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Casse di previdenza, il pasticcio nella legge sulla Concorrenza

Il ministro Adolfo Urso

L’articolo 33 della legge sulla Concorrenza, approvata giovedì scorso, introduce un cambiamento significativo nel panorama delle Casse previdenziali italiane, obbligandole a destinare una quota minima del 5% dei loro investimenti qualificati in azioni o quote di fondi (allo stato non meno di 500 milioni) al venture capital per sostenere le start-up innovative. Questo vincolo, che crescerà al 10% entro il 2026, segna una svolta epocale, ma solleva interrogativi sulla compatibilità con la missione delle Casse.

Queste ultime, per definizione, devono garantire rendimenti stabili per tutelare le pensioni future degli iscritti. Tuttavia, il venture capital rappresenta un settore ad alto rischio. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha salutato la misura come «una svolta storica per il finanziamento alle startup innovative», sottolineandone lo scopo meritorio di tenere sia le imprese nascenti che i loro business angel (così si chiamano gli investitori-finanziatori) nello stesso Paese, con il non remoto scopo di mantenere brevetti redditizi all’interno della Penisola senza farli finire nelle mani della speculazione. Ma proprio a proposito di speculazione, non si può non sottolineare come ben 53 dei 114 miliardi che rappresentano l’intero patrimonio delle Casse (ultimi dati disponibili) siano investiti in fondi esteri: dunque se trattenere il risparmio previdenziale è meritorio (perché non finisce in imprese estere o in fondi che cercano ritorni immediati), dall’altro lato non si può non ricordare come le start-up, per loro natura, siano più soggette a eventuali fallimenti ancorché siano un propulsore di innovazione. Pone dunque qualche interrogativo il fatto che l’Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp) abbia accolto positivamente la misura, giudicandola un compromesso accettabile. La nuova normativa, infatti, prevede clausole di salvaguardia come il riconoscimento retroattivo dei benefici fiscali per investimenti già effettuati e una progressività nell’aumento delle quote. Secondo Adepp, queste condizioni permettono di bilanciare il sostegno all’innovazione con la prudenza gestionale. La verità è che, data la natura ad alto rischio dell’investimento, ben pochi gestori destineranno cifre consistenti, preferendo rinunciare ai benefici introdotti con tanta enfasi.

Resta invece colpevolmente sullo sfondo la decisione di ridurre dal 26% al 20% la tassazione sulle rendite finanziarie delle Casse previdenziali che, questa sì, potrebbe incentivare realmente gli investimenti domestici, creando un vero e proprio «secondo Pnrr», che da una parte non comporterebbe

un aumento del debito e dall’altra consentirebbe di dare stabilità ai finanziamenti per l’economia reale. Garanzia che, per quanto benvenuti, non daranno mai i grandi fondi internazionali vista la loro natura speculativa.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/taxonomy/term/40822/feed


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