in

Squilibri americani


Prima la crisi dei prestiti subprime, poi la scelta di far fallire Lehman Brothers, ora la bomba-dazi sganciata sul mondo intero: in meno di vent’anni gli Stati Uniti sono riusciti a provocare tre terremoti finanziari di portata così ampia da eguagliare i drammatici crolli borsistici che hanno segnato il secolo scorso. Con l’aggravante odierna che ad essere squassati sono anche gli equilibri del commercio globale, in un caos di ordini e contrordini che fanno temere concreta la prospettiva di uno scontro dove alla fine tutti perderanno. Ciò che rende la situazione ai limiti del grottesco è la convinzione, diffusa soprattutto negli Stati Uniti, secondo cui Washington sta distruggendo il sistema commerciale mondiale sulla base di colossali falsità. Ovvero che dietro le motivazioni sbandierate in mille comizi da – i «furti» e le «ruberie» a danno degli Stati Uniti praticati da Paesi amici e nemici attraverso i dazi – si nasconda un deficit statale che ha origini ben diverse, assai più interne. Non che in alcuni casi Trump abbia torto, qualche eccesso si è visto (sebbene nessuno abbia compreso come nascano le percentuali esibite durante lo show nel Rose Garden), ma il punto è che il disavanzo commerciale di uno Stato non è che in minima parte dovuto agli scambi più o meno amichevoli con i Paesi in surplus, il resto va infatti inquadrato nel più ampio conto delle partite correnti: è il cosiddetto modello dei deficit gemelli. È bene ricordare che negli Stati Uniti in profondo rosso c’è anche il bilancio pubblico, che Washington riesce a sostenere solo grazie alla forza del dollaro quale valuta di riferimento. I due deficit tendono a viaggiare in parallelo: entrambi indicano un eccesso strutturale degli investimenti rispetto ai risparmi. Per ridurre il deficit commerciale, si dovrebbe prima aggredire con decisione il bilancio pubblico. Ebbene, nel 2024 gli Stati Uniti hanno esportato beni e servizi per 4.800 miliardi di dollari a fronte di un import per 5.900 miliardi: il deficit è perciò di 1.100 miliardi. A sua volta la spesa totale è ammontata a 30.100 miliardi a fronte di un Pil pari a 29.000 miliardi. Come efficacemente ha sintetizzato l’economista Jeffrey Sachs della Columbia University, se entri in un negozio e spendi il doppio del tuo stipendio, la colpa del disavanzo non è del negoziante ma dei tuoi sprechi.

Quali che siano le motivazioni di Trump, e tra di esse non va sottovalutata la sua aspirazione massima ovvero restituire alla politica il primato sull’economia, sarà cura degli storici recriminare su ciò che è vero e ciò che è falso. Oggi possiamo solo osservare che il danno è fatto, che le Borse sono crollate – probabilmente cadranno ancora (leggere a pagina 3 il decalogo per l’autodifesa da crolli spiegato da Massimo Doris) – e gli equilibri del commercio globale sono compromessi. Per noi europei ora si tratta di capire come reagire per non rendere ancora più grave la situazione, magari cogliendo l’opportunità di questo forte choc per ricompattare l’Unione su temi fino a ieri divisivi.

Soprattutto evitando di farsi prendere dall’ansia di risposte altrettanto cruente: in queste situazioni le pistole poggiate sul tavolo della trattativa non sono lì per sparare, ma per indurre a più miti consigli chi sta di fronte.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


Tagcloud:

Elezioni comunali a Bolzano, chi sono i candidati sindaco

”Quando ho parlato di Laura, ho infierito un po”: Sonia Bruganelli pentita dell’attacco alla Freddi, va in tv col figlio Davide