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    Oggi il Sole illuminerà quasi tutti nello stesso momento

    Sabato 8 luglio la quasi totalità della popolazione umana sulla Terra sarà esposta a qualche raggio solare nello stesso momento, grazie alla particolare posizione del nostro pianeta in questo periodo dell’anno rispetto al Sole. È un fenomeno che si verifica ogni anno e che riguarda in misura di poco minore anche altre settimane dell’anno: non è quindi particolarmente insolito o speciale, ma è comunque poco conosciuto. Intorno alle 13 di oggi (ora italiana) il 99 per cento delle persone riceverà la luce solare, anche se non tutti gli 8 miliardi degli abitanti della Terra saranno illuminati allo stesso modo.Nei paesi molto a oriente come il Giappone ci sarà solamente una luce molto debole dopo il tramonto, mentre molto più a ovest come in California lo stesso fenomeno si verificherà con il bagliore nelle ore intorno all’alba. Per tutto ciò che rimane nel mezzo, come il resto delle Americhe, l’Europa, l’Africa e una parte importante dell’Asia, ci sarà piena luce. Le uniche terre emerse che rimarranno al buio saranno la Nuova Zelanda, l’Australia e le altre isole dell’oceano Pacifico.Il fenomeno di oggi non è comunque raro, anzi. Qualcosa di simile si verifica in buona parte del periodo compreso tra maggio e luglio, con circa il 98 per cento della popolazione mondiale che riceve un poco di luce solare allo stesso momento. La circostanza ha ottenuto un certo interesse negli ultimi anni soprattutto in seguito a una mappa che era stata condivisa tre anni fa su Reddit, nella quale era evidente l’esposizione al Sole di buona parte dei continenti nel medesimo momento.Da allora, la mappa è tornata a circolare sui social network ogni estate, suscitando nuove curiosità e discussioni sulla sua accuratezza. Nel 2022 il sito Time and Date aveva fatto alcune verifiche, concludendo che la descrizione fosse accurata, per quanto con qualche riserva. Una effettiva esposizione al Sole (quando ci si trova tra alba e tramonto) nel momento di picco riguarda l’83 per cento della popolazione mondiale, mentre il restante 16 per cento può osservare un debole chiarore in cielo non sempre percepibile, per esempio se ci si trova in luoghi con inquinamento luminoso come le grandi città.La parte del pianeta che rimane di più al buio nel momento di picco del fenomeno è quella occupata dall’oceano Pacifico, un’area molto ampia e che copre quasi un terzo dell’intera superficie terrestre. Le aree illuminate dal Sole sono invece quelle in cui si concentra la maggior parte della popolazione mondiale.La grande area occupata dall’oceano Pacifico (Google Earth)Il momento in cui più persone ricevono contemporaneamente la luce solare, con tutte le eccezioni del caso che abbiamo visto, non va confuso con il solstizio d’estate nel nostro emisfero, cioè con il giorno in cui la quantità di ore di luce è massima (relativamente al luogo in cui ci si trova). Dopo il solstizio, che quest’anno si è verificato il 21 giugno, la durata del dì nel nostro emisfero ha iniziato a ridursi, ma la posizione che ha raggiunto la Terra rispetto al Sole ha fatto sì che più persone siano esposte a maggiori quantità di luce più verso sud rispetto a prima. LEGGI TUTTO

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    Vedremo aurore boreali in posti in cui normalmente non si vedono

    Nel prossimo paio di anni le aurore polari saranno visibili con maggiore frequenza in cielo e spesso a latitudini più basse del solito, a causa di una maggiore attività del Sole. Negli ultimi mesi gli avvistamenti sono già stati segnalati in numerose aree del Regno Unito e in alcune parti della Germania e della Polonia, quindi molto più a sud dei paesi scandinavi dove solitamente vengono avvistate le aurore in Europa. Lo scorso 23 aprile la caratteristica colorazione del cielo notturno, con colori dal verde al viola, era stata segnalata anche nella parte meridionale degli Stati Uniti con avvistamenti in California e in Arizona.Le aurore boreali (quelle che si verificano nell’emisfero sud si chiamo invece aurore australi) sono dovute alla grande quantità di particelle che emette il Sole e che in parte raggiungono il nostro pianeta. I protoni e gli elettroni iniziano il loro viaggio dalla corona, la parte più esterna dell’atmosfera del Sole nonché una delle sue aree più calde. Si generano in un processo altamente energetico che consente loro di sfuggire alla forte gravità esercitata dal Sole e di confluire nel plasma, un particolare tipo di gas ionizzato.Il flusso di particelle dal Sole è continuo e viene chiamato “vento solare”. Quando arriva in prossimità della Terra, incontra il campo magnetico terrestre che impedisce a queste particelle di arrivare direttamente sul nostro pianeta, dove potrebbero causare non pochi problemi alle piante e agli animali, ma non solo.Questo scudo magnetico planetario si chiama magnetosfera e consente di deviare le particelle e in condizioni normale di tenerle alla larga. Le cose si complicano però quando il Sole entra ciclicamente in fasi in cui è più attivo del solito e produce colossali eventi come una “espulsione di massa coronale”, una grande emissione di particelle che alle osservazioni appare come una sorta di fiammata filamentosa che supera per dimensioni quelle della Terra.La conseguenza è che il vento solare si rinforza, un po’ come una improvvisa e forte folata di vento, con una quantità molto più grande del solito di particelle che raggiungono la magnetosfera producendo una tempesta magnetica. Il vento solare deforma sensibilmente il campo magnetico e ciò fa sì che le particelle riescano a superare lo scudo, raggiungendo i due poli magnetici della Terra. È per questo motivo che le aurore sono visibili soprattutto avvicinandosi ai poli del pianeta.Quando si trovano in una zona compresa tra i 300 e 30 chilometri di altitudine, le particelle che hanno viaggiato dal Sole fino a noi incontrano gli atomi di ossigeno e azoto che si trovano nell’atmosfera. L’incontro con le particelle solari altamente energetiche fa sì che gli atomi di ossigeno e azoto emettano fotoni, che possiamo considerare come piccole unità di energia sotto forma di luce.La luce è colorata a seconda degli elementi coinvolti. Gli atomi di ossigeno sono responsabili delle tinte verdi e rosse che si osservano in cielo durante un’aurora, mentre l’azoto dei colori come il blu che virano verso il violetto. C’è una certa variabilità nella colorazione di un’aurora a seconda della concentrazione dei due elementi e di altre variabili, come per esempio l’osservazione nel cuore della notte quando è buio o intorno al tramonto e all’alba, quando ci sono altri effetti ottici legati alla rifrazione dei raggi solari.(Getty Images)Il fenomeno nell’atmosfera si riduce via via e nel corso di qualche ora scompare, mentre intanto la magnetosfera recupera lentamente la propria solita configurazione. L’area in cui un’aurora è osservabile dipende quindi molto dalla latitudine a cui ci si trova e dall’attività solare. Viste dallo Spazio, le aurore appaiono come due grandi ciambelle luminose intorno ai poli.(NOAA)Poiché il fenomeno è strettamente legato all’attività solare, è possibile fare previsioni piuttosto accurate nel breve periodo sulla presenza o meno delle aurore e sulla loro estensione. La National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia statunitense che tra le varie cose si occupa dei fenomeni atmosferici, offre un servizio di previsione sulle aurore, ma ci sono diversi altri siti che offrono informazioni e mantengono un archivio degli eventi passati.Le previsioni si basano in parte sulle conoscenze dei fenomeni solari e sulla ciclicità nell’attività della nostra stella. Il campo magnetico del Sole si inverte ogni undici anni in corrispondenza del massimo del ciclo solare, quando è appunto maggiore l’attività solare. Nell’attuale ciclo iniziato nel 2019 questa circostanza si dovrebbe verificare tra quest’anno e il 2026, secondo le analisi e le previsioni più condivise dai gruppi di ricerca.Come avvenuto già in passato, una maggiore attività solare si traduce in un’aumentata possibilità di avvistare le aurore, anche se molto difficilmente alla latitudine cui si trova il nostro paese. Nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1848 ne fu osservata una a Napoli, con cronache di avvistamenti anche a Roma, come testimoniato dalla rivista dell’epoca L’Album: «Un non piccolo numero di persone anche ancor si trovava per le vie rallegrate in quella sera da una imponente festosa dimostrazione, rimaneva estatico a contemplare quel brillantissimo chiarore che rallegrava l’invidiato cielo di Roma».In generale, le stagioni migliori per osservare le aurore nel nostro emisfero sono la primavera e l’autunno, soprattutto in prossimità degli equinozi. Il prossimo autunno potrebbero quindi essere visibili a latitudini più basse del solito, anche se i luoghi dove osservarle con maggiore certezza rimangono i paesi scandinavi per l’Europa, l’Alaska e il Canada settentrionale per il Nord America. LEGGI TUTTO

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    Il centro della Terra è più bizzarro del previsto

    Al centro della Terra, a circa cinquemila chilometri sotto i nostri piedi, c’è una sfera grande più o meno quanto Plutone, il pianeta nano in orbita in una remota area del sistema solare. È il nucleo interno terrestre, una grande palla di circa 2.400 chilometri di diametro che si pensa sia costituita principalmente di ferro, a una temperatura di oltre 5.400 °C e ad altissima pressione. È lo strato più sfuggente e misterioso della struttura interna del nostro pianeta e secondo una nuova ricerca, da poco pubblicata e molto discussa, si starebbe comportando in modo ancora più bizzarro del previsto.Secondo le ipotesi più condivise, il nucleo interno gira più velocemente del resto della Terra e ciò è uno dei fattori che contribuiscono alla formazione del campo magnetico che avvolge il nostro pianeta, e che lo protegge dalle radiazioni dannose del Sole. Il nuovo studio, pubblicato da poco sulla rivista scientifica Nature Geoscience, mette in dubbio parte di questo assunto segnalando come qualche anno fa il nucleo interno abbia smesso di girare a una velocità maggiore rispetto al resto del pianeta. Non è molto chiaro perché né quali potrebbero essere le conseguenze, e anche per questo motivo diversi altri esperti hanno messo in dubbio i risultati della nuova ricerca, a dimostrazione di quanto siano ancora dibattute e misteriose le caratteristiche degli strati terrestri più profondi.Conduciamo l’intera nostra esistenza sulla crosta, lo strato più esterno della Terra, con uno spessore variabile tra i 4 e gli 80 chilometri, pochissimo se consideriamo che l’intero pianeta ha un diametro medio di oltre 12.740 chilometri (non è una sfera perfetta). Superato questo involucro roccioso, incontriamo il mantello, lo strato più spesso di tutti che raggiunge una profondità di quasi 3mila chilometri. È costituito da rocce magmatiche (ultrafemiche), è per lo più solido e nella sua parte più profonda è a contatto con il nucleo terrestre. La parte esterna del nucleo è formata per lo più da ferro fuso, mentre quella interna da materiale ferroso solido e malleabile.(Zanichelli)Nonostante le immaginifiche pagine scritte da Jules Verne, non potendo viaggiare direttamente al centro della Terra ci dobbiamo accontentare di segnali indiretti per provare a ricostruire le caratteristiche interne del pianeta. L’analisi delle onde sismiche e di come queste si propagano da una parte all’altra della Terra si sono rivelate tra gli indicatori ideali per farlo, già dall’inizio del Novecento.Fu proprio studiando il comportamento di alcuni tipi di onde sismiche che nel 1936 fu scoperto il nucleo interno. Invece di propagarsi come atteso in una sfera con densità omogenea, le onde seguono percorsi vari a indicazione della presenza di strati a grande profondità fatti molto diversamente tra loro. Il cambiamento della velocità di propagazione delle onde fornì elementi importanti per ipotizzare e valutare la presenza del nucleo terrestre. Negli anni, analisi e modelli matematici portarono a ipotizzare che al centro della Terra ci sia una sfera fatta per lo più di ferro, il nucleo interno appunto, racchiusa da un involucro di ferro liquido e altri metalli, cioè il nucleo esterno.A differenza di altri tipi di onde sismiche, le onde P riescono ad attraversare il nucleo interno, se analizzate possono offrire dettagli sulle sue caratteristiche (Zanichelli)L’ipotesi è che il materiale fuso abbia densità diverse a seconda delle profondità in cui si trova, dove variano temperatura e pressione, facendo sì che si sviluppino correnti che lo fanno muovere (moti convettivi). Il modello della “geodinamo” ipotizza che sia questo movimento alla base del campo geomagnetico.Intorno alla metà degli anni Novanta, questa possibilità interessò molto il geofisico Xiadong Song, all’epoca alla Columbia University (New York). Song studiò oltre trent’anni di dati sui terremoti che si erano verificati in specifiche aree del pianeta, analizzando il modo in cui le loro onde sismiche si erano propagate attraverso i vari strati terrestri. Insieme a un collega, pubblicò uno studio nel 1996 nel quale offriva nuovi elementi a conferma delle ipotesi sulla velocità di rotazione del nucleo interno. Trovandosi immerso in uno strato liquido, si ritiene infatti che il nucleo interno sia in un certo senso scollegato dal resto del pianeta e possa quindi girare a una velocità di poco maggiore.Con l’affinarsi delle tecniche di rilevazione delle onde sismiche e la produzione di modelli più accurati, vari gruppi di ricerca misero in dubbio almeno parzialmente il lavoro di Song. Alcuni negarono completamente l’eventualità, altri stimarono una velocità di rotazione del nucleo inferiore a quanto prospettato a metà anni Novanta, mentre altri ancora ipotizzarono che la differenza di velocità fosse presente solo in particolari periodi e non continuativamente.Nel 2022 un gruppo di ricerca pubblicò uno studio basato sulle rilevazioni sismiche effettuate dopo alcuni test nucleari condotti dagli Stati Uniti tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Sulla base di quei dati, gli autori conclusero che all’epoca il nucleo interno stesse girando su se stesso a una velocità inferiore rispetto a quella del mantello, e che sarebbe tornato a girare a velocità maggiori solo qualche anno dopo. Lo studio sembrava confermare le ipotesi sull’instabilità dei movimenti del nucleo interno sollevate da altre ricerche.Nel nuovo studio, da poco pubblicato, Song e il suo collega Yi Yang dicono che il nucleo interno ha smesso di girare a una velocità diversa da quella del mantello. Le conclusioni sono basate sui dati raccolti tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2021, con vari indicatori che suggeriscono che la rotazione a una velocità maggiore si sia interrotta intorno al 2009. Non è chiaro che cosa abbia determinato questo rallentamento, anche se Song e Yang ipotizzano che sia dovuto all’inizio di una nuova fase che porterà il nucleo interno a ruotare più lentamente del mantello, come era già avvenuto tra gli anni Sessanta e Settanta, secondo le ipotesi dello stesso Song nella ricerca precedente.Non tutti sono però convinti dalle conclusioni della nuova ricerca, che riconosce comunque la necessità di raccogliere ulteriori dati osservando la propagazione delle onde sismiche con i prossimi terremoti. Una conferma di un andamento discontinuo nella velocità del nucleo interno potrebbe aiutare i gruppi di ricerca a comprendere meglio alcuni fenomeni legati al nostro pianeta, a partire dalle oscillazioni nel campo magnetico terrestre e nella diversa durata di una rotazione completa, che fa sì che i giorni non siano esattamente della lunghezza di 24 ore. LEGGI TUTTO