostra storia possiamo scrivere il futuro nel migliore dei modi in questo campo. Ed è questa la grande responsabilità che tutti noi dobbiamo avere con il Business Diplomacy Council».Silvia Nicolis, presidente di Museimpresa, ha voluto sottolineare il valore umano della diplomazia: «La diplomazia è relazione. E le relazioni sono emozioni: senza empatia non c’è dialogo, nemmeno in economia».Per l’associazione di categoria Casartigiani e per Wizard Capital Group è intervenuto Marco Sartori, il quale ha detto: «Siamo pronti a fare sistema, a portare l’Italia nel mondo, ma sopratutto a portare il mondo alle nostre imprese. Questa la possiamo anche definire diplomazia operativa».L’avvocato Geronimo Cardia, esperto in internazionalizzazione: «Con gli scambi commerciali c’è la pace e stiamo meglio tutti. Non è un caso se proprio qui in Europa, tra il ’58 e il ’59, nacquero la CEE e l’Euratom: furono strumenti per mettersi d’accordo e prosperare insieme senza più conflitti». LEGGI TUTTO

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    “Usa e Ue verso accordo su tariffe al 15%”. Manca il via libera di Trump

    Accordo commerciale più vicino tra Unione Europea e Stati Uniti. L’intesa imporrebbe dazi del 15% sulle importazioni europee, sul modello dell’accordo che Donald Trump ha raggiunto con il Giappone. A rivelarlo è il Financial Times, citando tre fonti informate e affermando che Bruxelles potrebbe accettare i “cosiddetti dazi reciproci” per scongiurare la minaccia del presidente americano di portarli al 30% entro il primo agosto. A confermare il possibile accordo diplomatiche europee, specificando che la decisione finale è nelle mani del presidente Donald Trump. L’accordo includerebbe anche la clausola Mfn (Nazione più favorita, pari al 4,8% per gli scambi Ue-Usa) con alcune esenzioni ancora da definire; in cambio, Bruxelles potrebbe ridurre i propri dazi a livello Mfn o allo 0% per alcuni prodotti.A sbloccare la situazione a favore di un avvicinamento delle parti probabilmente ha contribuito la strategia dell’Europa che davanti ai dazi imposti dal presidente americano aveva minacciato nuove tariffe dal 7 agosto su una lista di prodotti per un valore di 93 miliardi. La tregua commerciale fra Bruxelles e Washington è garantita fino al 31 luglio, ma la Commissione europea è pronta ad alzare le barricate se i negoziati con gli Stati Uniti non dovessero trovare un esito positivo per le parti. La lista della Commissione nasce dall’unione della prima e della seconda lista circolate a Bruxelles. Domani si terrà il voto nel comitato Trade Barriers.Per quanto riguarda possibili contromisure al di là dei contro-dazi sulle merci statunitensi, in caso Stati Uniti e Unione Europea non raggiungessero un accordo nell’ambito del negoziato in corso sui dazi, sembra esserci una maggioranza qualificata tra Stati membri dell’Ue favorevole all’attivazione dello Strumento anti-coercizione (Aci). L’esecutivo Ue ha condiviso un’informativa sui passaggi preparatori da intraprendere in caso si decidesse di ricorrere all’Aci; finora solo la Francia ha richiesto l’immediata introduzione delle misure coercitive che questo prevede, spiegano le fonti.In attesa della data cruciale continua la strategia della tensione di Trump che sul suo social “Truth” oggi ha scritto: “Abbasserò i dazi solo se un Paese accetta di aprire il suo mercato. In caso contrario, dazi molto più alti”. Senza un accordo il Vecchio Continente si troverebbe a dover pagare tariffe del 30% a partire dal 1° agosto, che si sommerebbero alle altre già in vigore da diverse settimane su acciaio, alluminio e automobili. “La priorità è il negoziato ma parallelamente continua la preparazione delle contromisure”, hanno fatto sapere dall’esecutivo europeo.In questo braccio di ferro verbale le trattative trovano spazio per avanzare. Mentre l’Ue continua i negoziati per trovare un’intesa con gli Usa, il Giappone ha firmato un accordo che prevede il 15% dei dazi contro il Paese asiatico. Da un lato Trump ha ottenuto la creazione di un fondo di investimenti giapponese da 550 miliardi che opererà negli Usa. Dall’altro lato il Giappone ha acconsentito ad acquistare 100 aerei Boeing, ad aumentare del 75% l’import di riso americano e di spendere almeno 8 miliardi in prodotti agricoli e 17 miliardi in prodotti militari targati Usa. “È forse l’accordo più importante mai fatto. Creerà migliaia di posti di lavoro», promette il presidente americano.Consapevole della volatilità delle intenzioni di Trump, il governo di Tokyo parallelamente ha siglato un accordo anche con l’Unione europea. Oggi è stata siglata dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, l’Alleanza per la competitività che si regge su tre colonne: aumentare il commercio bilaterale sfruttando appieno il potenziale dell’accordo di partenariato economico; rafforzare la sicurezza economica potenziando il dialogo economico ad alto livello; e collaborare in materia di innovazione e transizione verde e digitale.Davanti all’incertezza e ai cambi di direzione che caratterizzano il governo Trump, l’Europa ha deciso di cercare nuovi partner commerciali, e lo fa in modo esplicito per mandare un segnale diretto a Washington. “Stiamo lavorando per ristabilire il nostro partenariato con gli Stati Uniti su basi più solide”, ha von der Leyen ricevendo la laurea honoris causa dall’università di Keio, a Tokyo per poi aggiungere: “sappiamo anche che l’87% del commercio globale avviene con altri Paesi, molti dei quali alla ricerca di stabilità e opportunità. Paesi da tutto il mondo vengono da noi per fare affari: dall’India all’Indonesia, dal Sud America alla Corea del Sud, dal Canada alla Nuova Zelanda. Stiamo tutti cercando di forgiare la nostra forza e la nostra indipendenza. Solo lavorando insieme possiamo farlo”. LEGGI TUTTO

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    BF sigla una partnership con Sace

    In occasione del Vertice intergovernativo Italia-Algeria e del relativo Forum Imprenditoriale, Sace ha firmato un memorandum of understanding con BF International (gruppo BF), per supportare la creazione di Model Farms e lo sviluppo di filiere agro-industriali in Algeria e in altri Paesi africani. «L’Algeria e, più in generale, l’Africa rappresentano un’area di straordinaria rilevanza strategica per le imprese italiane», ha dichiarato Alessandra Ricci, ad di Sace. «Pensare in grande oggi significa creare connessioni solide, mobilitare risorse e generare impatto concreto attraverso progetti di valore condiviso», ha sottolineato aggiungendo che «l’intesa firmata oggi va in questa direzione, abilitando nuovi investimenti, partnership industriali e opportunità per le nostre imprese italiane».Il contributo di Sace negli ultimi dieci anni in Algeria è stato significativo: garanzie per 2,5 miliardi di euro a fronte di progetti per oltre 8 miliardi. Con l’avvio del Piano Mattei, l’impegno si è intensificato, con 1,2 miliardi di euro già allocati per iniziative strategiche nei settori chiave: energia, agroindustria, infrastrutture, meccanica e automotive. LEGGI TUTTO

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    Lavoro, Quercioli (Federmanager): “Le imprese potenzino i fondi rischi per fronteggiare gli indennizzi”

    La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il tetto massimo di sei mensilità per il risarcimento in caso di licenziamento ingiustificato nelle imprese con meno di 15 dipendenti, è destinata a produrre effetti concreti nei bilanci aziendali. A fronte del possibile aggravio economico, secondo Valter Quercioli, presidente di Federmanager, l’unica risposta sensata e strutturale per le imprese è rafforzare la dotazione del fondo rischi.“La sentenza si rispetta, come tutte le decisioni della Corte – osserva Quercioli – ma il punto è che essa riconosce la necessità, in alcuni casi, di un indennizzo maggiore delle sei mensilità finora previste. Nelle imprese medio-grandi, infatti, si può arrivare fino a 36 mensilità. Era illogico che nelle aziende più piccole non ci fosse lo stesso margine di valutazione per i giudici, soprattutto nei casi più gravi. Così la Corte restituisce ai tribunali uno spazio economico di apprezzamento più ampio per tutelare il lavoratore ingiustamente licenziato”. Uno spazio che, secondo le prime stime, dovrebbe attestarsi tra i 12 e i 18 mesi.Quercioli non prevede un impatto generalizzato sul tessuto delle piccole imprese, almeno per quelle virtuose. “Nella nostra esperienza, le piccole imprese sane hanno a cuore i propri dipendenti e raramente si verificano licenziamenti arbitrari. Diverso è il discorso per quelle imprese che restano artificialmente piccole per beneficiare di vantaggi fiscali e giuslavoristici”, ha rilevato aggiungendo che “in questi casi si tratta spesso di realtà che fanno parte di gruppi economici più ampi e utilizzano la soglia dei 15 dipendenti come uno strumento di convenienza”. La Corte, osserva, “sta dicendo che oggi la dimensione formale non è più un indicatore affidabile della reale forza economica dell’impresa”.Proprio in vista dell’aumento potenziale dei costi legati ai licenziamenti, Federmanager invita a una pianificazione preventiva. “Come per ogni rischio d’impresa, serve una gestione consapevole. Le aziende devono dotarsi di un fondo rischi ben calibrato. Dove il rischio è minimo non serve accantonare grandi risorse, ma in quelle realtà che hanno fatto dei licenziamenti strumentali una leva di gestione, è evidente che devono essere in grado di coprire i costi che ne derivano”, ha rimarcato.Secondo Quercioli, la corretta dotazione del fondo rischi rappresenta un’azione di buona governance. “Il fondo rischi serve a proteggere l’impresa nel lungo periodo. Significa destinare una parte degli utili non alla remunerazione del capitale ma alla sostenibilità dell’impresa stessa”, puntualizza evidenziando che “oggi viviamo in un contesto pieno di incognite, e le aziende che non sanno gestire i rischi finiscono col pagare un prezzo altissimo”. Il licenziamento ingiustificato, prosegue, “è uno di quei rischi tutto sommato prevedibili: un’impresa sa cosa sta facendo e se vuole perseguire scelte aggressive nella gestione della forza lavoro, allora deve anche essere pronta a sostenerne i costi”.Più in generale, la sentenza si inserisce in una lenta ma continua erosione del modello tracciato dal Jobs Act. Quercioli riconosce che la misura ha creato negli anni una sorta di dualismo tra lavoratori assunti prima e dopo la sua entrata in vigore. “Il Jobs Act ha generato una forza lavoro di serie A e una di serie B. La Corte Costituzionale ci sta suggerendo che la gestione del personale non può dipendere dalla data di assunzione”, argomenta. “Le ragioni che avevano portato alla riforma – in primis l’eccessiva rigidità del mercato – oggi non sono più così attuali. Al contrario, oggi il problema è trattenere le persone in azienda, non liberarsene. Mancano i giovani, mancano i talenti, e nei prossimi anni andrà in pensione una parte consistente della forza lavoro. Le imprese non possono permettersi di perdere chi ha competenze”, conclude Quercioli. LEGGI TUTTO

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    Ddl conti correnti, cosa cambia dopo il sì alla Camera: più tutela per i risparmiatori

    Le banche avranno l’obbligo di stipulare i conti correnti e avranno anche il divieto di recederli in presenza di saldi attivi, salvo casi gravi come riciclaggio e terrorismo. La proposta Romano-Bagnai che riconosce per tutti il diritto al conto passa l’esame dell’Aula della Camera e si appresta ora ad approdare in Senato, sempre più vicina a diventare legge. In un Paese come l’Italia che conta 48 milioni di conti correnti, in aumento secondo la Fabi del 13% rispetto al 2019, il provvedimento si pone l’obiettivo di rispondere alle esigenze dei cittadini che hanno visto chiudere, “unilateralmente e senza motivo”, il rapporto di conto corrente dalla propria banca, pur in presenza di saldi attivi, costringendoli, per effetto delle segnalazioni interbancarie, a non poter più disporre delle proprie provviste.Nella relazione che accompagna il testo viene infatti segnalato che la banca, a seguito del recesso del conto consegna al correntista unicamente un assegno circolare, che per sua natura presuppone un conto corrente e un rapporto bancario per essere convertito in liquidità o utilizzato per i pagamenti, e il correntista stesso a sua volta si trova impossibilitato a stipulare un nuovo conto presso altre banche a causa della segnalazione interbancaria. Il vicepremier Matteo Salvini parla di “storica vittoria della Lega”. FdI fa notare come sia stato colmato un vuoto normativo ed anche il Pd, che ha votato a favore, parla di “un tassello” da aggiungere al diritto di cittadinanza. LEGGI TUTTO

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    Tim regala l’assistente ai suoi clienti: arriva Perplexity Pro gratis per un anno

    Una volta erano le promozioni con i giga illimitati. Oggi Tim decide di puntare più in alto: l’intelligenza artificiale. Da pochi giorni, tutti i clienti di Tim Consumer (mobili e fissi) possono usare gratis per un anno Perplexity Pro, una delle piattaforme di AI più avanzate al mondo. Di cosa si tratta? Perplexity Pro è un assistente virtuale intelligente, capace di rispondere a domande, aiutare nello studio o nel lavoro, scrivere testi, riassumere documenti, creare contenuti, e persino aiutare a programmare viaggi o confrontare offerte. Basta fare una domanda, anche a voce, e il sistema risponde in pochi secondi, citando sempre le fonti da cui prende le informazioni.Per chi è abituato a cercare su Google, il salto in avanti è notevole: qui le risposte arrivano già pronte, ordinate, affidabili e aggiornate in tempo reale. E se serve, si possono anche generare immagini, tabelle o presentazioni. È come avere un assistente personale sempre disponibile. E per un anno, si può utilizzare il servizio senza pagare nulla.Negli ultimi mesi nel mondo delle telecomunicazioni si fa sempre più strada l’intelligenza artificiale, ma Tim è la prima in Italia a offrire questo servizio in modo così ampio. “Con questa iniziativa vogliamo portare l’intelligenza artificiale nella vita di tutti i giorni”, ha dichiarato Andrea Rossini, responsabile della divisione Consumer di Tim. “L’obiettivo è semplificare l’esperienza digitale dei nostri clienti, con strumenti utili e facili da usare”.Anche Perplexity, la società americana che ha sviluppato la piattaforma, si è detta entusiasta della collaborazione. “Le persone hanno bisogno di risposte affidabili per prendere decisioni ogni giorno – ha spiegato Ryan Foutty, vicepresidente dell’azienda – e Tim è il partner giusto per far arrivare questa tecnologia in tutte le case italiane”.Attivare il servizio è semplice: basta entrare nell’area Tim Party (da app o da sito), richiedere il codice gratuito e usarlo su Perplexity, da smartphone o computer. Un’iniziativa che conferma la strategia di Tim, che sta puntando forte sull’offerta di nuovi servizi per i propri clienti. Cercando di farlo, come nel caso di Perplexity, attraverso prodotti in grado di far risparmiare loro un po’ di tempo nella vita di tutti i giorni. LEGGI TUTTO

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    Boom di pensionati italiani all’estero: dove si trasferiscono a godersi l’assegno

    Non è solo il desiderio di sole e mare a spingere sempre più pensionati italiani oltre i confini nazionali. A contare sono anche il portafoglio e la possibilità di vivere meglio con la propria pensione. Secondo l’ultimo rapporto dell’Inps, negli ultimi 15 anni il numero di pensionati che decidono di trasferirsi all’estero è triplicato: erano 10 ogni 100mila residenti nel 2010, oggi sono saliti a 33.Le mete più scelteLa meta più scelta è la Spagna, che ha superato il Portogallo dopo che quest’ultimo ha ridotto i vantaggi fiscali che per anni l’avevano resa una calamita per i pensionati europei. La penisola iberica rimane molto apprezzata non solo per il clima mite, ma anche per l’efficienza dei servizi sanitari e la presenza di consolidate comunità italiane. Accanto alla Spagna, si fa strada anche l’Albania, sempre più popolare tra chi è alla ricerca di una vita semplice e meno cara. E poi ci sono la Svizzera, la Francia e la Germania, destinazioni in cui spesso si emigra per motivi familiari, come il ricongiungimento con figli o nipoti. A sorpresa, il 2023 ha registrato un incremento dei flussi anche verso la Tunisia, ritenuta dall’Inps una “meta strategica” per pensionati autosufficienti e indipendenti. La regione italiana da cui si parte di più verso il Nord Africa è il Lazio, che figura al quarto posto tra quelle con il maggior numero di pensionati emigranti, subito dopo Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Liguria.Una nuova vita all’esteroComplessivamente, dal 2010 ad oggi, circa 38mila pensionati hanno scelto una nuova vita all’estero, contribuendo a portare a quota 229mila il numero di assegni erogati fuori dall’Italia. In controtendenza, invece, restano pochi coloro che decidono di tornare: ogni anno rientrano tra le 400 e le 800 persone. Un fenomeno che continua a crescere, segno che, per molti italiani, la pensione non è più sinonimo di riposo in patria, ma di ripartenza altrove. LEGGI TUTTO