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    Anche sulle Ande ha fatto molto caldo, sebbene sia inverno

    Tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto, quando nell’emisfero australe è inverno, un’ondata di calore ha interessato varie parti del Sud America meridionale, facendo registrare temperature particolarmente elevate sia in Cile che in Argentina e causando una notevole fusione della neve sulle Ande.South America is living one of the extreme events the world has ever seenUnbelievable temperatures up to 38.9C in the Chilean Andine areas in mid winter ! Much more than what Southern Europe just had in mid summer at the same elevation: This event is rewriting all climatic books pic.twitter.com/QiiUKllWWP— Extreme Temperatures Around The World (@extremetemps) August 1, 2023Il primo agosto a Buenos Aires sono stati misurati 30 °C, la temperatura più alta mai registrata nei 117 anni di misurazioni del Servicio Meteorológico Nacional: in media ad agosto nella capitale argentina le temperature massime si aggirano intorno ai 17 °C e il precedente record di temperatura per il primo di agosto era di 24,6 °C. Lo stesso giorno a Santiago del Cile sono stati registrati 23 °C, quasi 7 °C al di sopra dei valori medi per questo periodo dell’anno. In altre località dei due paesi si sono raggiunti anche 37 o 39 °C.Raul Cordero, climatologo dell’Università di Santiago, ha detto a Reuters che ci sono state anomalie di temperatura rispetto alle medie anche di 15 °C. Sulle Ande l’effetto delle temperature si è visto in modo particolare nel parco naturale cileno di Yerba Loca, dove a 2.700 metri di altitudine si trova una stazione meteorologica dell’Università di Santiago ed è stata osservata una ingente fusione della neve nel giro di una settimana.En cuestión de días desapareció la Nieve estacional alrededor de nuestra estación de monitoreo “nival” en #LosAndes (2600 m snm, frente a Santiago🇨🇱)👇En pleno invierno austral, intensa #OlaDeCalor🔥eliminó la Nieve andina por debajo de los 3000 m snm en Chile central. pic.twitter.com/OygwvkDGQn— Antarctica.cl (@Antarcticacl) August 2, 2023La fusione della neve è particolarmente preoccupante perché negli ultimi anni anche parte del Cile, dell’Argentina e di altri paesi sudamericani è stata interessata da una siccità; e se si scioglie troppa neve in inverno significa che la prossima estate ci sarà meno acqua. Parlando con il quotidiano cileno La Tercera, Cordero ha detto che in primavera ed estate potrebbero esserci anche dei problemi di approvvigionamento per l’acqua potabile nelle grandi città del Cile centrale.L’ondata di calore è stata causata da un anticiclone, cioè una zona di alta pressione atmosferica associata al bel tempo, particolarmente persistente che è rimasto sul versante orientale delle Ande per vari giorni. È probabile che questo fenomeno meteorologico si possa ricondurre all’influenza del cosiddetto “El Niño”, quell’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e influenza il clima di gran parte del pianeta ma soprattutto quello dei paesi sudamericani e del Sud-Est asiatico. Proprio per via della presenza di El Niño, che secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale è ufficialmente tornato a giugno, si prevede che nell’emisfero australe la prossima estate (quando in Italia sarà inverno) sarà particolarmente calda.2AGO | #Temperaturas máximas de ayer (°C)🌡️🔥Rivadavia 39Las Lomitas 36,8Tartagal 36,8Presidencia Roque Sáenz Peña 36,5Ceres 36Villa María del Río Seco 35,5Reconquista 35,2Resistencia 35,2Sunchales 34,8Rafaela 34,5Orán 34,1Sgo del Estero 33,8 pic.twitter.com/rWpRHO60YG— SMN Argentina (@SMN_Argentina) August 3, 2023Già all’inizio di luglio parte del Sud America era stata interessata da un’ondata di calore che aveva influito parecchio sulle temperature medie dell’emisfero australe: il 4 luglio la temperatura media dell’emisfero aveva superato di 1 °C la media dello stesso giorno per il periodo dal 1979 al 2000; non era mai successo in nessun altro giorno che ci fosse un’anomalia di temperatura superiore a 1 °C rispetto alle medie 1979-2000. Anche questa parte del mondo è interessata dalle conseguenze del riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra umane, tuttavia per via della conformazione geografica dei continenti meridionali finora si sono visti maggiori record di temperature nell’emisfero boreale. LEGGI TUTTO

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    Abbiamo scoperto solo una piccola parte dei dinosauri

    Caricamento playerGli ultimi decenni sono stati più volte definiti una «età dell’oro» per lo studio dei dinosauri perché dall’inizio del secolo è aumentato tantissimo il numero di nuove specie fossili scoperte. «Ogni settimana si scopre in media una nuova specie di dinosauro», raccontava Steve Brusatte, professore dell’Università di Edimburgo e attualmente uno dei paleontologi più conosciuti e autorevoli del mondo, nel suo libro del 2018 Ascesa e caduta dei dinosauri. Oggi conosciamo più di mille specie secondo il Paleobiology Database gestito dalla comunità scientifica paleontologica, eppure si stima che siano ancora moltissime le specie sconosciute: probabilmente «milioni, o forse decine di milioni», ha detto Brusatte di recente allo Smithsonian Magazine.La maggior parte dei dinosauri più noti, quelli di cui molte persone conoscono i nomi grazie a programmi televisivi e ai romanzi e ai film della saga di Jurassic Park, furono scoperti alla fine dell’Ottocento nell’ovest degli Stati Uniti. Quel periodo è stato poi chiamato “guerra delle ossa”, perché gran parte degli scavi di fossili furono condotti da due paleontologi rivali, Edward Drinker Cope dell’Accademia di scienze naturali di Philadelphia e Othniel Charles Marsh dell’Università di Yale, che usarono anche metodi scorretti come la corruzione e il furto per potersi attribuire il maggior numero di ritrovamenti.Le più di cento specie individuate in quegli anni, tra cui alcuni triceratopi e stegosauri, erano soprattutto dinosauri molto grandi, che poi sono i primi a cui si pensa proprio per via della straordinarietà delle loro dimensioni rispetto a quelle degli animali di oggi. Per questa ragione i fossili più grandi erano quelli più ambiti, ma erano anche i più facili da trovare perché nel corso della storia avevano resistito di più alle trasformazioni geologiche e meteorologiche, oltre che alle attività umane. Le specie più piccole erano al contrario più difficili da recuperare e tendenzialmente meno interessanti per i musei: per molto tempo dunque sono state trascurate, ma ne esistevano in grandi numeri.Sono questi dinosauri di dimensioni minori che stiamo scoprendo negli ultimi anni. In gran parte le nuove scoperte si devono agli scavi in parti del mondo, come la Cina, dove a lungo non erano state fatte ricerche paleontologiche, ma anche in regioni già molto studiate avvengono nuovi ritrovamenti. Ad esempio a giugno è stata descritta la specie Iani smithi, un tipo di dinosauro erbivoro bipede lungo tre metri il cui fossile è stato trovato nello Utah, uno degli stati americani al centro della “guerra delle ossa” ottocentesca.In generale, oggi la comunità paleontologica sta cercando di ricostruire il più possibile come fossero fatti gli ecosistemi in cui i dinosauri vivevano, e per questo dà attenzione anche alle specie più piccole, cercandone di nuove anche dove in passato erano state fatte scoperte famose.Grazie a questi studi la nostra conoscenza del mondo dei dinosauri è molto aumentata e oltre alle nuove specie è stato possibile riconoscere nuovi cladi, cioè gruppi di specie che hanno un antenato comune. Il gruppo a cui appartiene la specie Iani smithi ad esempio è stato riconosciuto nel 2016. L’individuazione dei cladi può sembrare una finezza da esperti della materia, ma la ricostruzione di quello che si può descrivere come l’albero genealogico dei dinosauri è importante per comprendere meglio la storia dell’evoluzione tra 235 e 66 milioni di anni fa, un periodo di tempo lungo più del doppio di quello che ci separa dall’estinzione dei dinosauri.Nel 2016 i paleobiologi Jostein Starrfelt e Lee Hsiang Liow hanno fatto uno studio statistico per provare a stimare quante specie di dinosauri si siano estinte nel corso della preistoria e hanno stimato che potrebbero essere state più o meno il doppio di quelle che conosciamo, tra 1.543 e 2.468. Anche stime precedenti erano giunte a conclusioni simili, ma Brusatte è scettico sul fatto che siano accurate perché solo oggi sulla Terra vivono più di 10mila specie di uccelli – gli animali più imparentati con i dinosauri – e quindi è difficile pensare che in più di 150 milioni di anni non ci siano state più specie di dinosauri.Il problema delle stime fatte finora sul numero delle specie è che si basano sul numero di fossili che sono stati trovati e si sa che possono mostrarci solo una parte di quello che era il mondo dei dinosauri. Infatti non tutte le regioni della Terra hanno caratteristiche geomorfologiche che hanno consentito la formazione e la conservazione di fossili. Ad esempio non sappiamo nulla dei dinosauri che vivevano sulle montagne, cioè in zone dove i resti animali sono stati probabilmente distrutti nel corso del tempo per l’erosione. I fossili si formano più facilmente nei deserti, nelle pianure alluvionali e sui fondali marini, dove si accumulano sedimenti.È probabile che in passato come oggi le zone montuose fossero abitate da specie di animali diverse da quelle delle pianure e quindi per questo potremmo anche non conoscere mai molte specie di dinosauri. LEGGI TUTTO

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    La NASA è di nuovo in contatto con la sonda Voyager 2

    La NASA è tornata in pieno contatto con la sonda Voyager 2, che dal 21 luglio non era in grado di ricevere comandi o spedire dati all’agenzia spaziale. Il contatto era stato perso in seguito a un comando errato spedito dall’agenzia spaziale alla sonda, che aveva provocato un malfunzionamento dell’antenna.Inizialmente la NASA aveva detto che contava di ristabilire il contatto con la sonda il 15 ottobre, quando la sonda avrebbe automaticamente resettato i propri sistemi e recuperato il giusto orientamento verso la terra. È riuscita invece a farlo con varie settimane di anticipo, utilizzando un trasmettitore ad alta potenza per inviare un messaggio – detto in gergo “urlo interstellare” – alla sonda. Il 4 agosto l’agenzia ha confermato che i dati sono stati ricevuti dal veicolo, che funziona normalmente ed è rimasto sulla traiettoria pianificata.Attualmente Voyager 2 è lontana 19,9 miliardi di chilometri dalla Terra. È in viaggio dal 1977 e si trova all’esterno dell’eliosfera, la grande bolla magnetica prodotta dal Sole che contiene buona parte del Sistema solare: come Voyager 1 era stata progettata per esplorare Giove e Saturno, inizialmente con missioni della durata massima di 5 anni che però si sono decisamente prolungate. (NASA) LEGGI TUTTO

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    Potrebbe essere esistito un animale molto più grosso della balenottera azzurra

    Caricamento playerPiù di dieci anni fa il paleontologo peruviano Mario Urbina dell’Università di San Marcos, a Lima, scoprì uno scheletro parziale fuori dal comune nel deserto di Ica, una regione del Perù un tempo sommersa dagli oceani e ricca di fossili marini. Negli ultimi anni un gruppo di ricercatori internazionali – tra cui molti italiani provenienti dalle università di Pisa e Milano Bicocca – ha lavorato per estrarlo e per capire a che genere di animale appartenesse.Ora, in uno studio pubblicato su Nature, hanno presentato le proprie conclusioni, e cioè che appartenessero a un animale mastodontico estinto, da loro denominato Perucetus colossus (il nome richiama il Perù, dove è stato trovato, e le sue dimensioni eccezionali), che nelle loro stime potrebbe essere stato più grosso della balenottera azzurra, finora considerata il più grande animale mai esistito.Una balenottera azzurra può arrivare a pesare 190 tonnellate: gli esemplari più lunghi mai misurati erano di circa 33 metri, con un cuore grande quanto una piccola automobile. Secondo il nuovo studio il Perucetus colossus potrebbe essere stato ancora più grosso, arrivando a pesare 340 tonnellate per 20 metri di lunghezza. «Mi sono trovato di fronte a qualcosa di completamente diverso da qualsiasi cosa io abbia mai visto», ha raccontato al Washington Post il ricercatore dell’Università di Pisa Alberto Collareta.I ricercatori affermano di non poter dire con certezza che il Perucetus colossus fosse effettivamente più grosso della balenottera azzurra. Nello studio infatti le stime della massa corporea dell’animale vanno dalle 85 alle 340 tonnellate e variano così tanto perché il gruppo non è riuscito finora a trovare il teschio dell’animale, che aiuterebbe a comprenderne meglio la forma, e perché non è sicuro che il modo in cui ha immaginato la distribuzione della carne attorno alle ossa dell’animale nei modelli 3D sia quello corretto.«Siamo stati estremamente prudenti nel nostro approccio e non forniamo una singola stima ma una gamma di valori», ha affermato Eli Amson, uno dei co-autori dello studio. Considerato che anche la stima più bassa – 85 tonnellate – è superiore alla stazza di alcune balenottere azzurre adulte, si sentono però di «affermare con grande certezza che il peso del Perucetus colossus era comparabile a quello delle balenottere azzurre».Gli studiosi ritengono comunque interessante il fatto che il Perucetus assomigliava più a un lamantino che a una balenottera azzurra. Al contrario delle balene, i lamantini trascorrono il proprio tempo in acque costiere poco profonde, e hanno sviluppato ossa pesanti che li aiutano a stare vicini al fondale marino.«A causa del suo scheletro pesante e, molto probabilmente, del suo corpo molto voluminoso, questo animale era certamente un nuotatore lento. Questo mi permette di immaginarlo, per quanto ne sappiamo ora, come una specie di gigante pacifico, un po’ come un lamantino gigante. Doveva essere un animale molto impressionante, ma forse non così spaventoso», ha detto il paleontologo belga Olivier Lambert, tra gli autori dello studio.– Leggi anche: Perché le balene sono così grandi?Da anni gli scienziati si interrogano su come abbiano fatto le balene a diventare così grosse. Da una parte, è chiaro che gli animali acquatici hanno più probabilità di crescere molto, dato che non devono preoccuparsi del peso della propria massa sulle ossa e sulle articolazioni delle zampe. Ma una delle ipotesi più accreditate è che le balenottere azzurre e le altre balene a loro imparentate siano riuscite a evolversi in quel modo circa 3 milioni di anni fa, quando i ghiacci dell’era glaciale si ritirarono aumentando il quantitativo di sostanze nutrienti per crostacei e piccoli pesci, e conseguentemente per le balene, che di questi si nutrono. In queste circostanze, è probabile che le balene più grandi fossero avvantaggiate perché in grado di sopravvivere nei lunghi percorsi tra una zona ricca di cibo e l’altra, e capaci di ingerire in modo relativamente rapido una grossa quantità di acqua e cibo.Il Perucetus, però, sembra essere stato un animale molto diverso: le sue ossa erano spesse e compatte, più simili a quelle di un ippopotamo che di una balenottera azzurra, il che suggerisce che per loro non fosse così semplice inseguire prede in rapido movimento. I ricercatori pensano piuttosto che potrebbe essersi nutrito di vegetali, carcasse e piccoli animali trovati sui fondali marini.Questa ipotesi ha qualche problema, a partire dal fatto che le balene non si nutrono di piante e che ci vorrebbe un numero impressionante di carcasse per cibare un animale così grande. A prescindere da questo, però, la scoperta di questo gigantesco cetaceo potrebbe contribuire allo studio dell’evoluzione degli animali di grandi dimensioni.– Leggi anche: Come si spolvera una gigantesca balena LEGGI TUTTO

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    Henrietta Lacks «ha avuto giustizia»

    I discendenti di Henrietta Lacks, la donna le cui cellule sono state usate senza consenso per decenni nei laboratori di tutto il mondo rendendo possibili grandi progressi medici, hanno raggiunto un accordo con la Thermo Fisher Scientific, l’azienda statunitense di biotecnologie a cui avevano fatto causa nel 2021. La famiglia di Lacks aveva accusato l’azienda di aver continuato a riprodurre e a vendere le cellule della donna, chiamate HeLa dalle iniziali del suo nome, traendone profitto e tentando di assicurarsi i diritti di proprietà intellettuale sui prodotti che quelle cellule avevano contribuito a sviluppare, senza chiedere il consenso della famiglia o condividere i guadagni.Martedì 1 agosto, giorno in cui Henrietta Lacks avrebbe compiuto 103 anni se non fosse morta nel 1951, alcuni dei suoi discendenti hanno parlato durante una conferenza stampa dicendo di aver raggiunto con la Thermo Fisher un accordo extragiudiziale: i termini non stati resi pubblici ma la famiglia ha detto di aver ottenuto «giustizia» e di ritenere questo accordo «un sollievo». La Thermo Fisher, che ha sede nel Massachusetts, ha fatto una dichiarazione annunciando a sua volta l’accordo: «Le parti sono liete di essere state in grado di trovare un modo per risolvere la questione al di fuori del tribunale».La causa, come ha spiegato uno dei legali della famiglia di Lacks, si basava sul fatto che la Thermo Fisher avesse fatto la scelta consapevole di riprodurre in massa le cellule della donna, «approfittando di un sistema medico ingiusto dal punto di vista razziale». Nella causa si sosteneva che la scelta di Thermo Fisher Scientific di continuare a vendere cellule HeLa potesse «essere intesa solo come la scelta di abbracciare un’eredità di ingiustizia razziale radicata nella ricerca statunitense e nei sistemi medici».Henrietta Lacks era una donna afrodiscendente e lavorava nei campi di tabacco della Virginia, così come i suoi antenati schiavi. Morì per un tumore al collo dell’utero nel 1951, a 31 anni, nel reparto per sole persone nere dell’ospedale Johns Hopkins di Baltimora. Le cellule furono prelevate dal suo corpo mentre era in cura e sotto anestesia, e dopo la sua morte cominciarono a essere analizzate e sono state coltivate, replicate e commercializzate fino a oggi. Sono la prima linea cellulare umana immortalizzata (cioè con vita potenzialmente infinita) mai ottenuta e negli anni hanno reso possibili grandi progressi medici: tra le altre cose sono state usate per ottenere il primo vaccino contro la poliomielite, e nella ricerca sul virus del morbillo, sull’HIV e sull’ebola. Sono state anche le prime cellule umane di cui si sono contati i cromosomi e le prime a essere clonate.Né a Henrietta Lacks né ai suoi familiari fu però mai chiesto il consenso per usare quelle cellule. Non solo: fino agli anni Settanta nessuno nella famiglia Lacks seppe che erano così importanti. Successivamente, anche dopo che tutta la storia era stata resa pubblica e era stato generalmente riconosciuto che Henrietta Lacks avesse subito un’ingiustizia, la sua famiglia non ricevette per molto tempo alcuna forma di risarcimento.La storia di Lacks è stata raccontata nel libro La vita immortale di Henrietta Lacks della giornalista Rebecca Skloot, a cui si deve la notorietà fuori dal mondo scientifico della storia di Lacks, della sua famiglia e delle cellule HeLa. I proventi del libro e poi di un film del 2017 realizzato da HBO e interpretato da Oprah Winfrey hanno negli anni finanziato l’Henrietta Lacks Foundation, una fondazione che dal 2010 sostiene con borse di studio e altri aiuti economici le famiglie delle persone, soprattutto afrodiscendenti, i cui corpi e i dati biologici furono usati in passato nella ricerca scientifica senza consenso.Nel 2020 l’Howard Hughes Medical Institute, la più grande organizzazione non profit privata di ricerca biomedica degli Stati Uniti, aveva effettuato una grande donazione alla Henrietta Lacks Foundation provando a rimediare, almeno simbolicamente, agli errori del passato. Altre donazioni erano poi arrivate sia da parte di importanti scienziati che da aziende che si occupano di biotecnologie.Prima dell’accordo con la Thermo Fisher Scientific, nel 2013 i familiari di Lacks avevano ottenuto un altro risultato importante dopo che il sequenziamento del genoma delle cellule HeLa era stato inserito in una banca dati pubblica senza chiedere il loro consenso. La condivisione di quei dati era importante per molte ricerche scientifiche, ma costituiva anche una violazione della privacy della famiglia perché il genoma di una persona è in gran parte uguale a quello dei suoi familiari. Alla fine, la famiglia Lacks aveva raggiunto un accordo con il National Institutes of Health (NIH), agenzia del dipartimento della salute degli Stati Uniti: l’accesso ai dati sul genoma delle cellule HeLa è da allora regolato da un comitato di cui fanno parte due membri della famiglia.Durante la conferenza stampa, uno degli avvocati della famiglia Lacks, Chris Ayers, ha detto che presenterà delle cause simili a quella contro la Thermo Fisher contro altre aziende farmaceutiche o società di biotecnologie. «La lotta contro coloro che traggono profitto, e hanno scelto di trarre profitto, dalla storia e dalle origini profondamente immorali e illegali delle cellule HeLa proseguirà», ha commentato. LEGGI TUTTO

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    La NASA ha perso contatto con la sonda Voyager 2 dopo aver inviato un comando errato

    La NASA ha comunicato di aver perso contatto con la sonda Voyager 2, attualmente lontana 19,9 miliardi di chilometri dalla Terra, nello Spazio interstellare. Il contatto è stato perso in seguito a un comando errato spedito dall’agenzia spaziale alla sonda, che ha provocato un malfunzionamento dell’antenna. Dal 21 luglio la sonda non è quindi in grado di ricevere comandi o di spedire dati alla NASA, ma sono in corso tentativi per inviarle il comando corretto. Voyager 2 è comunque programmata per resettare i suoi sistemi e recuperare il giusto orientamento verso la Terra più volte durante l’anno: la prossima è fissata il 15 ottobre, quando secondo la NASA dovrebbe tornare a stabilire un contatto e a comunicare. Mercoledì comunque la NASA ha fatto sapere di aver captato un segnale della presenza della sonda, che è ancora funzionante.Earth to Voyager… 📡 The Deep Space Network has picked up a carrier signal from @NASAVoyager 2 during its regular scan of the sky. A bit like hearing the spacecraft’s “heartbeat,” it confirms the spacecraft is still broadcasting, which engineers expected. https://t.co/tPcCyjMjJY— NASA JPL (@NASAJPL) August 1, 2023La sonda Voyager 2 è in viaggio dal 1977 e si trova all’esterno dell’eliosfera, la grande bolla magnetica prodotta dal Sole che contiene buona parte del Sistema solare: come Voyager 1 era stata progettata per esplorare Giove e Saturno, con missioni della durata massima di 5 anni. Entrambe sono invece nello Spazio da 41 anni e ci hanno permesso di scoprire molte cose sulle aree più remote del nostro sistema solare. (AP-Photo/HO) LEGGI TUTTO

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    Cosa succede al nostro corpo quando ci innamoriamo

    Nella canzone “Via con me” c’è un invito alla persona amata a non perdersi «per niente al mondo lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di te». Quando Paolo Conte la scrisse all’inizio degli anni Ottanta pensava soprattutto alle grandi e talvolta assurde cose che si fanno per amore, ma a ben vedere durante l’innamoramento uno “spettacolo d’arte varia” si verifica anche all’interno del nostro organismo, ed è proprio questo a determinare in buona parte il modo in cui poi ci comportiamo e ciò che proviamo all’inizio di una relazione. Innamorarsi ha un profondo effetto sul nostro corpo, innesca una grande quantità di reazioni chimiche che ancora non conosciamo completamente e che potrebbero aiutarci a capire meglio alcuni meccanismi nella nostra mente oltre che nel nostro cuore.All’amore si possono dare infinite definizioni: filosofiche, psicologiche, letterarie e musicali, per la fortuna di chi scrive e compone canzoni come Paolo Conte. È invece più difficile dare una descrizione scientifica che colga tutte le sue sfumature e le sue dinamiche. Da un punto di vista puramente evolutivo, l’amore deriva probabilmente dalla necessità nella nostra specie di trovare una persona con cui stringere un forte legame, importante per la riproduzione e per la cura dei figli nei loro primi anni di vita. Non riguarda solamente gli esseri umani: in generale, nel regno animale più la prole ha necessità di essere seguita a lungo nei primi periodi di vita, più i genitori tendono ad avere relazioni durature per condividere la responsabilità (ovviamente ci sono tantissime specie e di conseguenza innumerevoli eccezioni).Ridurre l’amore alla sola riproduzione sarebbe però riduttivo, soprattutto per la nostra specie che grazie a una spiccata coscienza di sé e capacità di astrazione ha fatto proprio e ha elaborato il concetto di relazione amorosa (molto elaborato). Mentre in psicologia l’amore è considerato un fenomeno sociale e culturale, con sfumature e varianti, in biologia l’amore è visto come un impulso tipicamente animale e paragonabile a quello della fame o della sete. Per questo secondo modello, le sensazioni amorose sono influenzate dagli ormoni che contribuiscono a generare due pulsioni principali: quella sessuale e quella dell’attaccamento, cioè la creazione di un legame specifico tra due persone.Tutto ha inizio quando si conosce una persona e la si inizia a vedere in un modo diverso, a trovare qualcosa di speciale e unico che suscita curiosità e interesse. Questa prima fase dell’innamoramento è di solito alquanto caotica ed eccitante per l’organismo, perché è guidata per lo più dagli ormoni sessuali, gli estrogeni e il testosterone, che fanno prevalere il desiderio e l’attrazione fisica. Viene di solito identificata come la fase del desiderio, che precede le altre due successive: attrazione e attaccamento.Desiderio e attrazioneLa fase del desiderio viene ricondotta alla nostra necessità di riprodurci e alla prosecuzione della specie. È l’ipotalamo, una struttura alla base del nostro cervello, a stimolare la produzione degli ormoni sessuali. Questi influiscono a loro volta sul funzionamento del cervello e in particolare della corteccia prefrontale, che comprende il controllo dei comportamenti razionali.L’attrazione, la seconda fase, è strettamente legata a quella del desiderio, anche se in un certo senso indipendente: si può desiderare fisicamente una persona senza provare una particolare attrazione e viceversa. L’attrazione ha a che fare con i meccanismi del cervello che controllano i sistemi di ricompensa. È grazie a loro se i primi mesi di una nuova relazione vengono di solito vissuti con grande entusiasmo, voglia di fare e di essere il più possibile in contatto con la persona di cui si è innamorati.La dopamina è tra le sostanze più coinvolte nei processi di ricompensa. Questo neurotrasmettitore è prodotto in varie aree del cervello, che sono stimolate a rilasciarlo quando facciamo qualcosa che dà una certa sensazione di benessere come mangiare un alimento buono, dissetarsi, ascoltare particolari suoni o avere rapporti sessuali. Quest’ultimo è sicuramente uno dei principali stimoli per la produzione di dopamina all’inizio di una relazione, insieme alla possibilità di trascorrere del tempo insieme con l’altra persona.Un altro neurotrasmettitore importante nella fase dell’attrazione è la noradrenalina, che ha una funzione eccitante ed è responsabile di quel senso di euforia e di voglia di fare che si hanno durante l’innamoramento. La noradrenalina, insieme ad altre sostanze, è anche responsabile della mancanza di sonno e di fame, altra condizione che interessa quelle persone che dicono di essere talmente innamorate da non riuscire a dormire e a mangiare.È stato inoltre rilevato che in questa fase si hanno livelli più bassi di serotonina, un neuromodulatore e neurotrasmettitore coinvolto in numerosi processi che regolano l’umore, le capacità cognitive e la memoria. Non è chiaro come influisca sull’attrazione, ma una carenza di serotonina è stata riscontrata nelle persone che soffrono di disturbi ossessivo-compulsivi.AttaccamentoLe fasi del desiderio e dell’attrazione si incrociano più volte durante l’innamoramento, spesso concorrendo l’una all’altra, anche se come abbiamo visto sono generalmente guidate da sostanze diverse. Col passare del tempo, e se non ci sono stati imprevisti, si aggiunge l’attaccamento, che ha più a che vedere con la costruzione di relazioni durature e profonde. In questa fase gli ormoni più coinvolti secondo le ricerche sono l’ossitocina e la vasopressina.La produzione dell’ossitocina è stimolata da alcune attività come il sesso, il parto e l’allattamento. Sono evidentemente cose alquanto diverse tra loro, ma hanno in comune il fatto di essere esperienze che portano a un certo attaccamento. È stato osservato che i livelli di ossitocina tendono ad aumentare quando le persone hanno contatti fisici affettuosi, ma anche quando osservano immagini altamente evocative come una fotografia dei propri figli o del proprio partner.La vasopressina ha una struttura chimica molto simile a quella dell’ossitocina e si ritiene che abbia un ruolo nella formazione dei ricordi, sia a lungo sia a breve termine. Le conoscenze su questa sostanza sono ancora limitate e dibattute, ma nei test su animali è stato rilevato come la sua produzione, che viene facilitata durante l’attività sessuale, avvenga in concomitanza con il mantenimento di comportamenti che favoriscono la stabilità di coppia, con diversi esiti nelle specie monogame e in quelle promiscue.Da un punto di vista biologico, l’attività sessuale continua ad avere una certa importanza nel mantenere una relazione anche in questa fase, perché ha la capacità di fare da rinforzo all’attaccamento stimolando la produzione di ossitocina e vasopressina. Durante l’innamoramento, desiderio e attrazione favoriscono il successivo processo di attaccamento, ma non sempre la relazione prosegue stabilizzandosi e superando il periodo di transizione che porta a una relativa riduzione della parte più appassionata.Di solito gli alti livelli di intimità raggiunti, l’impegno reciproco e i ricordi delle esperienze avute insieme aiutano a sostenere la relazione nel lungo periodo, e anche in questo caso gli ormoni sembrano avere un ruolo importante nel rinnovare l’interesse per l’altro a beneficio della coppia. In questo l’ossitocina ha un ruolo importante, perché del resto è coinvolta in tutte le altre “forme” di amore, come quelle che riguardano gli affetti familiari, le amicizie e persino i rapporti con gli animali domestici. L’ormone sembra avere un ruolo nelle relazioni sociali e contribuire alla salute e alla longevità, almeno secondo alcune ricerche.Uno studio pubblicato nel 2019 ha segnalato come l’ossitocina sia associata a una migliore qualità della vita e a connessioni sociali più salutari tra le persone con o senza depressione, per esempio. Studi di questo tipo sono comunque difficili da organizzare per la grande quantità di variabili coinvolte, senza contare che ciascuno di noi è fatto diversamente e reagisce in modo diverso alle sostanze.Innamorarsi o provare amore per una persona è qualcosa di estremamente complicato, un misto di chimica ed esperienze difficile da dipanare. In un certo senso può essere considerato anche un vantaggio evolutivo: se ci fosse il modo di “spegnere” le fasi dell’innamoramento con grande efficacia, forse oggi non saremmo qui a ragionare e studiare l’amore e i suoi effetti sul nostro organismo. Come ha scritto il neurologo Parashkev Nachev:L’amore – come tutti i nostri pensieri, le emozioni e i comportamenti – si basa su processi fisici nel cervello, su una loro interazione molto complessa. Ma dire che l’amore è “solo” chimica del cervello sarebbe come dire che le opere di Shakespeare sono “solo” parole, o che la musica di Wagner è “solo” un insieme di note o che una scultura di Michelangelo è “solo” marmo: manca semplicemente il punto. Come l’arte, l’amore è molto di più della somma delle sue parti.Nonostante le crescenti conoscenze sugli ormoni, sui meccanismi che instaurano e sul modo in cui attivano parti del nostro sistema nervoso, moltissimi aspetti dell’amore continuano a sfuggire alla scienza a conferma di quante poche cose sappiamo ancora sul funzionamento del cervello umano. Intuiamo alcune caratteristiche dell’innamoramento osservando gli effetti che si producono sul nostro organismo, ma non riusciamo ancora a comprenderne in modo preciso le cause di uno spettacolo d’arte varia che ci accompagna da sempre. LEGGI TUTTO

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    Il luglio del 2023 sarà il mese più caldo mai registrato sulla Terra

    Mancano ancora quattro giorni alla fine di luglio, ma si può già dire che questo sarà il mese più caldo mai registrato dal 1979, anno in cui le tecnologie satellitari resero possibili misurazioni accurate della temperatura superficiale di tutto il pianeta (non sarà solo il luglio più caldo di sempre, ma proprio il mese). È stato stimato dal Climate Change Service di Copernicus, il programma di collaborazione scientifica dell’Unione Europea che si occupa di osservazione della Terra, e confermato dall’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO).«Per grandi parti del Nord America, dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa questa è un’estate atroce, ma per il pianeta intero è un disastro», ha commentato il segretario generale dell’ONU António Guterres, «e per gli scienziati non ci sono dubbi: la colpa è degli esseri umani».Le stime di Copernicus sono realizzate usando diversi tipi di dati: le misure dirette della temperatura fatte da reti di termometri presenti sulla terra e in mare, e le stime dei satelliti. Questi rilevano la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre e oceanica e ne calcolano la temperatura.Le tre settimane più calde mai registrate sono state proprio le prime tre di luglio: durante la prima e la terza la temperatura globale ha superato la soglia di 1,5 °C in più rispetto alle temperature medie preindustriali, cioè rispetto all’epoca in cui le emissioni di gas serra dovute alle attività umane non avevano ancora cominciato a influenzare il clima terrestre (tra il 1850 e il 1900). La soglia di 1,5 °C è quella che fu stabilita con gli accordi di Parigi del 2015. Il fatto che sia stata superata per tre settimane non significa comunque che l’obiettivo di Parigi si possa definire fallito, per quanto sia ormai improbabile che sarà rispettato: la WMO ha chiarito che l’obiettivo si potrà considerare sfumato solo se la temperatura media globale annuale sarà superiore di 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale per almeno vent’anni.Ultimamente si stanno registrando nuovi record di temperatura non solo nell’aria vicina al suolo, ma anche negli oceani e nei mari. Il 24 luglio una boa nella Baia dei Lamantini, circa 65 chilometri a sud di Miami, in Florida, ha registrato 38,4 °C: potrebbe essere la più alta temperatura marina mai rilevata, se la misura sarà confermata. E sempre il 24 luglio la temperatura superficiale media del mar Mediterraneo ha raggiunto 28,4 °C: anche in questo caso si tratta di un record, perché finora la media più alta del bacino erano stati i 28,25 °C dell’agosto del 2003.Secondo i dati di Copernicus, per quanto riguarda la temperatura media globale il precedente luglio più caldo mai registrato, nonché mese più caldo mai registrato, era stato quello del 2019. LEGGI TUTTO