La , imposta tra le più invise ai contribuenti soprattutto a causa dei continui aumenti, costituisce una delle principali entrate dei Comuni, che grazie alle somme incassate provvedono alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti urbani.
La tassa da regolamento vigente deve essere pagata dai cittadini che detengono a qualsiasi titolo immobili o aree scoperte atte alla produzione di rifiuti, e questo a prescindere dal fatto che vengano o meno prodotti concretamente. Per sua configurazione, la Tari è un’imposta fissa, dal momento che la quota viene calcolata sulla teorica quantità di rifiuti prodotti dal contribuente in base ai metri quadri della casa e al numero di persone che vivono all’interno di essa: nel computo, quindi, non viene considerata alcuna variabile relativa all’effettiva quantità di rifiuti generati.
Ma allora che cosa accade quando un immobile risulta disabitato? È un caso che solleva dall’obbligo di versare l’imposta? A chiarire questo aspetto le sentenze 21703 e 9872 della Corte di Cassazione, secondo la quale l’obbligo di pagare la tassa deve sussistere anche qualora si faccia riferimento a un’abitazione disabitata, ma solo nel caso in cui essa sia strutturalmente predisposta al suo utilizzo. In sostanza per essere esentati dal versamento dell’imposta non basta che non sia in essere un contratto con società erogatrici di servizi come luce, acqua o gas, ma è necessario che manchino fisicamente i collegamenti che conducono le utenze all’interno dell’abitazione o che queste siano state appositamente sigillate e risultino pertanto inutilizzabili. Se per vivere in casa basta semplicemente attivare un contratto di fornitura, quindi, la Tari è dovuta, se invece per poter ottenere questi servizi mancano ancora le opere strutturali l’obbligo decade.
Ovviamente dovrà essere il cittadino a dimostrare che l’immobile non è fruibile e risulta non utilizzabile per viverci dentro, diventando così di conseguenza non idoneo a produrre rifiuti come da regolamento: questa non idoneità, come da sentenza 1711 della Cassazione deve essere “riscontrabile in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o da idonea documentazione”. A non essere adatti, a titolo esemplificativo, sono
- centrali termiche;
- edifici di esercizio pubblico del culto;
- aule adibite esclusivamente ad attività di catechismo;
- locali stabilmente riservati ad impianti tecnologici ove non si abbia, di regola, presenza umana (quali cabine elettriche, vani ascensori, celle frigorifere, locali di essiccazione e stagionatura senza lavorazione, silos e simili);
- aree di impianti sportivi, siano essi aree scoperte o locali chiusi, dedicati alla pratica sportiva in senso stretto (rimangano invece oggetto di tassazione i servizi igienici, gli spogliatoi, gli uffici);
- i fabbricati oggettivamente inagibili e di fatto inutilizzati;
- i fabbricati oggetto di di ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo in presenza di regolare licenza, permesso, concessione o autorizzazione, limitatamente al periodo di validità del provvedimento e, comunque, non oltre la data di effettiva ultimazione dei lavori.
Oltre questi, sono esentate dal pagamento della Tari anche “le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, nonché le aree
comuni condominiali di cui all’art. 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva, come androni, scale, ascensori, stenditoi o altri luoghi di passaggio o di utilizzo comune tra i condomini”.