L’introduzione dei dazi statunitensi sui prodotti europei rischia di colpire duramente l’economia italiana, mettendo a rischio 68.280 posti di lavoro e causando una perdita potenziale di 18 miliardi di euro di produzione, pari a circa il 25% dell’export nazionale verso gli Stati Uniti. A lanciare l’allarme è Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, commentando i dati contenuti nel Focus Censis-Confcooperative “L’Italia stretta tra dazi e dipendenza strategica”.
«In questo balletto di annunci di Trump – afferma Gardini – lo studio disegna uno scenario preoccupante per il tessuto produttivo nazionale». L’analisi evidenzia che l’impatto dei dazi non si limiterebbe ai settori tipicamente coinvolti nel commercio internazionale, ma si estenderebbe in modo trasversale a tutta l’economia, coinvolgendo anche comparti insospettabili.
Tra i più esposti il settore alimentare, che da solo rischia 6.380 posti tra produzione agricola e industria alimentare, seguito dalla fabbricazione di macchinari e apparecchiature (-5.000), produzione di metalli (-4.950), tessile e abbigliamento (-4.800). Ma anche il commercio all’ingrosso (-3.260), i servizi amministrativi (-3.210) e perfino i servizi legali e contabili (-2.630) potrebbero subire gravi contraccolpi.
«Non si tratta solo di numeri – avverte il rapporto – questi settori rappresentano interi territori produttivi, spesso costituiti da piccole e medie imprese, dove la perdita anche di poche centinaia di posti può tradursi in chiusure aziendali e impoverimento strutturale». Il rischio, quindi, è quello di un indebolimento profondo dei sistemi locali, costruiti nel tempo su reti cooperative, artigiane e industriali orientate all’export.
Gardini sollecita una doppia strategia per fronteggiare la minaccia: «Bisogna lavorare su due fronti: da un lato l’azione diplomatica è l’unica che possa sciogliere questo nodo. Dall’altra occorre un lavoro incessante di governo, istituzioni e imprese per aprire nuovi mercati».
Ma il presidente di Confcooperative punta il dito anche contro le carenze del progetto europeo: «All’Europa continua a mancare una visione politica ed economica di sistema». Una maggiore integrazione interna – osserva Gardini – permetterebbe di aumentare la produttività del 7% nel lungo periodo, colmando parte del divario con gli Stati Uniti. I dati del Fondo Monetario Internazionale mostrano infatti che gli ostacoli burocratici e normativi tra gli Stati membri Ue equivalgono a un dazio implicito del 44% sui beni e del 110% sui servizi.
Il tutto si inserisce in un contesto già instabile: dopo un calo del -9,6% dell’export italiano verso gli Usa a febbraio 2025, marzo ha visto un balzo del +41,2%, seguito però da un nuovo calo dell’1,9% in aprile. «Una dinamica tipica – osserva il Focus – dei contesti ad alta volatilità: una forma di stress commerciale indotto non dai dazi in sé, ma dalla loro semplice possibilità».
Un’incertezza che si riflette anche nell’indice globale sulla politica commerciale, salito a 603 punti a marzo (contro una media storica di 40), e raddoppiato ad aprile a 1.151 punti.
L’eventuale attivazione dei dazi rischierebbe di colpire il surplus commerciale italiano con gli Usa, pari a 38,87 miliardi di euro nel 2024, con 17,9 miliardi di euro di produzione a rischio nei settori più vulnerabili. Una cifra che rappresenta il 71,6% del danno complessivo.