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La scommessa sul Pil e il riscatto mancato del ceto medio


È stupefacente come l’ideologia riesca a curvare anche le valutazioni più incontestabili, quelle che non si prestano ad altre letture se non quelle obbligate dai numeri. Sicché economisti stimati riescono a presentare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda del messaggio che intendono diffondere in relazione allo schieramento politico cui appartengono. Così Romano Prodi, che quando l’Italia era governata dal centro-sinistra presentava come ambiziosa una crescita dello 0,5-0,8% del Pil nazionale, oggi denigra quei valori che relegano nuovamente l’Italia «tra i fanalini di coda dell’Europa». Sia chiaro, non c’è da esultare per un risultato non brillantissimo, ma qualificare il nostro Paese come uno dei fanalini di coda dell’Unione quando Francia e Germania faticano ad arrivare alla sufficienza, francamente lascia perplessi. Non che l’anno che chiude manchi di ombre date le complessità del contesto globale, ma ci sono anche non poche luci che nella congiuntura avversa fanno ben sperare. Uno degli aspetti positivi più rilevanti è il forte miglioramento dello spread Btp-Bund, che ha segnato una netta inversione di tendenza, letteralmente dimezzando il suo valore che anche con il governo Draghi oscillava al di sopra di quota 200. Ciò, oltre a conferire maggiore fiducia agli investitori internazionali, ha ridotto il costo del servizio del debito, rappresentando un elemento di stabilità per i conti pubblici, sebbene la crescita complessiva del debito, ormai a un passo da 3.000 miliardi, sollevi qualche riflessione sulla sua sostenibilità a lungo termine. Di ombre invece se ne vedono più d’una nel contesto produttivo, che presenta segnali meno incoraggianti. I 21 mesi consecutivi di calo della produzione industriale, e dunque di riduzione degli investimenti, testimoniano una crisi strutturale che il governo non è ancora riuscito a invertire. Ed è pur vero che il Pil si è dimostrato uno dei più resilienti in Europa, ma ciò è stato ottenuto anche a prezzo di significative disparità interne. La politica di rigore sulla spesa, avviata dal ministro Giancarlo Giorgetti (nella foto) alla luce del nuovo Patto di Stabilità, se da una parte ha comportato un aumento delle risorse destinate al sostegno delle famiglie in difficoltà e alla promozione della natalità, con incentivi mirati per contrastare l’invecchiamento demografico, dall’altra ha amplificato le difficoltà del ceto medio, già gravato da una pressione fiscale tra le più elevate in Europa. L’approccio selettivo del governo ha sollevato un acceso dibattito sulla giustizia redistributiva e sull’efficacia delle politiche messe in atto. Per questo c’è grande attesa sulle scelte che il governo Meloni calerà sul tavolo nei prossimi mesi con l’obiettivo di mantenere la promessa elettorale di un ceto medio meno penalizzato, valorizzando il ruolo di grande sostegno del bilancio statale che questa fascia della popolazione ha sempre garantito.

In sintesi: nel corso del 2024 da un lato l’Italia ha dimostrato di poter contenere alcune criticità macroeconomiche e di resistere in un contesto europeo difficile; dall’altro, permangono nodi strutturali irrisolti, come la crisi industriale e il peso del debito, che richiedono

interventi di lungo respiro. La sfida per il governo Meloni sarà trovare un equilibrio tra rigore fiscale, crescita economica inclusiva e giustizia sociale, con l’obiettivo di garantire una prospettiva sostenibile per il Paese.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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