Tra le tasse più odiate in assoluto nel nostro Paese c’è di sicuro la , anche in considerazione del fatto che, a parte rare eccezioni, tende a incrementarsi di anno in anno in modo costante.
La musica potrebbe cambiare con l’introduzione della “Tarip“, un’imposta che la sta soppiantando in un numero sempre crescente di Comuni italiani, con l’obiettivo di colpire chi produce più rifiuti o si impegna meno di altri nell’effettuare la raccolta differenziata. L’ammontare della cifra da corrispondere, quindi, diminuisce per i più virtuosi, e si tratta di un meccanismo di “do ut des” che può venire incontro alle esigenze di entrambe le parti, quella dell’utente che risparmia e quella dell’Ente locale che spende di meno nello smaltimento del “secco”. Ma vediamo più nel dettaglio che cosa cambia concretamente.
Da un lato abbiamo la Tari, che comporta l’esborso di una cifra con cui si paga il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti senza alcuna distinzione: in sostanza viene calcolata sulla teorica quantità di rifiuti prodotti dal cittadino in base ai metri quadri della casa e al numero di persone che vivono all’interno di essa.
Dall’altra c’è invece la Tassa sui rifiuti puntuale, che prevede la quantificazione della tassa sulla base dei rifiuti realmente prodotti dall’utente: quindi in primis si tratta di un’imposta fissa e di una variabile. Con la Tarip, il conteggio della somma da versare al Comune cambia a seconda del volume o del peso di una categoria di rifiuti nello specifico, vale a dire tutti quelli che non si possono riciclare, la così detta “indifferenziata“. Quindi, come detto, il contribuente è incentivato a differenziare dalla riduzione dell’imposta, mentre il Comune deve affrontare una voce di spesa inferiore per far smaltire i rifiuti inutilizzabili.
Fin qui tutto semplice, ma in realtà quali sono i parametri presi in esame per quantificare la tariffa puntuale? Partendo, come accade per la Tari, dai metri quadrati dell’immobile e dal numero degli abitanti (dati che compongono la “quota fissa”), si fa una valutazione concreta dello sfruttamento del servizio di raccolta e smaltimento (“quota variabile”): questo viene quantificato sulla base di due voci, ovvero gli “svuotamenti minimi” dei rifiuti non riciclabili ed eventualmente gli “ulteriori svuotamenti” che si sono resi necessari.
Per capirci meglio: ogni utenza, a seconda dell’estensione e del numero degli abitanti, ha attribuito un numero di svuotamenti minimi annuali, per cui se il numero è congruo la tassa non varia, se è inferiore viene decurtata la parte addebitata in eccesso, se si supera la soglia la somma viene addebitata a conguaglio nella bolletta successiva per coprire gli “ulteriori svuotamenti”.
Così facendo si incentiva il contribuente a differenziare i propri rifiuti, lasciando nel “secco” solo ciò che effettivamente non si può riciclare, e a provvedere a lasciare il contenitore, dotato di microchip
per favorire l’identificazione del cittadino, solo quando è davvero pieno. Per il momento la Tarip ha già soppiantato la vecchia tassa in 872 Comuni, ma si tratta di un fenomeno in rapida espansione già dal prossimo anno.