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Le motivazioni dei domiciliari per Matteo Di Pietro: vietati i contatti con gli altri testimoni



Vietato il contatto con gli altri testimoni dell’incidente di Casal Palocco per Matteo Di Pietro. Le motivazioni degli arresti domiciliari: niente contatti esterni per non inquinare le prove.

Device sequestrati a tutti i ragazzi coinvolti nell’incidente, per proseguire nelle indagini, e arresti domiciliari per Matteo Di Pietro. Il conducente della Porsche che avrebbe provocato l’incidente di Casal Palocco – costato la vita al piccolo Manuel (5 anni) – non potrà comunicare con l’esterno, secondo quanto disposto dal gip, anche per non inquinare le prove. Nessun confronto con gli altri ragazzi: probabile anche un divieto di altri dispositivi elettronici oltre ai suoi già presi in carico dalle forze dell’ordine. Il giovane è stato trovato positivo alla cannabis: adesso bisognerà determinare se il guidatore si trovava sotto effetto di stupefacenti nel momento in cui è avvenuto l’incidente. Cosa è emerso dall’esame delle urine e cosa è il “detenction time”.

Le motivazioni degli arresti domiciliari per Matteo Di Pietro

Nella giornata di ieri il gip ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per Matteo Di Pietro. Il 20enne, ideatore del famoso canale YouTube “The Borderline“, lo scorso 14 giugno con un’auto presa a noleggio insieme ad altri 4 amici è rimasto coinvolto nell’incidente di Casal Palocco, arrivando alla collisione con una Smart dove al suo interno viaggiava una giovane donna insieme ai suoi due figli di 3 e 5 anni. Nell’incidente a perdere la vita era stato proprio il bimbo di 5 anni, Manuel.

Una notizia che ha creato dibattito e aspre polemiche, facendo colare una cascata di veleno e indignazione non solo nei confronti dei giovani alla guida del Suv, ma anche nei confronti del mondo dei social in generale. Il focus si è spostato per giorni e giorni sul canale YouTube, sulle motivazioni, sulla demonizzazione, dimenticando invece che questo doveva essere il momento del rispetto per la famiglia della giovanissima vittima.

Ricostruendo la vicenda, il gip ha deciso di togliere – ovviamente – la patente al 20enne alla guida del Suv. Successivamente dai test effettuati all’ospedale, Matteo Di Pietro sarebbe risultato positivo alla cannabis. Gli altri giovani insieme a lui in auto (tutti rimasti illesi così come la madre e l’altra bambina nella Smart) non sono stati indagati, anche se in quanto testimoni sarà fondamentale la loro versione dei fatti nel tentativo di far luce sulla vicenda.

Si arriva dunque alla giornata di ieri, e alla disposizione degli arresti domiciliari per il ragazzo alla guida. Nelle ultime ore sono emersi alcuni dettagli su tale motivazione. E’ stato il Corriere della Sera nella giornata odierna, a fornire i primi dettagli relativi alle ipotetiche decisione del gip, che ha preso la decisione della custodia ieri, 23 giugno.

Matteo Di Pietro si era già rintanato in casa insieme ai genitori. In settimana in molti avevano dato notizie di un suo trasferimento all’estero, dopo la gogna mediatica. Ipotesi smentita dal suo legale che ha affermato: “Non è andato all’estero. Ha cambiato domicilio, ma rimane a Roma a completa disposizione delle autorità giudiziarie“.

Tra le motivazioni degli arresti domiciliari per il ragazzo però non ci sarebbe ne l’essere risultato positivo alla droga, ne la possibilità di recidiva. Quello che avrebbe indotto il giudice per le indagini preliminari a disporre la misura cautelare sarebbe stato infatti il possibile inquinamento delle prove. Sarebbe arrivato dunque il divieto di utilizzare qualsiasi Device per comunicare con gli altri presenti in auto, Vito Loiacono, Marco Ciaffarelli, Simone Dutto e Gaia Nota. Inutile sottolineare che i rispettivi dispositivi, di tutti i coinvolti, sono già stati sequestrati dalle forze dell’ordine nell’ambito delle indagini.

Il rischio sarebbe legato a un’eventuale comunicazione tra i ragazzi coinvolti nell’incidente che potrebbe andare a compromettere una testimonianza. Al momento però tutte queste teorie rimangono ipotetiche.

Matteo Di Pietro positivo alla cannabis: cosa è emerso dal test delle urine

Tra i tanti dettagli emersi sulla vicenda, poche ore dopo l’incidente, è stato diffuso anche quello relativo alla positività alla cannabis da parte del guidatore. Matteo Di Pietro sarebbe risultato positivo al test dell’urina (secondo quanto appreso da fonti di Nanopress) ma rimane ancora un interrogativo: il ragazzo era sotto effetto di stupefacenti al momento dell’incidente?

Si, perché le due cose – la positività e un eventuale stato di alterazione alla guida dato dalla droga – non sono per forza collegate. Come noto infatti, l’esame delle urine non indica un livello preciso, ma determina solo la positività o la negatività (a differenza del comune Alcol Test in grado di determinare lo stato di ebrezza).

Bisognerà determinare tramite ulteriori analisi se Di Pietro si sia messo alla guida sotto effetti di stupefacenti o se viceversa quella positività risale a un consumo di cannabis precedente al 14 giugno.

Il “detection time”: cos’è il tempo di individuazione

Il “detection time” (in italiano tempo di individuazione, che indica per quanto tempo una sostanza assunta viene rintracciata nel corpo attraverso esami chimici specifici) infatti secondo i ricercatori dell’Università di Gend in Olanda può dipendere dalle dosi, fino alla via della somministrazione, ma anche e soprattutto dalla durata e dall’uso cronico o acuto della sostanza.

La ricerca che porta il nome di “Detection times of drugs of abuse in blood, urine, and oral fluid” è stata condotta e pubblicata dal professor Alain Verstraete.

In generale il detection time è molto lungo se il test è effettuato sul capello, segue quello sulle urine, poi sudore, liquido orale e infine sangue. Con l’esame del sangue ad esempio la maggior parte dei farmaci e degli stupefacenti possono essere rilevati per 1-2 giorni. Con quello delle urine il tempo di rilevamento invece di una singola dose può arrivare da 1,5 fino a 4 giorni per alcune sostanze. Nel caso di abuso o di uso cronico addirittura tramite le urine si può arrivare a rilevare sostanze fino a 1 settimana, ma per cocaina e cannabis l’intervallo di tempo si allunga ulteriormente.

Dunque, secondo i ricercatori olandesi, la cannabis potrebbe essere rilevata dall’esame delle urine anche dopo l’assunzione di una sola dose dopo 4 giorni, o addirittura dopo settimane se il soggetto è un consumatore cronico.


Fonte: https://www.nanopress.it/s/cronaca/feed/


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