«Quello che ho costruito basterà per generazioni, guadagnare 1 euro in più o in meno non significa più nulla per me. Ho iniziato a pensare al bene comune. Assicurarmi che Generali non cada nelle mani sbagliate è qualcosa che conta». Lo ha detto Francesco Gaetano Caltagirone a Bloomberg che gli ha dedicato un lungo articolo-intervista in cui viene ricordata la sua storia, dai palazzi costruiti in tutta Roma all’impero del cemento e ai giornali, a partire dal Messaggero.
Ma è il risiko sotto i riflettori perché l’imprenditore romano oggi è al centro di tutte le principali partite del settore finanziario e assicurativo italiano. Come pivot delle grandi manovre e come azionista di peso di Mediobanca, Mps, Banco Bpm, Anima, Mediobanca e soprattutto Generali.
A Bloomberg Caltagirone ribadisce che l’accordo tra Generali e la francese Natixis smantella la capacità del Leone di prendere decisioni di investimento e controllare il rischio. Quel che è peggio, dal suo punto di vista, è che le decisioni su come investire i risparmi italiani ora verrebbero prese da Parigi. Dell’ad del gruppo assicurativo, Philippe Donnet, dice che «è un buon assicuratore, ma manca di una visione strategica per l’espansione o le fusioni e acquisizioni». Secondo l’imprenditore, «Generali dovrebbe aspirare a essere un attore globale radicato in Italia, pronto a cogliere grandi opportunità nel settore assicurativo» perché «se si raccolgono i risparmi delle persone, bisogna anche utilizzarli per promuovere la crescita delle aziende in base ai Paesi in cui queste persone vivono».
Con il sostegno di Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio, e del governo, Caltagirone è dunque fermamente intenzionato a mantenere la compagnia e i suoi 36 miliardi di euro di titoli di Stato saldamente sotto il controllo italiano. Il ricordo della crisi del debito sovrano italiano del 2011 fa sì che molti negli ambienti politici del paese vedano Generali come qualcosa di più di una semplice azienda. Quattordici anni fa, le grandi banche nazionali e le compagnie assicurative, sostenute dal governo dell’allora primo ministro Mario Monti, agirono da baluardo contro gli investitori che stavano svendendo i titoli di Stato, ricorda Bloomberg. Lo spettro sollevato da Caltagirone ora è: se la nazione dovesse mai più affrontare una situazione simile, potrebbe contare sull’aiuto dei gestori patrimoniali francesi? «Si sta demolendo una struttura costruita in due secoli per gestire i risparmi in cambio di una fragile partnership, non c’è una valida giustificazione economica», osserva ancora.
L’operazione di gran lunga più importante è l’offerta lanciata dal Monte dei Paschi su Mediobanca. Se l’Ops avrà successo, anticipa Bloomberg, «probabilmente sarà rimosso l’ad di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel (da tempo alleato di Donnet) e la partecipazione di Mediobanca nel Leone verrebbe ceduta all’istituto senese». Garantendo così a Caltagirone la vittoria nella sua lunga campagna per cambiare la governance di Trieste e ridurre la presa di Piazzetta Cuccia.
Intanto, alle parole scambiate con Bloomberg si aggiunge l’eco dell’intervento che lo stesso Caltagirone ha tenuto la settimana scorsa sul palco del Festival dell’Economia di Trento. In quella occasione non si parlava di risiko, il dibattito tra l’imprenditore romano e l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, era su cambiamento o conservazione. «La democrazia aveva detto Caltagirone – elegge qualcuno che poi però deve avere i poteri e non lacci e laccioli che lo frenano. Quale è l’antidoto al potere che gli si dà? Il mandato deve essere breve e non deve essere rieleggibile. I romani avevano il mandato dei consoli di un anno, ed è lo Stato che è durato di più nei secoli.
Per garantirci la libertà abbiamo bisogno che i mandati siano brevi», ha aggiunto l’imprenditore. Riferendosi, appunto, in generale alle democrazie e alla libertà. Con un ragionamento che però, a molti, è sembrato assai calzante con ciò che l’ingegnere pensa dei vertici di Mediobanca.