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I dubbi e le insidie del doppio fronte che in guerra promette sventure


Mai dare giudizi definitivi su operazioni finanziarie di ampia portata, perché come il masso nello stagno provocano sempre onde che nel dilatarsi possono squassare gli argini. Soprattutto se il fine dell’operazione non è immediatamente percepibile. E dietro l’Offerta di scambio (Ops) lanciata da Unicredit sul controllo di Banco Bpm si fatica a scorgere una logica di sistema. Premesso che l’offerta è tutt’altro che amichevole, visto il contesto e le dichiarazione del ceo Andrea Orcel prima che ostile appare offensiva. Sia per la qualità della proposta sia per la scarsa considerazione delle potenzialità che oggi l’istituto di Piazza Meda è in grado di esprimere. Intanto va detto che le operazioni carta contro carta, vale a dire con il semplice scambio di azioni, raramente vanno a buon fine. Soprattutto quando il prezzo offerto è pressoché in linea con la quotazione di Borsa. In secondo luogo proporre lo scambio con titoli che hanno alle spalle una performance già strabiliante, forse anche oltre il merito reale, suggerisce un qualche imbarazzo. E che dire del fatto che l’obiettivo della scalata è un soggetto nel quale il governo ripone le sue aspettative, ansioso di vedere nascere attorno ad esso il terzo polo bancario del Paese? Parlare di provocazione appare fuori luogo, e tuttavia il dubbio s’insinua.

Orcel, un banchiere di vaglia e tutt’altro che sprovveduto, ha però ragione a stupirsi della sorpresa manifestata da molti, visto che da almeno due anni non perdeva occasione per minacciare questa operazione qualora il Banco avesse diretto le sue mire sul Montepaschi. Sia chiaro, purché le regole vengano rispettate – quelle scritte e quelle non scritte -, è suo pieno diritto operare per rendere più forte Unicredit, nemmeno il governo avrebbe titolo per obiettare essendo in regime di libero mercato. Ma non essendo stata concordata – né con l’istituto né con il governo – Orcel quantomeno avrebbedovuto presentare una proposta di mercato, rispettosa degli azionisti e del management, ovvero delle potenzialità dell’istituto che con le operazioni Anima e Montepaschi oggi vale sicuramente molto più dei 10,1 miliardi offerti con lo scambio azionario.

Sicché ciò che sorprende non è l’operazione in sé, ma la qualità della proposta ben sapendo, tra l’altro, che essendo ostile potrebbe non trovare il pieno consenso delle autorità di vigilanza, sia italiane che europee. A meno che non salti fuori che dietro l’Ops vi è un qualche accordo tra Unicredit e Crédit Agricole che, quale azionista al 10% di Banco Bpm, potrebbe non aver gradito lo scatto in autonomia in direzione di Siena e quindi opererebbe per frenare quel matrimonio. Ma si tratta di speculazioni che, vista la caratura dei soggetti in campo, non meritano che un distratto pensiero.

Lascia peraltro perplessi che una decisione così grave sia stata assunta dal cda di Unicredit nel mentre l’istituto è impegnato nell’operazione Commerzbank, una partita che porta lustro e forza alla banca milanese per la sua lungimiranza, ma il cui prosieguo oggi è costellato di niet e di veti incrociati che ci si augura vengano meno dopo le elezioni tedesche; una partita che perciò richiede tutte le energie e la scaltrezza di cui è capace Orcel, anche per questo lascia basiti l’assalto a freddo alla fortezza di

Piazza Meda. Non vorremmo essere profeti di sventura, ma parafrasando Von Clausewitz (citato ieri dal ministro Giancarlo Giorgetti), il modo più sicuro per perdere una guerra è impegnarsi su due fronti nello stesso tempo.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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