Senza tasti, con una fotocamera in grado di far concorrenza a quelle tradizionali, e un design minimalista che avrebbe fatto la storia. Era questa la rivoluzione dell’iPhone, il melafonino immaginato da Steve Jobs negli Stati Uniti e fabbricato, come ormai qualsiasi prodotto tecnologico, in Cina. Due Paesi agli antipodi che si incontravano in quei pochi pixel. Nemici-amici. Perché Apple non può dimenticare che, volente o nolente, ha a che fare con una potenza straniera e, per di più, rivale della Casa Bianca.
Ora però le cose potrebbero cambiare perché l’azienda fondata da Steve Jobs, come riporta Bloomberg, sta puntando su un altro gigante asiatico, l’India, che non a caso è anche membro del Quad (il dialogo quadrilaterale di sicurezza al quale appartengono anche Usa, Australia e Giappone) che ha lo scopo di contenere le mire della Cina nell’Indo-Pacifico. Una questione di sicurezza, portata avanti da anni, e resa ancora più impellente ora che è tornato alla Casa Bianca. Nel primo mandato, infatti, il tycoon aveva avviato una pesante e pressante guerra commerciale con Pechino, che è stata interrotta solamente con l’arrivo di . Ma questa, come si suol dire, è storia. Quello che conta adesso è il presente. E il futuro. E, in quest’ottica, Nuova Delhi rappresenta grandi opportunità economiche (gli incentivi proposti dal primo ministro Narendra Modi) e tecnologiche (alta specializzazione a basso costo). Come spiega a il Giornale Vas Shenoy, Chief Representative per l’Italia della Camera di Commercio indiana: «Apple, su un piano strategico, segue la resilienza della catena di fornitura dei suoi fornitori taiwanesi. Aziende come Foxconn stanno investendo da noi non solo per supportare clienti come Apple, che cercano di ridurre i rischi legati alla Cina, ma anche come strategia eventuale contro una possibile invasione cinese di Taiwan». Sono i numeri a parlare: secondo le stime, nei prossimi due anni il big guidato da Tim Cook vorrebbe assemblare in India il 32% della produzione globale di iPhone (attualmente siamo tra il 12 e il 14%). Secondo l’Economic Time, si tratterebbe di un giro d’affari di trenta miliardi che, potenzialmente, potrebbe creare duecentomila posti di lavoro.
Fondamentale, in quest’ottica, la politica estera di Nuova Delhi: «È verosimile che la strategia di contenimento della Cina da Parte degli Stati Uniti trovi nell’India uno dei suoi pilastri», spiega Gabriele Natalizia, professore di Relazioni internazionali alla Sapienza. Che prosegue: «Si tratta di un controbilanciamento la cui direttrice non è solamente militare ma anche economica e che potrebbe costituire il principale elemento di discontinuità tattica tra l’ultima amministrazione democratica e quella repubblicana che prenderà ufficialmente avvio il 20 gennaio. Nonostante le criticità sotto il profilo delle infrastrutture che tuttora la affliggono, Nuova Delhi sembra uno dei candidati ad essere coinvolti nel progetto di friend-shoring per la produzione di alcuni beni che possono avere un valore strategico sia in ambito civile sia militare in momenti di particolare tensione internazionale».
È l’economia che si interseca alla politica. Che la anticipa.
E che, nel caso dell’azienda di Cupertino, inizia a tratteggiare il mondo che verrà. Un mondo dove la contrapposizione tra Est e Ovest sarà sempre più forte. E dove la sicurezza, in primo luogo quella tecnologica, sarà sempre più centrale.