«Metterei in guardia dal muoversi troppo in là, ovvero in territorio accomodante. Non credo che sarebbe appropriato dal punto di vista attuale». A un paio di settimane dalla riunione di dicembre, i falchi della Bce volano bassi: sono a caccia di colombe. Fuor di metafora, la tedesca Isabel Schnabel (in foto) manda tramite Bloomberg un pizzino a chi all’interno del board, come il governatore di Bankitalia Fabio Panetta, chiede un ulteriore – e magari più deciso – allentamento della politica monetaria ora che l’inflazione si è ritirata quasi a ridosso del target del 2%, mentre il ciclo congiunturale si sta sempre più indebolendo all’interno dell’eurozona.
Schnabel la pensa diversamente. Convinta com’è che «non si vede al momento il rischio di una recessione», osserva ancora con occhio preoccupato la possibile fluttuazione dei prezzi al consumo e sostiene di privilegiare un «approccio graduale, meeting by meeting». In realtà sta pensando ad altro, a un «fermate le macchine» che terrebbe i tassi inchiodati al 3,25% e metterebbe una seria ipoteca anche sul percorso 2025, che peraltro già si preannunciava accidentato. Il mantenimento dello status quo viene motivato con il fatto che l’attuale politica monetaria non è poi così distante dalla neutralità, ovvero quel livello compreso fra il 2 e il 3% in cui il costo del denaro non nuoce né favorisce l’economia.
La chiusura verso ogni proposta di alleggerimento monetario non è solo una doccia gelata per i mercati, che scommettevano per dicembre su un jumbo cut da mezzo punto percentuale, ma è anche il segnale di come la (presunta) pace siglata in novembre fra le due anime dell’Eurotower, con la decisione unanime di far calare i tassi di un altro 0,25%, non fosse altro che una tregua armata. Destinata a rompersi il prossimo 12 dicembre, quando ruggini mai risolte riempiranno i verbali della riunione. Lì si capirà se la presidente Christine Lagarde sia ancora schierata con l’ala dura della banca centrale, o se davvero creda che Eurolandia abbia bisogno di sostegno anche da Francoforte per vincere le sfide che ha di fronte. Sfide che Standard&Poor’s, nel confermare le stime di crescita per quest’anno (+0,8%) e limare quelle per il 2025 (+1,2%, contro il +1,3% precedente), individua nell’approccio protezionistico di che potrebbe «alterare l’outlook economico dell’eurozona».
Soprattutto se i dazi saranno varati entro i primi 100 giorni di presidenza e non, come in occasione del primo mandato del tycoon, in 10-12 mesi. Quanto alla Bce, S&P ritiene che «taglierà i tassi più rapidamente di quanto precedentemente atteso». Dopo aver sentito Schnabel, forse non sarà più della stessa idea.