Il vertice di maggioranza ha prodotto alcune modifiche importanti alle imposte sui redditi per dipendenti, autonomi e imprese. Vediamo nel dettaglio i benefici che le misure da inserire in manovra porteranno nelle tasche degli italiani.
Ires premiale
L’aliquota sarà abbassata dal 24 al 20% per le imprese che investono e che assumono nuovo personale. Se i parametri fossero quelli delineati da Confindustria nelle sue proposte (70% degli utili non distribuito e investimenti in acquisizione di macchinari, assunzioni di giovani e investimenti in ricerca e nuove tecnologie), l’aliquota diminuirebbe del 16,6% per le aziende che operano in questa direzione.
Ad esempio, su un imponibile di 300.000 euro (a fronte di utili per 250.000 mila euro di cui 180.000 reinvestiti) si pagherebbero 60.000 euro di Ires e non più 72.000 euro. In realtà, questa azienda X si troverebbe in questa situazione solo se il suo imponibile fosse costante (ad esempio, in presenza di un aumento degli utili) perché, già assumendo personale e investendo in tecnologie di tipo Transizione 4.0 (ma anche per macchinari rientranti nella Nuova Sabatini), i vantaggi fiscali sottoforma di crediti contributivi e di imposta dovrebbero abbattere ulteriormente il tax rate in cambio della rinuncia ai dividendi da parte dei soci.
«La proposta di abbassare l’aliquota fiscale dal 24% al 20% per le imprese che investono e assumono nuovo personale rappresenta un’iniziativa interessante per stimolare la crescita economica e l’occupazione. Ridurre la pressione fiscale può incentivare le aziende a reinvestire i propri profitti, favorendo l’innovazione e la competitività», commenta Gianluca Timpone, fiscalista e docente all’Università Europea di Roma, evidenziando, tuttavia, che «la condizione di rinuncia ai dividendi da parte dei soci potrebbe essere vista come un limite, specialmente per le aziende che dipendono da questi pagamenti per attrarre investitori».
Allargamento della platea della flat tax
Introdotto a partire dal 2015 il regime forfettario sta registrando da parte dei contribuenti un’adesione pressoché costante nel corso degli anni. Secondo i dati resi noti dal dipartimento delle Finanze, nel 2022 una partita Iva su due (49,2%) ha scelto la flat tax. Su una platea di 3,8 milioni di persone fisiche titolari di partita Iva che hanno presentato dichiarazione ai fini delle imposte dirette, quelle in regime fiscale di vantaggio o regime forfettario rappresentano sono la metà e di questi la quasi totalità è nella tassa piatta (circa 1,8 milioni, con una crescita del 4,4% rispetto al 2021).
I destinatari del regime forfettario sono i contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni. I requisiti sono due: aver conseguito ricavi/percepito compensi nell’anno precedente a quello di applicazione, non superiori a 85 mila euro;
aver sostenuto nell’anno precedente spese per un ammontare complessivamente non superiore a 20 mila euro lordi, nel caso di lavoro accessorio, lavoratori dipendenti e collaboratori, anche assunti “a progetto”.
Finora il conseguimento di un reddito da lavoro dipendente superiore ai 30mila euro lordi annui ha comportato l’impossibilità di accedere a questo regime agevolato. Una barriera di accesso valida sia per chi, nel corso dell’anno, superasse il tetto massimo consentito sia per coloro che licenziandosi (o essendo licenziati) avessero voluto intraprendere un’attività di lavoro autonomo. Non esistono, al momento, statistiche sui percettori di redditi da lavoro dipendente titolari di partita Iva (per questo bisognerà attendere l’emendamento del governo), ma ciò che sappiamo è che l’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro ha evidenziato che l’introduzione di questo nuovo regime nel 2020 ha impedito l’accesso a 10mila lavoratori con redditi da lavoro o da pensione al regime. In particolare, avrebbero desistito dall’arrotondare la pensione circa 3.500 neo iscritti over 65 e dall’incrementare i propri guadagni circa 4mila autonomi fra i 51 e 65 anni con redditi superiori a 30.000 euro l’anno.
Per converso, possiamo ipotizzare il risparmio di chi accede al regime forfetario. Su un fatturato annuo di 75mila euro con imponibile attorno ai 47mila euro l’imposta scende da 32mila a 24mila euro. Il risparmio di imposta immediato è del 25%. Ovviamente, occorre vedere se la convenienza di questo regime si esplichi al massimo (ipotesi molto probabile) visto che si può godere di un esonero Iva e di uno sconto sui contributi Inps, ma si deve rinunciare alla detrazione delle spese ove si superi la soglia consentita. Insomma, si tratta di un guadagno non indifferente per tutti coloro che si trovassero in queste condizioni e si tratta di qualche decina di migliaia di contribuenti.
Detassazione al 5% degli straordinari di infermieri e specializzandi
L’accordo di maggioranza prevede la tassazione al 5% per gli straordinari degli infermieri e degli specializzandi. Si tratta di una voce stipendiale che differisce da quella relativa al taglio delle liste di attesa (decreto convertito in legge lo scorso agosto) perché sono due stanziamenti differenti. Il pagamento degli straordinari legati alle esigenze organizzative delle singole Asl è un capitolo a parte.
Premesso che dal conto annuale del 2022 elaborato dalla Ragioneria generale dello Stato il numero degli infermieri turnisti è pari a 140.253 (corrispondente a circa il 50% del totale) e premesso che ai fini del lavoro straordinario l’importo subisce notevoli variazioni a seconda dell’anzianità del personale interessato, il valore dello straordinario differisce a seconda che si tratti di straordinario diurno, notturno e festivo oppure festivo.
Una volta detratti gli oneri deducibili, l’incremento effettivo netto in busta paga per ciascuna ora di lavoro straordinario un infermiere con una media anzianità di 25 anni circa, è pari a 4,80 euro per ciascuna ora di straordinario diurno, 5,43 euro per ciascuna ora di straordinario notturno e festivo e 6,26 euro per ciascuna ora di straordinario festivo notturno. È quanto emerge da una elaborazione del Centro studi Nursind per il Giornale. L’ammontare mensile complessivo dipenderà, poi, dall’impiego della forza di lavoro ma – se gli stanziamenti saranno adeguati – è possibile affermare che il maggior impiego di infermier e specializzandi troverà un opportuno riconoscimento.
“È un buon segnale di attenzione per gli infermieri. Anche se noi avevamo chiesto di detassare il lavoro del personale turnista, che è quello più sotto stress e in fuga dalla professione, infatti, qualora questa flat tax al 5% sugli straordinari fosse confermata in manovra, vorrebbe dire comunque aver portato al tavolo delle istituzioni il grave problema della carenza di organico”, commenta il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega. “Non stiamo dicendo che una questione di tale portata si risolva con una detassazione – puntualizza – ma evidenziamo che almeno per tutti gli infermieri che coprono le 24 ore e che, quindi, spesso fanno straordinari ci sarà un riconoscimento economico per il loro lavoro”. “Confidiamo – conclude Bottega – che si possa poi affrontare il nodo degli organici e individuare soluzioni strutturali, in grado di restituire appeal a una professione di cui c’è drammaticamente bisogno e ce ne sarà sempre di più in futuro”.
Il taglio dell’Irpef
L’abbassamento dell’aliquota intermedia Irpef del 35% è rimandato a una fase successiva al consolidamento dei conti pubblici che potrebbe concretizzarsi a inizio 2025, soprattutto se il gettito fiscale consentisse un miglioramento anticipato del rapporto deficit/Pil (atteso al 3,8% quest’anno e al 3,3% nel 2025). La riapertura fino al 12 dicembre del concordato preventivo biennale ha aumentato le probabilità. Se il gettito – dagli attuali 1,3 miliardi della prima fase – raggiungesse i 2,5 miliardi, sarebbe possibile un taglio di due punti al 33% con estensione ai redditi fino a 60mila euro o anche oltre. La Fondazione nazionale dei Commercialisti ha formulato due ipotesi: la prima con un taglio dell’aliquota al 34%, la seconda al 33%, in funzione delle risorse disponibili. Secondo le simulazioni effettuate, una riduzione della seconda aliquota comporterebbe i seguenti effetti:
A 40.000 euro di reddito, una riduzione dell’aliquota al 34% genererebbe un risparmio annuo di 543 euro, che salirebbe a 627 euro con un’aliquota al 33%.
A 60.000 euro, il beneficio fiscale sarebbe di 220 euro con aliquota al 34% e 440 euro con aliquota al 33%.
I commercialisti hanno anche stimato gli effetti derivanti dalla loro proposta di utilizzare gli incassi derivanti dal concordato preventivo biennale per alzare il limite del secondo scaglione. Se le risorse disponibili fossero quelle attualmente stimate pari a 1,3 miliardi derivanti dagli incassi del concordato preventivo biennale, allora sarebbe possibile innalzare il limite del secondo scaglione Irpef non oltre 56 mila euro con guadagni massimi fino a 480 euro.
Se, invece, si rendessero disponibili risorse fino a 2,5 miliardi di euro, le stesse, cioè, necessarie per ridurre di due punti l’aliquota del secondo scaglione di reddito, allora si potrebbe innalzare il limite del secondo scaglione Irpef fino a 65 mila euro con guadagni massimi fino a 1.200 euro.