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    Qual è il legame tra il cambiamento climatico e le alluvioni in Emilia-Romagna

    Caricamento playerLe due alluvioni in Emilia-Romagna avvenute in pochi giorni questo mese sono state eventi meteorologici estremi. In particolare, le piogge che tra il 15 e il 17 maggio hanno causato numerose esondazioni e frane nel territorio compreso tra la provincia di Bologna e le Marche sono state classificate così dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), sia per la quantità d’acqua precipitata nell’arco di tempo considerato sia per l’ampia estensione geografica del fenomeno.È assodato e noto che il cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra legate alle attività umane è e sarà responsabile di un generale aumento degli eventi meteorologici estremi come alluvioni e siccità in molte parti del mondo, compresa l’Europa e il bacino del Mediterraneo. Il semplice fatto che avvenga un fenomeno meteorologico estremo però non significa di per sé che la causa sia il cambiamento climatico – se ne verificavano anche in passato – e le relazioni tra un singolo evento e l’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera sono complicate da ricostruire anche per i climatologi. Questo non significa che la crisi mondiale del clima non c’entri nulla con le alluvioni di questi giorni, al contrario. E secondo gli scienziati le attività di prevenzione dei danni da alluvione devono tenere ben conto del contesto della crisi climatica.Silvio Gualdi, geofisico e climatologo del Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), uno dei principali enti di ricerca che si occupano del tema in Italia, ha spiegato al Corriere della Sera che tra i fattori che probabilmente hanno influenzato le piogge sull’Emilia-Romagna c’è il riscaldamento globale perché «un’atmosfera più calda contiene una maggiore quantità di vapore acqueo che, quando si verificano queste condizioni meteorologiche, è quindi in grado di produrre molta più pioggia». Si deve anche considerare l’effetto della siccità che riguarda il Nord Italia dalla fine del 2020, «perché un terreno particolarmente secco non riesce ad assorbire le precipitazioni in modo efficace, pertanto la pioggia tende a scorrere sul terreno». E uno studio ha ricondotto tale siccità, che riguarda anche altri paesi europei, al cambiamento climatico: un altro collegamento che poteva sembrare scontato a livello intuitivo, ma che non era così immediato da provare scientificamente.In un’altra intervista al Corriere Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e membro dell’Osservatorio Siccità, ha spiegato che «alluvioni e siccità sono eventi complementari che non si annullano. Per mesi i terreni hanno perso umidità ma seccandosi sono rimasti privi della capacità di assorbire l’acqua piovana che, cadendo nelle quantità enormi di queste ore, passa sopra le superfici riarse, spianando la via agli allagamenti».Gli eventi meteorologici sono influenzati da tanti fattori diversi e alcune delle condizioni che hanno portato alle alluvioni attuali sono state presenti anche in passato, prima che il riscaldamento globale fosse ai livelli di oggi. Come ha spiegato sempre al Corriere Paola Mercogliano, un’altra climatologa del CMCC: «Le attuali condizioni estreme sono simili a quelle che portarono all’alluvione del Po nel 1994 e nel 2000. Quindi non possiamo affermare che si tratti di eventi mai visti prima ma sicuramente il cambiamento climatico amplifica la loro frequenza e intensità».Nel 2020 il CMCC ha pubblicato un lungo rapporto intitolato Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia che spiega cosa sappiamo (e cosa no) delle conseguenze del cambiamento climatico in Italia, anche relativamente alle alluvioni. Chiarisce che a differenza delle variazioni di temperatura è più complesso studiare quelle nel regime delle precipitazioni, dato che «si verificano con spiccata eterogeneità spaziale»: dunque non si può fare un discorso generale che valga per tutta l’Italia, un territorio che per la sua conformazione fisica è molto diverso nelle sue parti, ma solo su contesti locali.Servirebbero maggiori studi, ma a grandi linee «gli eventi estremi di precipitazione sembrano essere aumentati in tutta Italia, in accordo quindi ad un’analisi sull’aumento in frequenza di eventi estremi di pioggia estesa a tutto l’emisfero Nord. Accanto a questo andamento ve ne è un secondo, riscontrato grazie all’analisi eseguita su lunghe serie storiche giornaliere, che evidenzia invece una diminuzione della quantità di precipitazione totale sull’anno specie per l’area meridionale».Per quanto riguarda le conseguenze degli eventi estremi, «cresce il rischio idraulico per i bacini di modesta estensione», come quelli dei fiumi romagnoli, perché «in caso di precipitazione intensa esondano prima di bacini più grandi».La meteorologia e la climatologia sono scienze complicate: producono previsioni associate a probabilità perché – dato che riguardano sistemi fisici molto grandi, vari e interdipendenti tra loro (l’atmosfera, gli oceani e i continenti, giusto per fare una prima distinzione grossolana) – si basano su un gran numero di dati diversi. La fisica dell’atmosfera insomma è molto lontana da quella delle sfere ideali che rotolano su piani inclinati a scuola.Per questo non è banale individuare nel dettaglio la relazione tra l’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera e un singolo fenomeno meteorologico come le alluvioni in Emilia-Romagna, e spesso non ha nemmeno tanto senso per il tipo di lavoro che richiede. Ci sono eventi meteorologici che sono più facilmente attribuibili al cambiamento climatico, come le ondate di calore; per altri, come le precipitazioni e le siccità, è più complicato.Negli ultimi vent’anni si è sviluppata una branca della climatologia, la cosiddetta “attribution science”, letteralmente “scienza dell’attribuzione”, che indaga questo ambito, sviluppando i metodi per trovare eventuali collegamenti, ma di solito viene praticata in caso di fenomeni molto vasti, come ad esempio la siccità che da più di un anno riguarda il Nord Italia, la Francia, la Spagna e altri paesi europei.Ma a prescindere da questo gli scienziati che si occupano di meteo, clima e dissesto idrogeologico in Italia sono concordi nel dire che bisognerebbe intervenire sull’adattamento ai cambiamenti climatici, e nello specifico alle precipitazioni intense che causano alluvioni, visto che si sa che sono rese più frequenti dalla crisi climatica e a maggior ragione nelle zone più a rischio. La Romagna è una di queste secondo le valutazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).Mappa dell’Italia colorata in base al valore di un indicatore che mostra la popolazione residente in aree allagabili nello scenario di pericolosità idraulica media, indicata da MPH (ISPRA)Mauro Rossi, ricercatore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI) del CNR, ha spiegato nel podcast Start On Air che nel contesto di queste alluvioni bisogna considerare l’effetto di alcune scelte della gestione del territorio e di come si è tenuto conto (o meno) dei rischi legati alle sue caratteristiche specifiche. L’Appennino romagnolo e le zone collinari a nord sono infatti «altamente propense al dissesto» per loro natura.Per Rossi sono stati fatti degli errori sia sui versanti dei rilievi, dove si è disboscato e livellato il suolo in eccesso, favorendo il deflusso d’acqua verso valle, sia in pianura, in prossimità dei fiumi: «La gestione dei fiumi nel tempo ha favorito l’esposizione a certi fenomeni. Molti di questi fiumi sono di tipo pensile: significa che il livello del fiume adesso è sopra il piano campagna. Laddove sono stati costruiti degli argini e cedono, per tutta una serie di motivi, tutta la zona che sta intorno, essendo il livello dell’acqua più alto, si allaga». LEGGI TUTTO

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    Se piove finisce la siccità?

    Le piogge delle ultime settimane hanno fatto aumentare la quantità d’acqua presente sia nei laghi che nei fiumi del Nord Italia. Per qualche giorno all’inizio del mese la portata del Po è molto aumentata lungo tutto il corso del fiume e il 10 maggio i livelli del lago Maggiore, di quelli di Como e d’Iseo erano sopra le medie stagionali. Grazie a queste precipitazioni la condizione di siccità che da più di un anno riguarda tutto il Nord, e il Piemonte in modo particolare, si è attenuata, portando benefici per le coltivazioni e le foreste e riducendo il bisogno di consumare acqua delle riserve per l’irrigazione per qualche settimana. Tuttavia non si può dire che la siccità sia finita.La siccità non è data da una semplice assenza o forte carenza di pioggia. Si sviluppa lentamente, con mesi di precipitazioni insufficienti associate a temperature particolarmente alte, e si risolve altrettanto lentamente, soprattutto se dura da tanto come quella attuale, che ha avuto origine alla fine del 2021, quando nevicò pochissimo sulle Alpi. «È probabile che fino a quest’autunno ci sarà ancora un deficit d’acqua», spiega Ramona Magno, ricercatrice dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità: «Finché le riserve idriche non cominceranno a tornare alla normalità il problema rimarrà».Le riserve idriche non sono solo i laghi, ma anche le falde sotterranee e in generale la quantità d’acqua presente nel suolo. Perché tornino a riempirsi dopo una siccità prolungata servono precipitazioni nella media o abbondanti per un lungo periodo. Le piogge dell’ultimo periodo hanno sicuramente aumentato l’umidità del suolo, ma possono aver rimpinguato solo le riserve idriche più superficiali.Ramona Magno cura il bollettino mensile dell’Osservatorio Siccità di cui è appena uscito l’aggiornamento relativo al mese di aprile. Il rapporto segnala innanzitutto che, nonostante ora la situazione di molti grandi laghi non sia più preoccupante, il lago di Garda, il più grande dei laghi italiani, sia pieno per il 48,6 per cento («è un problema soprattutto per le aree agricole a valle», commenta Magno), e sottolinea che nel giro di qualche giorno l’aumento della portata del Po si è esaurito e ora i livelli d’acqua nel fiume sono tornati inferiori alla media di questo periodo dell’anno.– Leggi anche: Il piano per limitare gli sprechi d’acqua non sta andando come previstoIl bollettino contiene una serie di mappe che mostrano le condizioni di siccità in modi diversi. Per farsi un’idea della situazione Magno consiglia di osservare quelle basate sull’indice pluviometrico SPI (la sigla sta per l’inglese “Standardised Precipitation Evapotranspiration”), un valore che viene usato per rilevare le siccità meteorologiche, cioè quelle riduzioni delle precipitazioni al di sotto della media climatologica (almeno 30 anni) per un certo periodo in una determinata area. L’indice si basa sulla quantità di pioggia precipitata in uno o più mesi e quantifica di quanto è stata inferiore o superiore rispetto ai valori medi. La mappa che mostra l’SPI considerando il solo mese di aprile 2023 segnala perlopiù condizioni di siccità moderata e in poche zone: un po’ in Piemonte, lungo le coste della Romagna e nei vicini Appennini. È così appunto grazie alle piogge recenti.(Osservatorio Siccità)Tuttavia confrontando la mappa con una che invece mostra l’SPI calcolato tra il maggio del 2022 e il mese scorso, diventa evidente che la siccità non può considerarsi finita come potrebbe erroneamente suggerire la prima mappa. In Piemonte, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia ci sono in realtà zone in condizioni di siccità estrema per quanto poco è piovuto. «Le piogge di un mese non sono sufficienti per appianare il deficit del lungo periodo, la siccità idrologica», spiega Magno: i territori indicati in giallo, arancione e ancor di più rosso continuano a mostrare gli effetti della carenza d’acqua che dura da più di un anno.(Osservatorio Siccità)Un’altra mappa del rapporto mette insieme i valori sulle precipitazioni a quelli sulle temperature e mostra che le regioni che più hanno subìto l’effetto combinato di carenza di piogge e temperature maggiori della media sono Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna. Le alte temperature aumentano l’evaporazione dal suolo e la traspirazione delle piante, aggravando la carenza d’acqua.(Osservatorio Siccità)Le previsioni dei centri meteorologici europei dicono che da giugno ad agosto le temperature saranno probabilmente sopra la media in tutta l’Europa e in particolare in alcune zone già interessate dalla siccità: i paesi centro-occidentali e il Mediterraneo. Si prevede anche che saranno tre mesi più piovosi della media, ma bisogna ricordare che in generale in estate piove poco in Europa. Ancora per diversi mesi, aggiunge Magno, non si vedranno effetti legati a El Niño, quel complesso fenomeno climatico che avviene periodicamente nell’oceano Pacifico meridionale e che influenza gran parte del meteo terrestre: tornerà prossimamente secondo le valutazioni dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) dopo anni di La Niña, la fase opposta.«Da noi gli effetti si cominceranno a vedere verso la fine dell’anno e soprattutto l’anno prossimo», spiega Magno. Per via del Niño in molti paesi del mondo ci si aspetta un aumento delle temperature, anche in Europa, che si andrà a unire alla generale tendenza legata alla crisi climatica – a cui peraltro è stata ricondotta anche la siccità sia nell’Europa occidentale che in Nord Italia. Mentre l’influenza del Niño sulle precipitazioni in Europa non è ancora ben definita.Il dato apparentemente più positivo presente nel bollettino dell’Osservatorio Siccità riguarda la produzione di energia idroelettrica che nel mese di aprile è stata maggiore sia rispetto all’aprile del 2022 che a quello del 2021. Questo aumento però è stato possibile grazie alle alte temperature registrate sulle Alpi che hanno fatto fondere una buona percentuale della neve accumulatasi nei mesi invernali.Bisogna inoltre precisare che quest’anno di neve non se ne è accumulata moltissima. L’abbondante fusione di aprile e le nevicate limitate nei mesi precedenti sono la ragione per cui a metà aprile il deficit di neve accumulata sulle Alpi rispetto alla media dei precedenti 12 anni era del 67 per cento (la stima è stata fatta dalla Fondazione CIMA, Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale, ente di ricerca nelle scienze ambientali), e del 73 per cento considerando solo il bacino del fiume Adige – che scorre vicino al lago di Garda.(Osservatorio Siccità)– Leggi anche: Perché l’alluvione in Emilia-Romagna è stata causata anche dalla siccità LEGGI TUTTO

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    La siccità nel Nord Italia sembra legata al cambiamento climatico

    Caricamento playerÈ ormai risaputo che il cambiamento climatico causa un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi, come alluvioni e siccità, ma per la comunità scientifica non è immediato ricondurre un singolo fenomeno di questo tipo all’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra. Per accertare eventuali rapporti di causa ed effetto servono studi appositi. Nel caso della siccità che da più di un anno sta colpendo il Nord Italia oltre che la Francia, la Svizzera e altre regioni europee, causando molti problemi sia al settore agricolo che a quello della produzione di energia, ne è stato pubblicato uno da poco: dice che il cambiamento climatico l’ha aggravata.Semplificando i risultati dello studio, è emerso che siccità analoghe a quella di questi mesi erano meno estese geograficamente e meno lunghe: il riscaldamento globale sembra aver ampliato le zone di alta pressione e causato una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante.Lo studio è stato pubblicato il 28 febbraio dalla rivista Environmental Research Letters ed è stato realizzato da due ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (CNRS), l’analogo francese del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano, Davide Faranda e Burak Bulut, e uno dell’Università di Bologna, Salvatore Pascale, che fa parte del gruppo di ricerca di fisica atmosferica del dipartimento di fisica e astronomia “Augusto Righi”. Lo studio rientra nella cosiddetta “attribution science”, letteralmente “scienza dell’attribuzione”: è la branca della climatologia sviluppatasi a partire dal 2004 che indaga i rapporti tra il cambiamento climatico ed eventi meteorologici specifici, sviluppando metodi per trovare eventuali collegamenti.«Abbiamo deciso di analizzare questa siccità per due ragioni», spiega Faranda: «Prima di tutto per la sua grande estensione geografica, dato che in passato eravamo abituati a siccità che interessavano solo l’Italia, o parte d’Italia, oppure la Francia e l’Inghilterra, oppure la penisola iberica. Poi perché per l’IPCC [il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU] c’è una mancanza di studi sulle cause delle siccità nell’Europa occidentale».La siccità in corso è una siccità idrologica, a cui cioè è associata una riduzione delle acque presenti nei corsi d’acqua, nei laghi e nelle falde sotterranee, e al tempo stesso una siccità agricola, che ha cioè ripercussioni sulle coltivazioni. Non è dovuta solo a una carenza di precipitazioni molto estesa nel tempo, ma anche a temperature più alte della norma che, in associazione al prolungato bel tempo, hanno portato a un aumento della quantità d’acqua che evapora dal terreno e traspira dalle piante (evapotraspirazione). Dunque per analizzarla non basta tener conto unicamente di un’analisi delle precipitazioni, ma anche della temperatura e della risposta del suolo alla mancanza di pioggia.«Ci sono eventi meteorologici che sono più facilmente attribuibili al cambiamento climatico», dice Pascale: «Ad esempio le ondate di calore: a causa del riscaldamento globale, è intuitivo e logico aspettarsi che aumentino le probabilità che si verifichino questi fenomeni. La componente delle precipitazioni è più complessa da studiare e nelle siccità, che dipendono da diverse variabili, il nesso non è diretto, bisogna dipanare la matassa con attenzione».Faranda, Pascale e Bulut hanno tenuto conto dei tre fattori coinvolti usando un indice che li contempla tutti e diventa negativo in condizioni di siccità. Poi hanno studiato la circolazione atmosferica, cioè l’alternarsi delle condizioni di alta pressione (associata al bel tempo) e bassa pressione (brutto tempo), dal dicembre del 2021 all’agosto del 2022 nelle aree in cui l’indice della siccità era negativo, e hanno trovato un’associazione tra le zone di alta pressione e le zone più colpite dalla siccità.Successivamente hanno utilizzato una serie di dati meteorologici che partono dal 1836 per cercare distribuzioni di alta pressione analoghe a quelle del periodo 2021-2022 preso in considerazione. Nel farlo hanno distinto i casi precedenti al 1915, cioè relativi a un periodo storico in cui non si vedevano ancora effetti sul clima dell’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, e quelli successivi al 1942. «Abbiamo visto che le siccità simili c’erano anche prima, ma interessavano solo parte della Francia e dell’Inghilterra ed erano meno intense, sia in termini di carenza di precipitazioni che di evapotraspirazione», racconta Faranda.Tuttavia non basta verificare che un fenomeno sia stato diverso rispetto ad altri analoghi passati per dire che sia legato al cambiamento climatico.«Ciò che serve per poter attribuire la causa al cambiamento climatico è un meccanismo fisico che leghi i due fenomeni», continua Faranda: «In questo caso è quello che per semplificare abbiamo chiamato “effetto mongolfiera”: con le emissioni di gas serra facciamo aumentare la temperatura dell’atmosfera e, dato che nei gas la temperatura è legata alla pressione in maniera proporzionale, se aumentiamo la temperatura aumentiamo anche la pressione, proprio come succede nel pallone di una mongolfiera».In questa similitudine alla mongolfiera corrisponde la zona di alta pressione nell’atmosfera, l’anticiclone: «Arriva nella tropopausa [lo strato di atmosfera che separa la troposfera, in cui avvengono i fenomeni meteorologici, dalla stratosfera, più in alto], e si espande. Per questo questa siccità ha inglobato più aree geografiche e in particolare l’Italia del nord rispetto al passato».– Leggi anche: Al Sud non c’è la siccitàPascale precisa che queste considerazioni non valgono per tutti gli episodi di siccità che ci sono stati in Italia in anni recenti, come quello del 2017, ma solo per le caratteristiche di questa specifica siccità: per le altre bisognerebbe fare studi appositi. In quella che stiamo attraversando in particolare «è molto forte l’evapotraspirazione, cioè il grado con cui il terreno si secca: avviene molto più in fretta rispetto all’Ottocento per l’aumento delle temperature».Secondo il climatologo Maurizio Maugeri, professore dell’Università Statale di Milano e presidente del corso di laurea magistrale in “Environmental Change and Global Sustainability”, che non ha partecipato allo studio, è una ricerca «originale, sicuramente solida» che è stata pubblicata peraltro su «un’ottima rivista» per il settore: «I risultati più importanti di questo lavoro mettono in evidenza non tanto che queste condizioni si presentano in modo più frequente negli anni più recenti rispetto all’andamento storico ma che, quando si presentano, sanno essere “più estreme”, “più cattive”».Maugeri sottolinea l’importanza del dato sull’evapotraspirazione: «Anche qualora le precipitazioni non fossero cambiate in nessun modo da 200 anni fa a oggi, il fatto che faccia più caldo causa una maggiore evaporazione, quindi l’acqua che abbiamo a disposizione nelle nostre riserve è minore». L’aumento dell’evapotraspirazione è stato oggetto anche di altri studi, tra cui uno a cui ha lavorato lo stesso Maugeri e dedicato al bacino del fiume Adda, che scorre in Lombardia, dalle Alpi Retiche al Po: «Per i 170 anni di cui abbiamo dati, le piogge si sono ridotte grosso modo del 5 per cento, quindi pochissimo, mentre le portate dell’Adda si sono ridotte del 20 per cento».Anche per Federico Grazzini, meteorologo dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (Arpae) e ricercatore all’Università di Monaco di Baviera, lo studio di Faranda, Pascale e Bulut «è importante» e l’approccio su cui è basato è «promettente, può essere usato anche per altri eventi»: «L’Italia è sul fronte del cambiamento climatico più di altri paesi e quindi dovrebbe essere “in prima linea” nel produrre questo tipo di elaborazioni. Però non siamo produttivi come altri paesi».Ramona Magno, ricercatrice dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità, ricorda che in generale, da varie ricerche, sappiamo che nella zona del Mediterraneo il cambiamento climatico sta esacerbando gli eventi estremi: è già stato osservato un aumento sia nella frequenza che nell’intensità delle ondate di calore e delle siccità, e secondo le proiezioni aumenteranno ancora. Le cose sono meno chiare invece per quanto riguarda l’influenza del riscaldamento globale sulle circolazioni atmosferiche che riguardano l’Europa, ma come mostra anche lo studio sulla siccità del 2022 si vede che ci sono dei cambiamenti in atto.Per quanto riguarda la situazione attuale e quella dei prossimi mesi, «le recenti perturbazioni e i recenti abbassamenti di temperatura sono importanti perché “fanno tirare il fiato”, limitano un po’ le condizioni di deficit di precipitazione», spiega Magno, soprattutto nel Piemonte occidentale, la zona che più ha sofferto finora per la siccità. Tuttavia «le precipitazioni hanno interessato soprattutto il centro Italia» e «se non saranno continue e distribuite anche su periodi successivi, non saranno sicuramente sufficienti a colmare del tutto il deficit che si è formato al nord Italia, soprattutto nel nord-ovest».Le previsioni stagionali fatte da vari centri meteorologici europei dicono che nei prossimi tre mesi «con buona probabilità, tra il 40 e il 60 per cento, le temperature medie saranno superiori a quelle del periodo 1991-2020», mentre i modelli sono discordanti per quanto riguarda le precipitazioni: «Nel complesso le precipitazioni potrebbero essere in media, quindi potrebbe piovere come al solito in questo periodo, però siccome il deficit accumulato in alcune zone d’Italia è notevole, potrebbero non essere sufficienti».Insomma la siccità potrebbe proseguire. E un’estate di siccità che segue un’estate di siccità è più grave, soprattutto per le colture che richiedono molta acqua, come il riso e il mais.«Magari arriva una perturbazione, ma se è un momento passeggero il suolo non riesce a rimettersi in sesto», riassume Faranda: «È come quando una persona è depressa: ogni tanto vive un momento di felicità, però rimane sostanzialmente nello stesso stato e nel tempo si aggrava. La vegetazione è un po’ come un essere umano: non vive i nostri stessi tipi di stress, vive lo stress idrologico, ma c’è una similitudine. Alla lunga, dopo anni di siccità, la vegetazione non riesce più ad adattarsi e muore. E bisogna pensare di cambiare le colture».– Leggi anche: Cosa è questo “piano laghetti” contro la siccità LEGGI TUTTO