Le incognite sono incalcolabili: crisi geopolitica, passaggio generazionale, transizioni da abbracciare e persino un certo cambio di pelle del lusso. L’eccellenza italiana resta un brand riconoscibile nel mondo ma per intraprendere azioni di tutela bisogna prevedere dinamiche, fenomeni e anche cambiamenti in corso. Quale futuro allora per il Made in Italy? Nella Biblioteca Capitolare di Verona riecheggiano come macigni le parole di Domenico De Angelis (condirettore generale Chief Business Officer Banco Bpm), che rispondendo ad Andrea Ruggieri parla di «rivoluzione impressionante in atto nel mondo del lusso». Secondo De Angelis, a fronte di una qualità non sempre rapportata ai prezzi, si assiste ad una crescente maturazione del consumatore che «oggi è alla ricerca del vero assoluto nel lusso. Non si accontenta più di quello ordinario, del prodotto firmato dal grande marchio che si rivela però di terz’ordine. Oggi valuta l’eccellenza assoluta. E questo vale per tutti i settori: dal vino al fashion passando per la tecnologia». Insomma, un campanello d’allarme di non poco conto nella fenomenologia antropologica del Paese reale perché racconta di uno scenario nel quale interi comparti sarebbero già oggi di fronte a un bivio: «Gli imprenditori devono capire che la scelta sta nell’alzare la qualità del premium level o nel ridefinire un diverso rapporto tra qualità e prezzo».
Ma per l’eccellenza italiana la sfida del futuro è duplice ed è rappresentata dalla digitalizzazione e dalla sostenibilità. Ne è convinta Anna Carbonelli, responsabile Solution Imprese Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, secondo la quale «la spinta all’innovazione passa da molto share cloud, da IT e, nell’agricoltura in particolare, consente la tracciabilità dei processi, dalla semina alla tavola. Intesa Sanpaolo svolge un’intensa attività di formazione e di assistenza che va da webinar ai laboratori ESG sul territorio, oltre alla presenza costante di agronomi che parlano il linguaggio dell’imprenditore». Chi ha investito prima di altri su capitale umano e innovazione è la Maccarese Spa, azienda leader nel settore agroalimentare che proprio quest’anno compie un secolo. Nata come società di bonifiche, nel 1998 viene acquistata dal Gruppo Benetton e oggi fattura circa 15 milioni di euro l’anno tra settore agricolo, zootecnico e energetico. «L’innovazione non è altro che tradizione che si rinnova – esordisce l’ad Claudio Destro – già tra il 1945 e il 1950 la nostra azienda faceva corsi per le famiglie, introduceva bonus bebè, faceva corsi per la sicurezza ai dipendenti». E oggi la Maccarese «ha fondato un istituto agrario e insieme all’Università Tor Vergata ha dato vita alla facoltà di veterinaria per formare figure che possano usare nuovi strumenti».
Una vision che trova consenso nel direttore De Angelis: «La digitalizzazione è fondamentale ma il problema attuale è quello di mettere i nostri uomini in condizioni di saper far bene il loro lavoro. Sono deboli i giovani rispetto alla competenza dell’imprenditore o sono le aziende troppo aggressive?». Ed ecco che ricorre il tema della formazione.