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Tim, l’anomalia che imbarazza Consob


Un blocco anomalo da un paio d’anni tiene in scacco le azioni di Tim e i suoi 242mila soci. Malgrado il balzo di ieri (+4% a 0,253 euro), il titolo della società staziona largamente sotto i valori che secondo gran parte degli analisti le renderebbero giustizia. Altrettanto misterioso è il fatto che, nonostante le numerose notizie positive che si sono alternate dal closing per la cessione della rete in poi, il grafico di Borsa della prima telco italiana somigli a un alternarsi perpetuo di strappi al rialzo e brusche correzioni senza apparenti motivazioni. Il Financial Times, alcuni mesi fa, aveva stimato in 930 milioni di euro l’ammontare di azioni prese a prestito, di cui una parte rilevante verosimilmente impiegata per scommesse al ribasso sul titolo. In alcune giornate, poi, il titolo a un certo punto viene bersagliato da ondate di vendite provenienti da Londra, che ne appiattiscono il valore e ne azzoppano la ripresa. Non sorprende che queste manovre vengano dall’estero, visto che il 40,6% del capitale di Tim è in mano a fondi e investitori istituzionali esteri a cui si aggiunge il 23,7% in mano ai francesi di Vivendi. Ne consegue che il 64,4% (praticamente i due terzi di Tim) è gestito da mani straniere. Altrettanto verosimile, poi, che quel 40,6% sia almeno in parte posseduto da fondi speculativi, dal momento che nessuna delle tre grandi agenzie Moody’s, S&P e Fitch nonostante le recenti promozioni seguite allo scorporo della rete collochi la tlc nell’area investment grade.

Su questi aspetti dovrebbe pertanto attivarsi con la massima urgenza la Consob, che pure aveva annunciato accertamenti dopo il clamoroso crollo del titolo del 7 marzo 2024 in seguito alla presentazione del nuovo piano industriale. A distanza di quasi un anno, tuttavia, non si è ancora arrivati a nulla mentre nel frattempo la situazione si è fatta via via più incomprensibile, a maggior ragione perché almeno 240mila della folla di azionisti sono piccoli risparmiatori che in Tim hanno investito soldi faticosamente guadagnati. È necessario quindi un’indagine più puntuale, che chiarisca una volta per tutte ciò che è attività di mercato e ciò che invece è manipolazione. Del resto, non si capisce come mai il corso azionario sia riuscito di rado – per lo meno in tempi recenti – ad affacciarsi oltre i 0,25 euro per azione. Passando in rassegna a uno a uno i report dei più prestigiosi analisti, spiccano i target price di Intermonte (0,38 euro), Bank of America (0,37), Imi (0,35), Barclays (0,34), Equita (0,34). Passando in rassegna 17 analisti che hanno formulato un prezzo obiettivo su Tim, si nota come la parte più rilevante di loro assegni un target fra 0,32 e 0,38 euro. Da ultima Mediobanca, che proprio ieri ha sostenuto che sulla principale telco italiana ci sia uno «sconto visibile» rispetto ai concorrenti Ue (il titolo Tim scambia a 3,3 volte il suo margine operativo lordo per azione, rispetto agli oltre 5 della concorrenza), con un target price a 0,35 euro a maggior ragione dopo la cessione di Sparkle che porterà il debito a 6,6 miliardi di euro. Ci sono poi ulteriori notizie in arrivo tra le discussioni sulla restituzione del canone pagato nel 1998 (che può valere 1 miliardo) e il possibile earn-out (fino a 2,9 miliardi) in gran parte dovuto alla probabile fusione fra FiberCop e Open Fiber. Dovessero concludersi queste due situazioni, com’è probabile, il debito sarebbe sostanzialmente ridotto a una dimensione trascurabile e ben lontana dall’essere preoccupante.

Per lunedì 13, intanto, è prevista in arrivo la sentenza sulla famosa causa indetta dal primo socio Vivendi contro la modalità del via libera della cessione della rete da parte del board guidato dall’ad Pietro Labriola (i francesi avrebbero voluto un passaggio in assemblea dei soci per dare l’ok a un’operazione che loro avversavano). La tabella di marcia vede in calendario per il 15 gennaio un primo cda e per il 22 un altro che verosimilmente darà luce verde alla cessione della società dei cavi Sparkle. La prossima settimana, quindi, potrebbe essere foriera di altre notizie capaci di influire sul titolo che in ogni caso veleggia su fondamentali in continuo miglioramento. Debito a parte, la divisione Enterprise (dei servizi alle imprese) nell’ultima trimestrale ha ricavi in crescita del 5,8% sui nove mesi, mentre l’apprezzata Tim Brasil segnala un +7,2% e la Consumer – che ormai pesa meno della metà sul fatturato del gruppo – è sostanzialmente stabile o in lieve crescita.

All’orizzonte, poi, c’è il possibile ritorno al dividendo per gli azionisti a partire da quest’anno (manca ormai da diversi anni) e la possibilità di una conversione delle azioni risparmio che, in teoria, dovrebbe essere un motivo di appeal ulteriore per un titolo che finora ha rispettato tutti i target e a febbraio si appresta a presentare un ambizioso aggiornamento del suo piano industriale.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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