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Non è più tempo di ragionieri, ora al Lingotto occorre un filosofo delle nuove auto


Partito Tavares resta il problema. Fiat-Fca-Stellantis, dietro gli acronimi ci sono il tramonto di una storia, la chiusura delle fabbriche, la fine di un’epoca di gloria e di privilegi. Da Gianni a Umberto Agnelli per passare a John Elkann, la famiglia ha mantenuto l’impegno ma cambiato le strategie e anche gli esecutori. Sergio Marchionne scelto da Umberto è stato un deal maker e non un gestionale come Carlos Tavares, il chietino non si è limitato a sbrigare la drammatica situazione dell’azienda prossima a portare i libri in tribunale, i suoi affari con gli americani servirono a risollevare un corpo moribondo che per troppo tempo si era trascinato sotto l’ala del patriarca che, in verità, non si occupava direttamente del prodotto, il business lo interessava ma in via indiretta.

Suo fratello Umberto, decisamente più aziendalista, aveva intuito come fosse venuto il tempo di svoltare: l’ingresso nel cda di Marchionne fu l’avvio di una nuova politica, di sostanza e senza formalità anche per il carattere verace, spigoloso per alcuni, rigoroso e decisionista del nuovo amministratore delegato che non faceva sconti a nessuno. Umberto concluse la sua vita in anticipo e la vicenda Fiat, compreso Marchionne, passò nelle mani di John Elkann che si consegnò all’azione pragmatica del manager laureato in filosofia e giurisprudenza per poi completare il proprio bagaglio professionale con gli studi e le frequentazione del mondo finanziario ed economico, soprattutto quello americano. Marchionne, come Umberto, ha dovuto lasciare la missione per una feroce malattia che lo ha portato via nel momento cruciale.

Di certo in questi ultimi anni il quadro internazionale dell’impresa automobilistica ha cambiato decisamente volto, sono vertiginosamente saliti i costi del lavoro, soprattutto quelli dell’energia e Tavares, chiamato da Elkann a proseguire il mandato ha viaggiato in questo sistema tossico e intossicato pensando di conservare lo stesso piglio di Marchionne, dunque procedendo a testa bassa e scegliendo nuovi siti per la produzione, non una fuga dalle responsabilità ma la ricerca di ottimizzare i costi e tenere in equilibrio i bilanci. Elkann ha chiuso per la sua famiglia un proficuo accordo con i francesi: senza Marchionne l’azienda era destinata a spegnersi, come sta accadendo per altre realtà storiche dell’industria automobilistica, Volkswagen in primis in piena crisi di vendita e con la rivolta sindacale che in queste ore sta attuando uno sciopero tra i più duri. La scelta dell’elettrico, o meglio l’allucinante autogol dell’Europa, era stata preannunciato dallo stesso Marchionne che non poteva immaginare uno sviluppo così drammatico a livello internazionale.

Inseguire il passato, dunque pensare di investire ancora nei centri storici, Mirafiori su tutti, è questa la mission impossible per qualunque imprenditore: ma Tavares ha sbagliato le traiettorie, è venuto meno ad un confronto doveroso con le istituzioni, riuscendo nell’impresa di mettere assieme le forze di maggioranza con quelle di opposizione, miopi nella lettura del problema. Come nello sport, nel calcio in particolare, quando la squadra non ottiene risultati chi paga il conto è l’allenatore. Carlos Tavares a differenza di alcuni tecnici di football ostinati fino all’ultima sconfitta, ha scelto, spontaneamente costretto, di presentare le dimissioni con un anno abbondante di anticipo sulla scadenza del proprio contratto. Ha fatto quello che sapeva e poteva, John Elkann e Umberto Agnelli oltre che dall’araldica sono simili per il senso di fedeltà all’azienda ma è evidente che, rispetto a vent’anni fa, i tempi sono cambiati e con i tempi anche il sistema economico con una deriva dei costi.

Non si tratta di dire addio all’auto ma ai criteri che finora hanno tenuto in piedi le case costruttrici, è finito il tempo delle mele, dei privilegi, delle sovvenzioni ma anche vero che i lavoratori, non certamente la confederazione di Landini, chiedono chiarimenti, risposte, garanzie, progetti. L’ultimo esempio di Piaggio ne è la conferma se addirittura il sindacato ha ammesso che «con le attuali normative non ci sono più margini per produrre in Italia.

Sembra che soltanto l’Europa si preoccupi dell’inquinamento mentre al resto del mondo non frega nulla».

La palla è nel campo di John Elkann, è lui a dover rispondere, e non soltanto in Parlamento, alle richieste sul futuro di una delle nostre principali e storiche aziende.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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