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Le risposte che Elkann deve dare


Ora John Elkann non ha più attenuanti. Con la cacciata di Carlo Tavares e la sua nomina a presidente del Comitato esecutivo chiamato a reggere le sorti del gruppo in attesa del nuovo amministratore delegato, è di fatto il capo azienda del gruppo automobilistico italo-francese. Sicché sarà lui personalmente a dover spiegare al Parlamento che cosa intende fare delle attività italiane di Stellantis. Dovrà spiegare se Pomigliano, Cassino, Mirafiori, Melfi hanno ancora un ruolo nei progetti del gruppo o se l’opera avviata da Tavares di progressivo smantellamento degli impianti italiani a favore delle produzioni estere è ormai irreversibile. Dovrà spiegare fino a che punto ha condiviso la visione del manager portoghese che esaltava l’elettrico assoluto, unico tra i produttori europei; oppure se allo stato non ritenga più realistico concentrarsi sulla produzione di ibridi rinviando l’elettrico a tempi propizi. Dovrà anche spiegare come, nonostante il contributo determinante di Fiat-Fca alla costruzione di Stellantis, abbia tollerato per quattro anni che il nostro Paese fosse trattato come una lontana provincia dell’impero, lasciando che Tavares mettesse in atto un’odiosa politica del ricatto (incentivi in cambio di produzione) quando ormai stava diventando chiaro che la questione non era tanto un problema di incentivi, quanto di regole sballate imposte da una Bruxelles ubriaca di ambientalismo fine a se stesso. Per essere più precisi, il Parlamento dovrebbe chiedere all’erede dell’Avvocato come sia stato possibile che il principale gruppo industriale italiano, che Sergio Marchionne aveva riportato all’onor del mondo sotto il nome di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), sia diventato ancella di una società, la francese Peugeot (Psa), le cui condizioni industriali erano inferiori. E dovrebbe interrogare Elkann, che non esitò a chiudere un accordo di vendita a vantaggio soprattutto della sua famiglia, su quanti e in cambio di quale prezzo lo sostennero in una operazione che una figura prudente, sia pure schierata come Romano Prodi, non esitò a definire «vergognosa svendita». Prodi fu il solo tra i maggiorenti della politica ad alzare la voce. Anzi, , allora premier per la seconda volta, parlò esplicitamente di «grande opportunità per il Paese». E fu proprio il suo governo che nel giugno 2020, alla vigilia della fusione che avrebbe dato vita a Stellantis, autorizzò a favore del gruppo l’erogazione in ventiquattr’ore di una garanzia di Stato per un finanziamento agevolato di 6,3 miliardi.

Già mesi fa ricordammo che, potenza delle coincidenze, di lì a poche settimane gli azionisti di Fca riceveranno un dividendo monstre di 5,5 miliardi oltre a una ricca dote in azioni Comau. Lo scrivemmo per avere risposte, ma nessuno si curò di spiegare. Lo domandiamo di nuovo oggi, alla luce del disastro industriale che Tavares ha consegnato al suo dante causa Elkann: perché questo incredibile impoverimento patrimoniale di Fiat-Fca, con grave pregiudizio per l’intera filiera industriale italiana? Allora il tutto venne spiegato con un dimagramento reso necessario affinché la fusione tra Fca e Psa risultasse alla pari. Chiacchiere senza senso. Rivisto oggi in forma di trailer, quel film non può non sollevare tuttora pesanti curiosità, anche alla luce del fatto che nell’aprile 2020, vale a dire tre mesi prima, Elkann aveva annunciato l’acquisizione del gruppo editoriale Gedi, cui tuttora fa capo il quotidiano Repubblica che non perde occasione per ospitare le intemerate di Maurizio Landini, il quale non esita a incitare alla rivolta sociale contro il governo Meloni ma che in quell’occasione si limitò a flebili vagiti.

Storia passata, dirà qualcuno; ma quegli eventi rivisitati in modo ravvicinato suggeriscono una lettura ancora più inquietante, che getta una luce sinistra sugli eventi odierni e sul futuro di quel che resta del glorioso gruppo automobilistico di Torino.

Per questo il Parlamento, anche a nome di centinaia di migliaia di lavoratori che rischiano il posto, deve pretendere spiegazioni non solo da Elkann, ma anche da Fiom e Cgil che allora non proferirono verbo. Anche a costo di avviare una Commissione d’inchiesta.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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