in

I titoli di Stato e la trappola per gli Usa: perché Trump ha fatto retromarcia sui dazi


I punti chiave

Tenere duro fino all’ultimo. Era questo il piano di . Mantenere le tariffe doganali contro mezzo mondo per convincerlo a trattare. Ma così non è stato. Alla fine il tycoon ha deciso per una marcia indietro: “Considerando il fatto che più di 75 Paesi hanno contattato i rappresentanti degli Stati Uniti per negoziare una soluzione ho autorizzato una pausa di 90 giorni”. Pur considerando che i progetti di Trump restano imperscrutabili, l’idea dietro la guerra delle tariffe era di avere una ricalibrazione dell’economia americana. Il piano, se così si può chiamare, era di ridurre con alcuni paesi il disavanzo commerciale sfavorevole per Washington; riportare parte della produzione industriale sul suolo americano; disaccoppiare l’economia americana da quella cinese e non da ultimo sistemare i problemi del debito pubblico americano.

La strategia dei dazi e la retromarcia di Trump

Ed è proprio su questo ultimo punto che il piano di Trump ha iniziato a imbarcare acqua e ha portato alla retromarcia. In pochi giorni i rendimenti dei titoli di Stato Usa a dieci anni sono passati da un valore sotto il 4% a superare quota 4,5%. Cosa vuol dire? Che gli Usa si trovano con un aumento del debito da ripagare. Trump al contrario aveva scommesso che un eventuale flessione di Wall Street avrebbe portato gli investitori a buttarsi su un bene rifugio come i bond americani, ma così non è stato. Anzi.

Il crollo dei bond americani e la crisi del debito

Negli ultimi giorni è aumentato il volume di vendite dei bond americani. L’immissione dei titoli nel mercato ne ha minato il valore facendolo scendere. E quindi per una regola di mercato quando il prezzo scende, i rendimenti salgono. Come ha ricordato Reuters gli investitori del Tesoro americano sono rimasti delusi, se non sorpresi, che dopo l’annuncio dello stop ai dazi e il relativo rimbalzo dei listini, una buona fetta di fondi ha continuato a vendere obbligazioni per recuperare liquidità, mentre altri hanno iniziato ad avere dubbi sullo status stesso degli Usa. La controprova è stata che anche dopo la marcia indietro di Trump il valore dei rendimenti è rimasto alto.

I progetti della Casa Bianca si sono incagliati su uno scoglio che gli Usa non volevano vedere: cioè che il mondo non si fida più dell’America. Come hanno ricordato gli analisti di Deutsche Bank, “il mercato ha perso fiducia negli asset statunitensi”. Come ha evidenziato Reuters il mercato dei titoli del Tesoro sono il fondamento del sistema finanziario globale e per decenni banche e gestori di fondi hanno tenuto in pancia grandi quantità di bond americani. E servono per avere immediata liquidità perché relativamente facili da vendere. Già due settimane fa il Financial Times scriveva che la guerra di Trump avrebbe messo ko l’eccezionalismo commerciale statunitense. Per tutta la seconda metà del ‘900 gli Usa erano il rifugio perfetto per i capitali. Il Paese era leader del commercio globale, una potenza militare, centro dell’innovazione tecnologica e soprattutto stabile. Parte di questi predomini sono via via stati ridimensionati. In prospettiva i dazi da un lato riducono i margini di profitto dell’aziende, dall’altro vanno a incidere sui redditi dei consumatori, compromettendo in entrambi i casi la fiducia nel sistema.

La perdita di fiducia globale negli Stati

La vendita di titoli Usa per recuperare liquidità è stata spinta soprattutto dai fondi speculativi, gli hedge funds, per dare ai broker maggiori margini o garanzie in supporto alle operazioni. Sotto questa “richiesta di garanzie” c’è l’idea di molti operatori che sia in atto un grosso cambiamento strutturale impresso dai dazi.
La guerra tariffaria su vasta scala varata da Trump avrebbe un impatto a lungo termine sui commerci globali, ma oggi il mondo è sempre meno propenso ad essere accondiscendete con l’America. E infatti l’ombra di una guerra del debito rimane lì. Per settimane è aleggiato lo spettro che alcuni dei principali detentori esteri di titoli americani potessero diventare venditori.

La Cina e la minaccia dell’“opzione nucleare” finanziaria

Oggi il debito americano estero è in mano a tre grossi player: l’Europa, Giappone e Cina. Pechino, in particolare è il terzo per volumi posseduti, l’8,92% per un totale di 759 miliardi di dollari. Secondo molti analisti questa sorta di “opzione nucleare” nelle mani della Repubblica popolare rimane remota, ma il solo fatto che se ne parli desta preoccupazione.

Grace Tam, consulente capo per gli investimenti presso BNP Paribas Wealth Management a Hong Kong ha detto a Reuters che “i mercati temono che la Cina e altri paesi possano ‘sbarazzarsi’ dei titoli del Tesoro americani come strumento di ritorsione”. E qui torniamo al senso di rottura del patto che circonda gli Usa e la loro economia. Una rottura percepita dagli stessi operatori americani che hanno venuto nelle ultime settimane.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


Tagcloud:

”Se porti pasta e pomodori in Inghilterra, non hanno lo stesso sapore”: la Regina Camilla in Italia sorpresa dalla qualità del cibo

”Non uscivo mai di casa, sempre tapparelle chiuse, un calvario”: la vincitrice del GF Jessica Morlacchi parla del suo periodo nero