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I tre pilastri di SuperMario: favorire la nascita di colossi, investire su difesa e reti e qualificare i lavori

Il programma di politica economica di è molto semplice, ma non per questo meno rivoluzionario. Le anticipazioni del suo report sulla competitività, atteso a giugno, distillate ieri a La Hulpe, rovesciano infatti il concetto europeo di competitività, finora inteso come guerra di tutti contro tutti e fondato sulla «riduzione dei costi salariali» e su «politiche fiscali procicliche (cioè che accentuano le recessioni quando si verificano; ndr)» che ha indebolito domanda interna e coesione sociale. Un attacco ai signori dell’austerity che finora hanno governato Bruxelles.

Le sue parole devono tuttavia essere legate al rapporto sul futuro del mercato unico che l’ex premier presenterà domani alla riunione plenaria della Commissione Ue. Se l’ex numero uno della Bce ha accennato alle strategie che l’Europa dovrebbe darsi per non soccombere dinanzi a Usa e Cina, Letta proporrà come finanziare quegli obiettivi. Fondamentalmente, il framework draghiano sul recupero di competitività si basa su un assunto politico e su tre capisaldi economici. L’assioma è che «il ripristino della competitività ci impone di agire come Unione europea», ossia come un Paese solo, come fanno Usa e Cina. Se non si raggiunge l’unanimità su un dossier, è meglio che prevalgano procedure più snelle come la «cooperazione rafforzata», ossia l’intesa tra i soli Paesi che condividono un obiettivo con la libertà per gli altri di aderire successivamente. Da questo principio discendono i tre pilastri, che poi saranno approfonditi a giugno. Il primo è «favorire le economie di scala», cioè bisogna creare realtà europee di grandi dimensioni in settori strategici come tlc, difesa e anche l’energia. L’opposto di quanto fatto dal commissario Antitrust, Margrethe Vestager, che ha messo i bastoni tra le ruote a numerose concentrazioni, fermamente convinta per dirla con Draghi – che «noi stessi siamo i concorrenti».

Il secondo pilastro è «la fornitura di beni pubblici, investimenti di cui tutti beneficiamo ma che nessuno può sostenere da solo». Se vogliamo la sicurezza che ci garantisce solo la difesa, allora è l’Ue che deve spendere e non i singoli Paesi con spazi di bilancio perché gli altri, fermati dalle regole del Patto, impediranno il raggiungimento dell’obiettivo. Idem per la transizione digitale e green. Questi investimenti dovranno essere sostenuti dal settore privato con la creazione di un «mercato unico dei capitali» che finanzi la crescita e non lasci il denaro a dormire nei depositi bancari. Il report di Letta, a questo proposito, propone di convogliare il sistema degli aiuti di Stato dei singoli Paesi ak finanziamenti degli investimenti paneuropei. Non a caso Letta chiede anche l’unificazione del mercato finanziario, dell’energia, delle tlc e una maggiore attenzione ai trasporti.

Il terzo pilastro draghiano, infine, riguarda due ambiti. Il primo è una piattaforma europea per le catene di approvvigionamento, soprattutto delle materie critiche, necessarie alla transizione green. Il secondo è la formazione della manodopera qualificata «che andrà trovata all’interno dell’Ue».

In conclusione, si tratta di un piano convintamente europeista anche dal punto di vista economico (liberale con un po’ di keynesismo).


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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