Stefano Vincenzi, da oltre quarant’anni in Mediobanca, responsabile degli Affari Legali dell’istituto, in pratica il lobbista di Piazzetta Cuccia, uomo che si muove con grande dimestichezza in ambienti come la Consob (da cui è stato più volte nominato esperto in occasione di gruppi di lavoro europei in materia di mercati) o l’Ivass, l’istituzione che vigila sulle assicurazioni. Dunque, una figura molto importante per le attività della banca d’affari. Al punto che la Procura di Milano, dove pare abbia altrettanta dimestichezza, nel novembre 2014 lo definì «pluripotenziario di Mediobanca nella definizione della sorte del gruppo Fondiaria». Ebbene, qualche settimana fa Vincenzi è stato audito da quella stessa Procura (ovviamente da pm diversi) quale autore della querela-civetta presentata a gennaio e più tardi da una ponderosa documentazione tendente a rafforzarne l’impianto. Obbligati a procedere, i magistrati hanno così aperto un fascicolo sul ruolo di Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri nell’asta indetta dal Tesoro per il collocamento del 15% di Banca Mps. Lo scopo in chiaro di Vincenzi è dimostrare che la cessione dei titoli dell’istituto senese è avvenuta previo concerto tra i due imprenditori insieme al vertice del Banco Bpm e a esponenti del Tesoro, con l’obiettivo di dare vita al terzo polo bancario. Lo scopo non dichiarato del lobbista di Mediobanca – non ci vuole molto a intuirlo – è invece fare pressioni affinché l’azione dei pm congeli con qualche provvedimento inibitorio l’Ops lanciata da Mps su Piazzetta Cuccia per determinarne l’insuccesso. Obiettivo ardito, perlomeno per le dinamiche del collocamento per come le conosciamo (sono pubbliche); oltre al fatto che qualora ci fosse stato effettivamente un concerto (in verità decisamente atipico), a sconcertarlo ci ha pensato di lì a poco Unicredit con il blitz su Banco Bpm. Ma tentar non nuoce, avranno pensato in Mediobanca.
Anche perché se le indagini dovessero procedere ne verrebbe coinvolto il Tesoro stesso, avendo Vincenzi segnalato il coordinatore dell’asta, vale a dire l’ex direttore generale Marcello Sala. E non vorremmo che, nella foga della denuncia, avesse coinvolto anche il titolare del ministero con l’ipotesi di «traffico di influenze». Il che sarebbe il colmo per un lobbista.