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Boccia (Pd): «Sulle università online dal governo approccio mercantile»
Dal Ministero assicurano che si sta lavorando per fissare un valore standard di borse di studio, anche dopo la spinta del Pnrr; ricordano gli investimenti (687 mln in due tranche) per gli studentati, da leggere insieme ai valori del fondo finanziamento ordinario che nel 2025 ha avuto un taglio di 173 milioni, ma con la previsione – dicono – di tornare l’anno prossimo a 9 mld e 200 mln, più del 2023.Il dato oggettivo è il taglio dei fondi: se la Ministra è d’accordo sugli investimenti per favorire il diritto allo studio sostenga gli emendamenti Pd sulle residenze universitarie, ad esempio, battaglie portate avanti da Alfredo D’Attorre, referente Pd per università e ricerca. Ma anche sulle Università, come sul resto, il governo ha una visione privatistica. E così la legge consente alle telematiche, ad esempio, di non avere certi standard sul rapporto studenti/professori.Il decreto del governo Draghi fissava il 2024 come termine per equiparare le telematiche a quelle tradizionali nel rapporto studenti/professori. Non pare si vada in questa direzione, mentre sarebbe confermata una riduzione delle lezioni registrate e si confermano gli esami in presenza, sia pur con delle deroghe e con un’apertura alla possibilità di farlo in futuro da remoto, con tecnologie adeguate da definire in un nuovo dm. Non pensa però che anche le università tradizionali dovrebbero confrontarsi con le mutate esigenze aumentando l’offerta a distanza?Molte lo fanno, ma di sicuro devono attrezzarsi per rafforzare ulteriormente queste attività da remoto, conservando gli stessi standard di qualità. Il discente può scegliere se studiare a distanza, ma è fondamentale garantire un confronto di persona. L’Università è fatta anche di incontri, confronti, idee, di preparazione alla vita, oltre che alla professione e uno schermo non lo permette. Quanto agli standard garantiti, su ricerca e numero dei docenti ci deve essere assoluta parità tra università tradizionali e online. A fronte invece del boom di iscrizioni, negli stessi dieci anni i docenti delle telematiche sono passati solo da 288 a 582. La destra permette alle telematiche di non avere gli stessi standard, viste anche le commistioni politiche imbarazzanti, come quelle di Stefano Bandecchi (sindaco di Terni, fondatore della Niccolò Cusano, ndr), primo teorizzatore della telematizzazione della cultura. Per loro, l’importante è piazzare il prodotto, stanno scambiando l’università con Airbnb.Ci sono anche atenei telematici, nel cui comitato consultivo ci sono nomi di peso, compreso quello di Luciano Violante. LEGGI TUTTO
Lega contro Soprintendenze: nuove tensioni nella maggioranza
Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaDopo i distinguo dei mesi scorsi sull’Ucraina e le tensioni sul candidato del centrodestra per le regionali in Veneto, la Lega ha aperto un nuovo fronte nella maggioranza di governo, questa volta riguardo al ruolo delle Soprintendenze. La Lega ha ritirato il suo emendamento al decreto Cultura che aveva come obiettivo quello di “limitare” il potere delle Soprintendenze rendendo non più vincolante il loro parere sulle opere in zone sottoposte alla tutela paesaggistica. In cambio ha ottenuto il via libera alla discussione “in tempi brevi” di una proposta di legge sullo stesso argomento. Il decreto Cultura sarà approvato in Aula a Montecitorio la prossima settimana.Armi all’Ucraina«Più armi si inviano, più la guerra va avanti» aveva affermato a luglio scorso il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, in una diretta sui social, rispondendo a un follower che gli chiedeva di fermare il conflitto in Ucraina. Nonostante i distinguo («Noi auspichiamo che le parti inizino presto a dialogare e trattare anche grazie all’attivo coinvolgimento degli Usa. Ma fino a quel momento il nostro aiuto non dovrà cessare»), il Carroccio tuttavia non ha fatto mancare il suo voto all’ultimo decreto Ucraina che autorizza la proroga al 31 dicembre 2025 dell’invio di armi a Kiev. Loading…Terzo mandato e il ruolo di ZaiaDiscorso diverso sul terzo mandato per i governatori, che vede la Lega contrapposta a Fratelli d’Italia e Forza Italia. Dietro c’è la decisione del successore di Luca Zaia alla guida della Regione Veneto. La Lega (non potendosi ricandidare Zaia) ha rivendicato per sé l’indicazione del candidato governatore del centrodestra. Tuttavia Fratelli d’Italia, che alle europee di giugno si è confermato in Veneto di gran lunga come primo partito, chiede che sia un suo uomo a guidare la coalizione alla vittoriaProposta di legge per superare i vincoli delle SoprintendenzeAdesso nella maggioranza si apre il fronte Soprintendenze. «Superare i vincoli posti da alcune Soprintendenze è un obiettivo che ci proponiamo con un disegno di legge a carattere urgente che i gruppi della Lega depositeranno a inizio settimana sia alla Camera sia al Senato», ha annunciato Salvini. Si vedrà ora quale sarà la sorte di questo altro provvedimento che, oltre ad essere osteggiato dal collega di governo di Salvini, contrario ad ogni modifica che tolga l’aggettivo “vincolante” all’obbligatorietà del parere delle soprintendenze, vede i dubbi di FdI e il silenzio di FI. LEGGI TUTTO
Referendum, dal jobs act alla cittadinanza: su cosa si voterà in primavera
Ascolta la versione audio dell’articolo3′ di letturaAl via la campagna referendaria sul lavoro e sulla cittadinanza per gli extracomunitari. Sui cinque quesiti dichiarati ammissibili dalla Consulta – quattro promossi dalla Cgil – si voterà in primavera. «Sarà una primavera di diritti, democrazia e partecipazione», afferma il segretario generale Maurizio Landini sostenendo “5 sì” per «cambiare pagina» e «cancellare e modificare le leggi sbagliate, balorde, fatte in questi anni sul lavoro, a partire dal Jobs act». Quesiti sul lavoro a loro tempo firmati anche dalla segretaria del Pd, Elly Schlein (oltre che dai leader del M5s, Giuseppe Conte, e di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli): «Li ho firmati e non faremo mancare il nostro contributo, anche sulla cittadinanza», assicura la segretaria dem. Una scelta logica per Schlein, da sempre contraria alla riforma simbolo del governo Renzi. Ma non per un pezzo di Pd (a partire dall’ala riformista) che quella riforma all’epoca l’ha sostenuta. Non solo. La bocciatura da parte della Consulta del referendum per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, che avrebbe fatto da traino, rende molto difficile il raggiungimento del quorum.Jobs act nel mirinoTornando ai quesiti, nel mirino c’è innanzitutto il Jobs act per il ripristino dell’articolo 18 e quindi del reintegro nei casi di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti dopo il marzo 2015 (da quando sono entrate in vigore le norme del governo Renzi, che hanno introdotto il contratto a tutele crescenti).Loading…Gli altri tre quesiti sul lavoroIl secondo quesito riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. L’obiettivo è innalzare le tutele per chi lavora in aziende con meno di quindici dipendenti eliminando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato. Mentre il terzo punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine, per limitarne l’utilizzo a causali specifiche e temporanee. Infine, l’ultimo quesito riguarda l’esclusione della responsabilità solidale di committente, appaltante e subappaltante negli infortuni sul lavoro. In particolare, con il referendum si vogliono tagliare le norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.Il referendum sulla cittadinanza per gli extracomunitariL’altro quesito ammesso, proposto tra gli altri da +Europa, chiede di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanzaVoto in primaveraIl voto sui referendum sarà dunque in primavera: in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. In attesa che il governo fissi la data, gli scenari prevedono la possibilità di un accorpamento della consultazione referendaria con quelle previste in diversi Comuni, tra cui Genova, per l’elezione del sindaco. LEGGI TUTTO
Elezioni Germania, le reazioni di politici e partiti italiani alla vittoria di Merz
Il successo dell’unione Cdu-Csu apre la strada al ritorno della Grosse Koalition con l’Spd, ma è segnato anche dall’avanzata dell’ultradestra di Afd. E i risultati delle elezioni in Germania scatenano le reazioni della politica italiana. La premier Giorgia Meloni in una telefonata con il leader della Cdu, Friedrich Merz, si è congratulata “per la vittoria delle elezioni”, si legge in una nota di Palazzo Chigi. La presidente del Consiglio, inoltre, “ha confermato l’auspicio di poter ulteriormente intensificare le già eccellenti relazioni bilaterali ed espresso la disponibilità a lavorare sin da subito in stretto contatto per rafforzare la sicurezza, rilanciare la competitività dell’Europa e affrontare le numerose sfide comuni, a partire dal contrasto all’immigrazione irregolare”.
Salvini: “Voto popolare non sia sovvertito da inciucio”
Dal canto suo, il vicepremier e segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, ha commentato: “Credo che questo voto permetterà alla Germania di avere un governo stabile” e “il successo dell’alleanza Cdu-Csu è il miglior antidoto contro gli estremismi e i populismi che rischiano di fare danno all’Europa”. E poi ha aggiunto: “L’Afd non è un nostro interlocutore, perché ha una visione completamente diversa dalla nostra. Rispetto tutti coloro che votano, ma le posizioni dell’Afd sono inconciliabili con le mie, io sostengo la Cdu-Csu”. Mentre la Lega ha ‘esultato’ per il risultato ottenuto dal partito guidato da Alice Weidel. “Di estremo io vedo poco e niente. Spero che il voto popolare non venga sovvertito con un inciucio fra popolari e socialisti”, è stata la sintesi offerta da Matteo Salvini.
Schlein: “Destre forti, ma non imbattibili”
La segretaria del Pd, Elly Schlein, nel corso di una diretta social, ha consegnato questa analisi: “Sicuramente hanno pesato molto in Germania, come negli Usa, la condizione materiale delle persone” e “la recessione economica che va avanti da tempo in Germania”. E poi ha posto l’accento sul fatto che “le destre sono forti oggi, anche con la spinta di Trump e Musk, ma non sono imbattibili. Non le batteremo seguendole, ma sul terreno economico e sociale, dove non hanno saputo rispondere ai bisogni”. Secondo Carlo Calenda, leader di Azione, invece, “è un fatto positivo che in Germania abbia vinto la Cdu e credo che ci si potrà lavorare per costruire un’Europa più forte. Però adesso la questione fondamentale è che il governo tedesco sia anch’esso forte e decisionista, capace di marginalizzare la Afd”. Per Italia viva la coordinatrice nazionale Raffaella Paita ha scattato questa fotografia: “I tedeschi con questo voto hanno ribadito che vogliono una Germania europeista e indipendente da influenze esterne. Ora l’Europa deve darsi una sveglia”. E Angelo Bonelli, deputato di Avs, ha commentato: “Le elezioni in Germania sono state profondamente condizionate dalle ingerenze di Elon Musk, esponente del governo Trump e proprietario della piattaforma X, che ha cercato di manipolare il voto in favore dell’AfD, partito di estrema destra con radici naziste. Eppure, nonostante questa intromissione, Musk è stato sconfitto: non ci sarà alcun governo con Afd“.Approfondimento
Afd vola a Est e prenota la guida dell’opposizione LEGGI TUTTOCaso Santanchè, da Ruggiero a Sangiuliano: ecco i 33 ministri che si sono dimessi dal 2001
Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaL’attuale premier, Giorgia Meloni, ha già accolto le dimissioni di un suo ministro: quelle di Gennaro Sangiuliano. Che a settembre 2024 ha lasciato l’incarico di responsabile della Cultura per l’esplosione del “caso Mario Rosaria Boccia”. L’uscita dall’esecutivo di Sangiuliano non è affatto un inedito. Negli ultimi 25 anni sono 33 i ministri che per motivi vari (giudiziari, politici o personali) hanno abbandonato il dicastero loro affidato. In altre parole, dal 2001 il 12% dei 278 ministri nominati dai presidenti del Consiglio che si sono succeduti a Palazzo Chigi ha concluso prematuramente l’esperienza di governo: da Renato Ruggiero e Claudio Scajola nel secondo esecutivo Berlusconi a, appunto, Sangiuliano passando per Federica Mogherini, Maria Carmela Lanzetta e Maurizio Lupi nell’esecutivo Renzi e Lorenzo Fioramonti nel “Conte 2”. Una percentuale che potrebbe subire un aggiornamento per l’evoluzione delle vicende giudiziarie, e anche politiche, legate al ministro del Turismo, Daniela Santanchè. Vicende che sono al centro in queste settimane delle mozioni di sfiducia, presentate dalle opposizioni, che sono in discussione in Parlamento.Il picco di dimissioni con il secondo governo BerlusconiIn carica dall’11 giugno 2001 fino al 23 aprile 2005 il secondo governo presieduto da Silvio Berlusconi lungo il cammino vide diversi ministri lasciare l’incarico per varie ragioni. A partire da quelli degli Esteri, Renato Ruggiero, dell’Interno, Claudio Scajola e dell’Economia Giulio Tremonti. A presentare le dimissioni furono anche il ministro della Funzione pubblica, Franco Frattini, nominato da Berlusconi alla Farnesina al posto di Ruggiero, Giuseppe Pisanu, che abbandonò il ministero dell’Attuazione del programma per subentrare a Scajola al Viminale, e l’allora leader della Lega, Umberto Bossi, che lasciò il ministero delle Riforme (dove fu sostituito da Roberto Calderoli) per il seggio di parlamentare europeo. Poi nel novembre 2024 toccò ancora Frattini abbandonare pure il ministero degli Esteri (dove approdò l’allora vicepremier e leader di An, Gianfranco Fini) per la designazione a nuovo Commissario Ue al posto di Rocco Buttiglione, che aveva rinunciato dopo le polemiche suscitate dai suoi interventi sulle coppie gay. Nel dicembre 2004 il ministro della Funzione Pubblica, Luigi Mazzella, che due anni prima aveva preso il posto di Frattini a Palazzo Vidoni, rassegnò le dimissioni e venne sostituito da Mario Baccini (Udc). Quattro mesi più tardi, nell’aprile 2005, tutta la delegazione dell’Udc si ritirò dal governo: oltre a Baccini, i ministri per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, e per le Politiche comunitarie, Rocco Buttiglione, e il vicepremier Marco Follini.Loading…Le uscite dal “Berlusconi III” e dal “Berlusconi IV”Il terzo governo Berlusconi resta in carica dall’aprile 2005 al maggio del 2006. Ma già nel settembre del 2005 il ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco (che nel secondo esecutivo Berlusconi aveva preso il posto di Tremonti) si dimette per tensioni sulle vicende del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio; e sulla legge Finanziaria. Nel febbraio del 2006 si dimette anche il ministro delle Riforme Calderoli dopo le polemiche seguite alla t-shirt con le vignette danesi su Maometto che aveva mostrato in Tv. E ad annunciare le dimissioni nel marzo 2006 è anche il ministro della Salute Francesco Storace per la vicenda delle intercettazioni, dopo l’arresto di 16 persone che avrebbero spiato i suoi rivali Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini prima delle elezioni regionali del 2005. Anche il quarto governo Berlusconi, operativo dal maggio 2008 al novembre 2011, non rimane immune dall’effetto dimissioni. Il primo a lasciare l’incarico nel 2010 è il ministro delle Regioni e per la coesione territoriale, Raffaele Fitto (all’epoca esponente Pdl). Nell’aprile 2010 il suo collega di partito Giancarlo Galan viene nominato ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, a seguito delle dimissioni del leghista, Luca Zaia, eletto presidente della Regione Veneto. Lo stesso Galan annuncia le sue dimissioni nel marzo del 2011, quando va a ricoprire l’incarico di ministro dei Beni culturali, lasciato da Sandro Bondi (Pdl). Sempre nel 2010 Paolo Romani (Pdl) è nominato ministro dello Sviluppo Economico, sostituendo Berlusconi, che aveva mantenuto l’interim del dicastero dopo le dimissioni di Claudio Scajola nel maggio dello stesso anno. Il 2010 vede anche le dimissioni di Aldo Brancher, all’epoca ministro per la Sussidiarietà e il Decentramento. Nel 2011 arrivano anche quelle di Angelino Alfano da ministro della Giustizia dopo essere stato nominato segretario del Popolo della Libertà.Mastella lascia il secondo governo ProdiNel gennaio 2008, durante il secondo governo Prodi (in carica dal maggio 2006 al maggio 2008), l’allora ministro della Giustizia, e leader dell’Udeur, Clemente Mastella, lascia l’incarico per le accuse di concorso esterno in associazione a delinquere della procura di Santa Maria Capua Vetere (dalle quali è stato poi assolto nel 2017). Le dimissioni di Mastella hanno provocano l’uscita dalla maggioranza dell’Udeur, che si è rivela uno dei passaggi decisivi nella caduta dell’esecutivo sostenuto da una coalizione di centrosinistra.Quattro i ministri usciti dal governo RenziAd abbandonare il governo Renzi, in carica tra il 2014 e il 2016, sono stati quattro ministri. A cominciare da quello degli Esteri, Federica Mogherini (Pd), che dal novembre 2014 era stata chiamata a ricoprire il ruolo di Alto appresentante per la politica estera della Ue a Bruxelles. Ad annunciare le dimissioni è poi il ministro per gli Affari Regionali, Maria Carmela Lanzetta (Pd), in vista di un incarico nella giunta calabrese di Mario Oliverio. A seguito di vicende giudiziarie legate al cosiddetto scandalo Grandi Opere, che aveva coinvolto il dicastero delle Infrastrutture, l’allora ministro Maurizio Lupi (all’epoca Ncd) lascia l’incarico. Così come nell’aprile del 2016 il ministro per lo Sviluppo Economico, Federica Guidi, per le ricadute relative all’inchiesta Tempa Rossa. LEGGI TUTTO
POLITICA
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