Mediobanca era in grado di realizzare qualsiasi operazione attraverso il monopolio del medio termine senza sportelli e servizi per il pubblico. In tal modo, con lo scorrere degli anni, Cuccia si liberò degli uomini fedeli a Mattioli, che avrebbero potuto ostacolare il suo progetto elitario. Formidabili le confidenze che a Montecarlo ascoltavo da Carlo Bombieri, che fu amministratore delegato di Mediobanca nei primi anni Cinquanta: vicende che raccontò spesso anche ad altri. Appena finita la guerra, Cuccia e Bombieri furono inviati in un Paese dell’Est per recuperare un’operazione rimasta in sospeso e una sera finirono in un albergo. All’improvviso qualcuno bussò alla stanza di Bombieri: era Cuccia che gli chiedeva: «Ma sei sicuro che a Milano non lo sapranno mai?». L’immagine pubblica di Cuccia era di un uomo ombroso: camminava sempre curvo da casa all’ufficio, fino alla piazzetta che oggi porta il suo nome. Alla vista di un fotografo, nascondeva la testa dietro la sua borsa con quell’espressione truce che poi i giornali pubblicavano. Un vero peccato: in privato Cuccia era un uomo di estrema allegrezza e simpatia, con racconti spassosi sui quali lui stesso rideva a crepapelle, un po’ come Arthur Rubinstein quando parlava di sé. Pur avendo distrutto il progetto di Mattioli, dopo la sua morte, aveva organizzato un rituale riservato a poche persone, che una volta all’anno si riunivano all’abbazia di Chiaravalle, dove Mattioli è sepolto. Un rito oscuro (…). o già raccontato che era sempre lui, Cuccia, a muoversi per incontrare i clienti, quelli che io chiamo «i pazienti». Con Guido Rossi aveva un rapporto amicale e fraterno; vederli insieme raccontarsi aneddoti esilaranti era un gran piacere. Inimmaginabile battutista, Enrico Cuccia, innervato pure di uno spirito yiddish in cui quella cupezza della sua immagine pubblica si scioglieva. Quando a Natale accompagnavo i miei auguri con un libro, mi rispondeva con un biglietto «La ringrazio per il bel volume che arricchirà la biblioteca di Mediobanca», oppure «Mediobanca la ringrazia per il bel volume». Era tanto un uomo di estrema onestà quanto campione del mondo in conflitto di interesse, disciplina di cui l’Italia detiene varie medaglie olimpiche.
Alcune regole non scritte di Mediobanca erano alquanto curiose. Quando Vincenzo Maranghi, suo formidabile braccio destro, dissentiva su un’operazione, reagiva con una violenza inaudita, alzando la voce e riducendo al nulla l’interlocutore; lo inceneriva. Firmava i documenti con uno sgorbio, senza che il suo nome fosse scritto in stampatello a piè di pagina. Mi stupivano le reazioni delle banche internazionali quando ricevevano un documento di tal fatta. Il telex, che oggi nessuno sa cosa fosse, arrivò in Mediobanca poco prima che diventasse obsoleto.
Cuccia era capace di grandi cattiverie e di spietate vendette. Si sentì tradito da Schimberni, che si rivelò meno incolore di quanto Cuccia potesse immaginare, anche perché si affidò a Massimiliano Gritti e, in un certo senso, si innamorò del suo decisionismo. A quel punto Cuccia andò in giro a dire che si fosse portato all’estero valigie piene di contanti (…).
Dopo le dimissioni di Cefis dalla Montedison, Cuccia cominciò a parlar molto male di lui nella stessa misura in cui lo aveva idolatrato prima, spesso alludendo ad arricchimenti personali di enorme entità. Le sue illazioni erano tanto insistenti che, per me che stavo nel tuorlo dell’uovo accanto a lui, erano fonte di disagio particolarmente nei rapporti con i miei amici colti e politicamente anni luce dall’establishment, lontani in ogni senso dal mondo finanziario. Accuse che mandavano in brodo di giuggiole Scalfari e Turani. Presi allora il coraggio a quattro mani e andai da Cefis a raccontargli tutto, ovviamente per metterlo in guardia. Purtroppo lui, senza informarmi, si fiondò in Mediobanca da Cuccia a lamentarsi e, alla domanda di chi l’avesse informato, fece il mio nome. Apriti cielo. Da qui, a parte l’appartenenza a giardini zoologici diversi, l’ostilità che Cuccia cominciò a nutrire nei miei confronti si spinse fino alla calunnia, mettendo in giro la voce che sarei fallito a causa dell’operazione Interbanca che avevo in ballo, un’operazione che avrebbe portato alla nascita di una «Mediobanca» come quella concepita da Mattioli. Operazione che in effetti non andò in porto: tuttavia non solo non mi schiantai, ma ne uscii con successo.
Delle calunnie di Cuccia ebbi conferma anche dal generale Schettino, che aveva un rapporto intenso col presidente di Mediobanca e con la sua segretaria.
Alla mia bella età, posso dire di essere l’unico sopravvissuto alle angherie di Cuccia, il che non è poco. Maranghi, col quale avevo un rapporto di stima reciproca, cercò più volte di lenire questo furore nei miei confronti, ma si ritirò sempre in perdita.