Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha sollecitato il governo a fare di più in materia di semplificazioni, da sempre tasto dolente nella nostra cara Italia. Lo ha fatto estraendo dal suo cilindro un’immagine esemplificativa particolarmente efficace. Ha spiegato: un intervento deciso per ridurre la burocrazia risulta essere più efficace di dieci leggi di bilancio. Quanto affermato dal numero uno della sigla che rappresenta il mondo dell’industria (va detto, soprattutto della grande industria o quel che ne resta) ha un certo peso. La macchina burocratica che funziona assai a rilento, mettendo i bastoni fra le ruote alle imprese e ai cittadini/contribuenti, è tra le cause principali di ridotta competitività e attrattività del Sistema Paese. Dunque, semplificare è un verbo che è come l’aria fresca. È un respiro che rende le cose che si fanno più convenienti e redditizie. D’altronde il suo contrario è complicare, ingarbugliare. La burocrazia che complica e ingarbuglia è un problema che pone, chi vi è costretto a farci i conti per qualsivoglia motivo, nella condizione di vivere l’esperienza della crisi di nervi. La burocrazia è antieconomica perché genera ritardi, perdita di tempo, occasioni mancate. Intendiamoci, non si tratta di prendersela con l’esercizio della burocrazia in quanto tale, cioè quei rami dei pubblici uffici chiamati a svolgere le doverose incombenze amministrative. Il punto è che il rapporto con questi uffici è all’insegna della stortura, il che si traduce nella sostanza in assenza di relazione virtuosa. Uffici pubblici che dovrebbero essere luoghi al servizio delle legittime esigenze dei contribuenti sono nella gran parte dei casi ambiti di mancanza di risposte certe e celeri.
Negli anni i governi hanno parlato della necessità di riformare il nostro sistema burocratico. Nei fatti, finora, si è visto poco o nulla. In questo esecutivo l’impronta liberale non è certo marginale. Ecco perché un’accelerazione sul tema delle semplificazioni è lecito attendersela.
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